domenica 28 dicembre 2008

Fine dell'anno a Gaza


Volevo trovare un'altra e più pacifica occasione per mostrarvi questo geniale artista parigino. E' uno di quei personaggi che con i suoi progetti, ed il suo modo di vedere le cose cade a pennello per un blog come questo. Purtroppo le violenze cominciate da Israele riportano alla ribalta in giorni di festa come questi, o forse proprio per questo, la condizione, la storia, le vite e il dramma di quelle terre maledette. Quando la propria terra diventa una maledizione. Di più non dico perchè non sarei in grado e perchè abbiamo accesso alle stesse informazioni. Allora il mio contributo è presentarvi JR.

L'eco delle foto di JR e dei suoi progetti arrivò anche da noi qualche tempo fa, due o tre anni fa incrociai un articolo, grazie al suo progetto Portrait d'une Génération. Era il periodo delle rivolte nelle Banlieus francesi e fece notizia il suo progetto di fotografare come dei mostri una generazione considerata tale, feccia, orchi metropolitani.
Geniale poi l'idea di snobbare le gallerie ed organizzare l'esposizione in strada, attaccando le foto formato poster negli stessi luoghi dove erano state prese. Questa è una caratteristica delle opere di JR.


Ma oggi ve lo presento per un altro progetto, partito nel 2005, il progetto Face2Face. Era il 2005 e si respirava un po' di ottimismo per il conflitto tra Israeliani e Palestinesi. L'assonanza con questo blog è l'idea che per favorire il dialogo si debba passare per la scoperta reciproca, capire che alla fine sono più le cose che ci accomunano che quelle che ci dividono, come "due gemelli cresciuti in due famiglie differenti".
Per uno straniero che visita la zona può essere evidente, si vorrebbe che lo fosse anche per loro. Allora per non dimenticare questo, anche quando fioccano le bombe facendo stragi, ecco a voi

Face2Face:

"When we met in 2005, we decided to go together in the Middle-East to figure out why Palestinians and Israelis couldn't find a way to get along together.

We then traveled across the Israeli and Palestinian cities without speaking much. Just looking to this world with amazement.

This holy place for Judaism, Christianity and Islam.
This tiny area where you can see mountains, sea, deserts and lakes, love and hate, hope and despair embedded together.

After a week, we had a conclusion with the same words: these people look the same; they speak almost the same language, like twin brothers raised in different families.

A religious covered woman has her twin sister on the other side. A farmer, a taxi driver, a teacher, has his twin brother in front of him. And he his endlessly fighting with him.

It's obvious, but they don't see that.

We must put them face to face. They will realize.

We want that, at last, everyone laughs and thinks when he sees the portrait of the other and his own portrait.

The Face2Face project is to make portraits of Palestinians and Israelis doing the same job and to post them face to face, in huge formats, in unavoidable places, on the Israeli and the Palestinian sides.

In a very sensitive context, we need to be clear.
We are in favor of a solution for which two countries, Israel and Palestine would live peacefully within safe and internationally recognized borders.

All the bilateral peace projects (Clinton/Taba, Ayalon/Nussibeh, Geneva Accords) are converging in the same direction. We can be optimistic.

We hope that this project will contribute to a better understanding between Israelis and Palestinians.

Today, "Face to face" is necessary.
Within a few years, we will come back for "Hand in hand" ".



FACE 2 FACE - EXTRAITS
Video inviato da JR

EXTRAIT DE L ACTION ILLEGAL AU PROCHE ORIENT DU PROJET FACE 2 FACE PAR JR ET MARCO

VOIR LES AUTRES VIDEOS SUR LE COMPTE 28MILLIMETRES

LIVRE DISPONIBLE SUR http://www.crakedz.com


P.s.

Vi mando annche i links di alcuni blogs che raccontano il vissuto nella striscia di Gaza, li ho presi dall'articolo della Repubblica.

http://windowintopalestine.blogspot.com/
http://guerrillaradio.iobloggo.com/(in italiano)
http://www.a-mother-from-gaza.blogspot.com/
http://www.freegaza.org/
http://talestotell.wordpress.com/


martedì 23 dicembre 2008

Anno nuovo, propositi vecchi



di Antonio Siragusa


"I problemi della ricerca scientifica italiana e della fuga dei cervelli, di cui tanto si è parlato negli ultimi tempi, mi riguardano molto da vicino. Mio fratello, infatti, subito dopo aver terminato il dottorato in "fisica delle particelle" a Lecce, si è trasferito a Mainz, in Germania, per lavorare al programma scientifico di LHC, l' acceleratore di particelle che mira a rintracciare il "fantomatico" bosone di Higgs.


Lui è tra quelle migliaia di giovani che, formati in maniera eccellente (e a caro prezzo) dallo stato italiano, sono poi stati gentilmente "regalati" ai centri di ricerca stranieri, che li hanno accolti a braccia aperte. Lui era già da anni convinto di voler andare all'estero, non ha mai neanche valutato la possibilità di rimanere in Italia, per ragioni economiche, senza dubbio (a tutti è noto come sono pagati in Italia i ricercatori) ma anche perchè consapevole dell'importanza di un'esperienza internazionale nel suo ambito di studio, e del trattamento certamente più dignitoso che avrebbe ricevuto in qualsiasi luogo a nord-ovest (e forse anche ad est) del nostro stivale.
La scelta di partire, ciò nonostante, ha comportato dei sacrifici per lui: ad esempio, la sua ragazza è a Lecce, a migliaia di km di distanza, e credo che lui abbia dentro di il desiderio di riavvicinarsi a casa in un futuro non troppo remoto, a patto però di poter fare liberamente e adeguatamente ricerca scientifica.


Per me e per la mia famiglia, invece, la sua partenza non ha mai rappresentato un grande problema: certo, vorremmo vederlo più spesso, mia madre ogni tanto si fa qualche pianto nel vederlo in web-cam, alla sua partenza a giugno ho assistito a scene degne del più patetico dei film d'emigrazione, ma siamo abituati da tempo a ragionare in termini di Europa, non siamo tra quelli che pensano che la patria venga prima di ogni altra cosa e vada difesa a tutti i costi, o che al risuonare dell'inno italiano si mettono la mano sul cuore; anzi, pensiamo che la contemporaneità si basi essenzialmente sulla fine dei nazionalismi, sull'intercultura, e ciò è un bene perchè la dialettica tra differenti culture, società e lingue è un'occasione di arricchimento e di crescita (questo blog docet). Perciò ben venga un'esperienza lavorativa, anche lunga, all'estero. Per noi l'importante è che lui insegua i suoi sogni e si costruisca la sua vita come la immagina, tutto qui. In Italia o altrove, poco ci interessa.


Il problema, semmai, dovrebbe porselo lo Stato italiano, la classe dirigente. Ma quest'ultima, anziché fare il possibile per finanziare la ricerca e, quindi, favorire la permanenza in Italia di ragazzi come mio fratello (e l'arrivo di "cervelli" da altre nazioni, con tutti i vantaggi che ciò comporterebbe per lo sviluppo materiale del nostro paese) taglia i fondi alle università e alla ricerca, e la possibilità che mio fratello torni sembra configurarsi, ora più di prima, come un'utopia. Così continuano ad andar via coloro i quali dovrebbero costituire la spina dorsale del nostro paese, che cade sempre più nelle mani dei vecchi, degli incapaci e degli avidi, nelle mani di una casta che mira alla conservazione dei propri privilegi, all'immobilismo della società, ostacolando chi potrebbe mettere in discussione il loro potere assoluto".

martedì 16 dicembre 2008

Una generazione in partenza

Una storia che parte quindi da un po' più lontano, da un racconto di Sciascia alla cittadina dell'olio, Caiazzo, un piccolo paesino nella ridente campagna casertana, perché ne esistono di campagne casertane belle e pulite, ancora oggi. Un paese comunità abbastanza coeso, relativamente aperto allo scambio e dai ritmi tranquilli circondati da verde campagna con il Matese sullo sfondo. L'ideale insomma. Ideale per l'infanzia, ma che inizia a restringersi dall'adolescenza fino a coincidere solamente con la propria casa e non più con il proprio mondo. L' aspettativa supera sempre il circondario presente.Il bisogno di liquidità, di flessibilità, di novità e scoperta stride con un piccolo paese legato al territorio, alla quotidianità, che per quanto bella possa essere è per definizione immobile. Si è abituati a rappresentare la novità che per vivere e svilupparsi ha bisogno di partire, lasciare, abbandonare ciò che è inamovibile, non nel senso che non possa essere cambiato, ma nel senso che non possa essere trasportato. Allora le proprie terre non bastano più, perché non vi è più alcuna montagna da avvistare dal proprio tetto di casa. Ci si allarga, ci si espande e s' infittiscono le reti di persone, di relazioni, di aspettative. Partire diventa una necessità ed un'occasione.


Allora, sebbene per ragioni diverse, viene portata avanti quella che è ormai una tradizione meridionale, partire ed emigrare. I nonni per Mafia, i nipoti per allargare e cercare le proprie opportunità.Una generazione sì ed una no. Una generazione che ha i tassi di emigrazione più alti dopo quella degli anni '60. Un destino che possiamo considerare ormai da più di un secolo quasi una componente culturale, una voce messa sempre in conto dalla vita, la necessità di partire. Per i diretti interessati è un'occasione ed esperienza di vita. Ma a guardarla da fuori sembra anche predestinazione. Il nonno partiva per Mafia, ma era anche il dopoguerra. Oggi i nipoti partono per cercare occasioni, è il dopoeuropa. Occasioni offerte proprie dai cambiamenti messi in atto negli ultimi anni, dall'entrata in Europa, da un mondo più vicino e aperto, a livelli fino a poco tempo fa inimmaginabili. Per cui diventa normale pensare di andare a lavorare all'estero, confrontarsi quotidianamente con altre culture ed altre lingue, oltre che altre politiche.

L'equazione allora diventa ancora più semplice, Sud, piccolo paese di provincia uguale una generazione in partenza. Quattro cugini per tre famiglie di fratelli e sorelle, ed una generazione di nipoti che parte: Antonio, suo fratello Giovanni, suo cugino Attilio e suo cugino Dario.

I più grandi come è giusto che sia, hanno già dato l'esempio, Giovanni è un Fisico, Ricercatore, dopo la laurea a Napoli, il dottorato a Lecce non poteva che partire per l'estero. E' uno dei tanti cervelli fuggiti, lavora al progetto del CERN, ma in Germania, a Mainz. L'altro cugino Dario già da un po' si trova in Francia per un master in retorica delle arti, e Antonio che ha già avuto un assaggio del futuro che vuole cercare, dopo un anno a Granada, è ora prossimo alla laurea e alla partenza. Una laurea in lettere non ha vita facile oggi, per cui la soluzione che coniuga aspettative, incertezza, sogni, felicità è ancora una volta il tantovale-partire. Per insegnare l'Italiano, ma all'estero, in Spagna come in Sud- America. Infine Attilio, prossimo alla laurea in fisica alla Università di Napoli scommette anch'egli che il suo futuro sarà all'estero. Dopotutto è un fisico e andrà anche lui incontro al destino italiano dei ricercatori.


Così quattro cugini con una differenza minima di età, che possono rientrare completamente nei paradigmi di questa nuova generazione, sono pronti alla partenza. Parentela, la loro, confermata dall'amore comune per il viaggio, per il cambiamento come filosofia dei vita, oltre che avventura come giusta ricompensa. Quattro cugini di un piccolo paesino del Meridione che non offre tanto lavoro, ma la possibilità di entrare in Europa a testa alta. Non più come emigranti, disperati in cerca di lavoro, ma come persone qualificate e competenti, il meglio di quello che creiamo. L'evoluzione rispetto al passato è stata soprattutto questa, che adesso a non partire è chi non può permetterselo.


Anche se è una scelta mai facile, spesso sofferta, mai presa a cuor leggero dalla nuova emigrazione, una delle tante facce del processo di globalizzazione, l'apertura al diverso, la scoperta, l'espansione della frontiera della conoscenza , " prezzo da pagare per la costruzione di una nuova Europa", i giovani cugini si ripromettono di non dimenticare le loro radici, il loro Sud, i suoi mali e gli sforzi per risollevarlo. Partenze da piccoli paesi di provincia, che hanno fatto la bellezza di questa paese, sperando che non siano fuggi-fuggi generali e abbandoni di massa, ma che siano occasioni per aprire nuove strade, smuovere mondi che altrimenti sarebbero invecchiati su se stessi. Sbocciature che rigenerino terre che necessitano il cambiamento.


Scelte mai facili e lineari dove l'immenso apporto dato in termini di crescita umana è talvolta più che compensato dagli occhi lucidi di una madre, percorsi di vita nell' Europa di oggi di una giovane parte già avvezza a partenze e ritorni. Una lotta interna che svuota e riempie le case caiatine.

lunedì 8 dicembre 2008

Una storia di famiglia

Antonio ha una storia familiare degna di nota, e a raccontarla si potrebbe raccontare la storia di Italia di questo dopoguerra, almeno di una sua metà.


Anche se questo blog ha sempre presentato prima la faccia, e poi la storia, per dimostrare quanto le apparenze ingannino, e che con le persone bisogna sempre prima condividere e poi giudicare, questa volta presentiamo prima la faccia e poi la storia. O meglio, prima l'inizio della storia e poi la faccia che ne è venuta fuori.


Seguiremo un corso più lineare di una storia iniziata esattamente sessanta anni fa, ancora più a Sud. Non è necessario sforzarsi troppo per indovinare le origini sicule di Antonio. Ma la storia, si sa, si trasforma sempre in lunghe onde che terminano solo con un'onda successiva.




Una storia di famiglia




di Antonio Siragusa


"1948: la mafia cerca di affermare il proprio potere con le armi. Ce l'ha soprattutto con coloro i quali difendono gli interessi dei contadini ai danni di quelli dei grandi proprietari terrieri. Ce l'ha con i comunisti e con i socialisti. Mio nonno sa nomi e cognomi di tutti i morti ammazzati dalla mafia in quei 3 anni successivi alla fine della guerra mondiale. E sa che presto anche lui potrebbe far parte di quell'elenco funesto perchè, da sindaco comunista, si è sempre battuto per la concessione di terre ai contadini. Del resto, un funerale "intimidatorio" già gliel'hanno fatto i mafiosi a Campobello di Licata, solo con la bara, senza il cadavere dentro. E' stato un ultimatum. La deve finire una volta per tutte di mettere i bastoni tra le ruote ai baroni mafiosi. Il primo figlio, Carmelo, è già nato e sua moglie Anna, mia nonna, non regge più questa situazione, ha troppa paura per la famiglia e chiede al marito di dimettersi dalla carica di sindaco e di andare via dalla Sicilia. Torneranno appena le acque si saranno calmate. La famiglia viene sempre prima di tutto, mio nonno acconsente. Ma le acque iniziano a calmarsi troppo tardi, quando ormai mio nonno e mia nonna si sono già costruiti una nuova vita a Caiazzo, in provincia di Caserta. Ormai i figli sono cresciuti ed hanno aperto un'attività commerciale. Il sogno di tornare in Sicilia è svanito. Le radici sono state divelte e rimesse in un luogo che si trova a una distanza critica dalla terra di camorra; abbastanza da non accorgersene da bambini, ma non tanto da poterci sorridere da adulti".


giovedì 4 dicembre 2008

giovedì 20 novembre 2008

Più ci si informa, più ci si incazza



Più ci si incontra, più si scambiano informazioni, impressioni ed esperienze, e più ci si incazza.
Ci si incazza perché iniziano a prendere forma e sostanza le indagini e ricerche avviate, e la conoscenza della realtà dei fatti non fa altro che giustificare ulteriormente le proteste effettuate sino ad ora.

Ci si arrabbia perché si è schiacciati dai dati. Imbarazzati e ridicolizzati dal confronto internazionale. Perché dopo indagini, ricerche e documenti passati di mail in mail, guardiamo con orrore, rabbia e tristezza la realtà.

Ad esempio vediamo che l'età media dei nostri professori ordinari è circa 60 anni, praticamente dei pensionati che fanno lezione. Imbarazzati, perchè i professori che hanno più di 50 anni sono il 57% del totale, mentre in altri paesi europei come Regno Unito, Spagna e Germania sono meno del 30%, con una media Europea del 35% circa.

In questi anni tutte le riforme ed i cambiamenti sono avvenuti prevalentemente a favore dei professori, senza mai pensare a quella che è la finalità del mondo universitario. Il 3+2, i crediti formativi, la riduzione di esami fondamentali a riassunti concentrati, l'ossessione di utilizzare sempre e costantemente criteri di analisi quantitativi, quando la conoscenza o la profondità di un concetto è un fattore meramente qualitativo. L'insegnamento stesso è un problema di qualità. Pensare alla forma e non alla sostanza. Laurearsi in tempo, inventare strani e creativi corsi di laurea, aumentare a dismisura il numero di esami che finiscono semplicemente per ripetersi poi nei contenuti.

A pochi anni dalle riforme, oggi, un giovane entra nell' università che ha smarrito l'idea e l'immagine di se stessa. Si trova solo ad affrontare corsi, esami, crediti, e media voti. Trova una struttura peggiore del liceo, ma senza tutti i suoi aspetti migliori, che ne fanno un luogo di crescita. Un luogo di apprendimento, di formazione dei cittadini professionisti e protagonisti del domani. Tutto questo è stato semplicemente cancellato.
Abusi continui e potere ricattatorio dei professori, che hanno trasformato, con la complicità della scarsità di fondi, la possibilità di lavorare e fare ricerca nell' Università in una corsa al ribasso.

La didattica e la ricerca si regge in gran parte sulle spalle di ricercatori precari. Per lo più assegnisti di ricerca, che poi ricerca non fanno. Personale cooptato e sfruttato di cui non si conosce il numero, la loro è una condizione di lavoro nero, sommerso, che non ha un ruolo preciso e definito. Sono sfruttati, para subordinati, braccianti dei professori. Contribuiscono alla produttività dell'ateneo, sono chiamati impropriamente professori dagli studenti, ma di fatto sostengono e coprono i buchi della didattica di un sistema che vede il rapporto professori/studenti essere il più alto d'Europa: 21,4 studenti ogni prof., contro una media europea di 16, dove ci sono paesi come la Spagna a 10 studenti per prof., o la Germania a 12 studenti per professore. Loro per l'Università semplicemente non esistono, non essendo mai stato fatto un censimento, o addirittura essendo stato fortemente osteggiato dai professori stessi, come è avvenuto l'anno scorso in senato accademico nell' Università Tor Vergata di Roma.
Ovviamente per continuare a mantenerli in loro potere.

Allora i professori-baroni ci hanno traditi. Hanno tradito noi, il futuro e l'università che gli era stata affidata. Hanno dato la peggior prova di loro stessi, per citare il rettore della normale di Pisa Salvatore Settis, utilizzando gran parte delle risorse per il turn-over per "promuoversi".

La nostra infatti, è una piramide rovesciata, dato che negli ultimi 10 anni gli ordinari sono aumentati del 46%, gli associati del 19% e i ricercatori, ovvero i nuovi venuti, sono aumentati solo del 16%. Dove il numero dei professori ordinari ha quasi raggiunto quello dei ricercatori ed è addirittura superiore dei professori associati. Una casta che si autoalimenta a spese degli studenti, della ricerca e della conoscenza. I professori hanno dato una pessima prova di , e non possono certo essere considerati come il punto di partenza per una riforma della università. Non possono essere il punto di partenza per l'adozione di un critico sistema di valutazione, loro che procedono alle nomine per cooptazione, loro che vivono in maniera autoreferenziale. Dobbiamo essere noi studenti il punto di partenza e centro del sistema.

In un paese dove il numero di ricercatori ogni mille lavoratori è il più basso in Europa. Dove chi vuole un futuro nell ricerca deve scegliere se rinunciare al paese o alla professione. Meno della Polonia, Lituania, Ungheria, Grecia, Portogallo, meno della Slovacchia e della Latvia, ma un po' più di Cipro, questo consola. Ovvero mentre gli altri paesi europei hanno un numero di ricercatori ogni mille abitanti che va tra 5 e 10, noi ci troviamo al di sotto della metà della media, siamo i penultimi, sopra Cipro, con un misero 2,8 su 1000.

Ci prendono in giro dicendo che si spende troppo e male. Ci rendiamo conto dai dati forniti dal ministero stesso che, nel 2004, la spesa pro-capite per studente universitario in Italia è di 6394 euro l'anno. 9 euro in più del Portogallo. Ma circa 2.000 in meno della Spagna, 3.000 in meno della Francia, 4.000 in meno della Germania e addirittura 10.000 in meno degli Stati Uniti. Al di là dei valori assoluti, i valori in percentuale sul pil pro-capite ci inchiodano sul posto. Infatti mentre tutti questi paesi spendono in media la stessa percentuale, pari al 39-40% sul pil pro-capite, noi siamo fermi ed unici, al 28%. Anche il Portogallo che in valore assoluto spende quanto noi, in percentuale raggiunge i livelli europei del 39%. Questa non si chiama opulenza, ma buona volontà.

Buona volontà ed intelligenza che manca evidentemente alla nostra classe politica e dirigente. Perchè noi non siamo solo lo specchio di una spesa fondamentalmente inadeguata. Mentre gli accordi di Lisbona presuppongono una spesa in ricerca e sviluppo pari almeno al 3% del Pil, per fare dell'Unione Europea la più grande area di innovazione del mondo, e dove altri paesi spendono circa il 2,5% , noi non raggiungiamo nemmeno il punto percentuale, stiamo allo 0,9%.

I valori sono appositamente in percentuale, perché ognuno faccia secondo le proprie possibilità, questa si chiama lungimiranza e buona volontà. Loro del futuro se ne sono sistematicamente disinteressati, dimenticati, e approfittati.

Le spese non le pagheremo solo noi, generazione che ha l'obbligo ed il dovere di re-inventarlo il futuro, ma le pagheremo tutti in termine di paese e comunità. E le stiamo già pagando, nel livello d'istruzione e di preparazione che si abbassa giorno dopo giorno, nella arrendevole passività davanti la televisione, nel decadimento politico ed autoritario, nel dibattito critico completamente assente, nella ragione che cede il passo al messaggio vincente. Loro hanno già dato prova delle loro intenzioni e del loro livello.
Non abbiamo bisogno di ulteriori conferme, quello che invece dobbiamo pretendere, conquistare e confermare è una visione, di lungo periodo, perché nel lungo periodo noi ci saremo ancora, loro no.



Per ulteriori informazioni:

rapporto CNVSU

Dati Miur

Rapporto Ocse

Dati CIVR

lunedì 17 novembre 2008

Iniziative contro la Camorra

Domani presso l'Auditorium della Regione Campania si terrà un incontro aperto al pubblico. Invito chunque si trovi nei pressi di Napoli ad andare. Per maggiori informazioni andate su http://www.studenticontrolacamorra.org/

"Presentazione dati campani VIII edizione del Questionario AntiCamorra" on 18 November at 10:00.

Event: Presentazione dati campani VIII edizione del Questionario AntiCamorra
What: Informational Meeting
Host: STUDENTI CONTRO LA CAMORRA
Start Time: 18 November at 10:00
End Time: 18 November at 13:30
Where: Auditorium Regione Campania, Italy



"Presentation of data Campania Region, Italy, the eighth edition of antimafia Questionnaire" on 18 november at 10,00 am
students against the Mafia


Da Il Mattino di lunedì, Novembre 17, 2008

di DANIELA DE CRESCENZO

Via da Napoli? Il quaranta per cento dei ragazzi intervistati dall’associazione studenti napoletani contro la camorra risponde sì. È solo uno dei dati che emergono dal questionario sottoposto anche quest’anno (l’iniziativa è all’ottava edizione) dall’associazione a più di seimila giovani napoletani. Le risposte, tutte allarmanti, saranno presentate domani alle 10,30 presso l’auditorium della Regione (centro direzionale-isola C3). Oltre ai rappresentanti dell’associazione, e a centinaia di giovani campani coinvolti nell’indagine, saranno presenti il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni; il prefetto Alessandro Pansa; il presidente dell’Amesci Enrico Maria Borrelli; la coordinatrice delle associazioni antiracket e Silvana Fucito; e il portavoce della fondazione «A voce d’e creature», don Luigi Merola, Quaranta ragazzi su cento, dunque, vogliono lasciare la città: un dato sconcertante soprattutto se si considera che altri 35 giovani su cento rispondono di non essere certi di voler restare. E preoccupa anche la linea di tendenza: lo scorso anno il 2 per cento in meno degli intervistati si diceva pronto a partire. Sono tanti i dati destinati a far riflettere e a far discutere: se resta troppo alta la percentuale di giovani che conferma di conoscere personalmente un camorrista, la stragrande maggioranza dice di aver acquistato almeno una volta merce contraffata e il 17 per cento dice di aver addirittura comprato oggetti rubati. Il concetto di legalità, dunque, resta sempre molto vago nella mente dei nostri ragazzi e la voglia di fuga sembra legata più alla mancanza di lavoro, alla difficile situazione economica, che alla volontà di liberarsi della camorra. Del resto anche negli anni scorsi le risposte furono scoraggianti. Nel 2007 uno studente su tre disse di pensare che nella camorra ci fosse qualcosa di buono, 249 (il 4 per cento) vedevano nei camorristi degli eroi e 871 (14 per cento) riconoscevano alla malavita il merito di garantire un lavoro. E, a quanto pare, i risultati di quest’anno restano in linea con quelli degli scorsi anni. Se addirittura non peggiorano, come nel caso della voglia di fuga. L’associazione anticamorra chiede, dunque, al mondo politico di riflettere. E, soprattutto, di intervenire. «Dopo il clamore suscitato dall’annuncio di Roberto Saviano di abbandonare la sua terra - dice - c’è stata una levata di scudi da parte di premi Nobel, classe politica e società civile in difesa dei diritti di libertà e sicurezza dello scrittore. Occorre che la stessa attenzione venga posta sulla nostra “meglio gioventù” che fugge non vedendo un futuro possibile nei nostri territori». E il presidente dell’Amesci (l’associazione di promozione sociale che all’iniziativa ha collaborato) Enrico Maria Borrelli lancia un appello: «Chiediamo alla politica di offrire ai giovani l’opportunità di confidare in un cambiamento scongiurando il rischio che i nostri territori si spopolino di ricchezze e di intelligenze, lasciando che dalla Campania oltre ai cervelli fuggano anche i cuori e le speranze dei giovani»

giovedì 13 novembre 2008

I Conti non tornano....i Baroni restano



Ecco parole sincere da chi ho avuto la fortuna di incrociare durante la propagazione dell'onda. Un altro spirito emerso, che cerca e si ritrova. Queste sono le parole di Davide, Bruno per gli amici, che scrive direttamente dal suo blog.

Nell'onda, io c'ero


di Davide Continanza


Finalmente dopo mesi ricomincio il progetto del mio blog.
Questa volta volevo scrivere del mitico movimento, questo è il mio sfogo. Spesso mi arriva una vocina in capoccia che mi dice "ma che cazzo fai, tanto lo sai che per loro non conti niente, che per loro sei un numero, che da solo non puoi cambiare nulla, che cosa pensi di ottenere da quello che fai?".

Io non sono così ottimista da pensare di cambiare il mondo, da pensare che ci possa essere un futuro per tutti. Però sarebbe un male peggiore stare fermi e non muovere un dito, senza neanche provarci, senza poter sperare di cambiare almeno un poco di quello che ti sta intorno. Spesso mi capita di pensare a lasciar perdere tutto, di mettermi a studiare e coltivare il mio orticello, senza dare fastidio a nessuno, poi però guardo i miei nipotini Giada e Daniele di 3 e 1 anno e capisco che questa lotta non è solo per me ma è anche per loro, perché magari loro non potranno avere le mie stesse possibilità, i miei stessi privilegi, ma potranno soltanto sperare di fare il soldo facile mettendosi a spigne il fumo perché l'unica prospettiva di guadagno è quella nel mio quartiere del cazzo. Io ho già visto troppi dei miei compagni delle medie e delle elementari fare questa fine, perché per loro non esiste una prospettiva diversa, ormai per loro non esiste un lavoro dignitoso, non è esistita una scuola che fosse in grado di dargli una istruzione vera o una famiglia in grado di sostenerli. Perché la povertà viene soprattutto dall'ignoranza, quella che i nostri cari partiti alimentano ogni giorno con le loro televisioni e i loro giornali, dicendoci che va tutto bene e che l'Italia non è in crisi (secondo loro siamo al riparo, che fancazzisti).

Per questo che ho deciso di scendere in piazza, con le mie paure, con le mie insicurezze, con la paura del manganello, ma anche con la speranza e la certezza di averci provato e poter dire magari ai posteri o a miei nipoti quando cresceranno "io c'ero o perlomeno ci ho provato".

p.s. (scusate la punteggiatura o cose simili ma sono una pippa a scrivere)



Nel frattempo l'onda si propaga anche all'estero. Giovani studenti ed erasmus italiani ancor più indignati perchè umiliati dal confronto con i colleghi europei, hanno deciso di battere un colpo anche se lontani da casa. Perchè la distanza talvolta acuisce il sentimento di frustrazione. Ecco cosa è successo a Parigi.

Domani, ormai tra poche ore, inizierà la grande manifestazione nazionale per chiedere l'abrogazione della legge 133. A seguire due giorni di assemblee nazionali ed incontri nel tentativo di far emergere quanto meno le linee guida per una controriforma. L'onda sale e noi cresciamo con lei.


martedì 28 ottobre 2008

L'onda che sale

Una generazione che non si vuole dare già per vinta. Una generazione che è al punto di partenza e già si sente condannata. Una generazione che si è sentita dare della sconfitta senza nemmeno aver giocato. Una generazione ricoperta, di abusi, di schiaffi, di sputi, di merda. Un generazione di sommerso. Intelligenze, capacità e talenti. Sommersi. Una generazione che è emersa. L'apnea è finita. L'onda è salita. L'onda sale e noi cresciamo con lei.

Noi che siamo giovani, noi che siamo pronti, noi che sappiamo più di voi. Noi che viaggiamo, noi europei senza confini, noi che abbiamo un'idea di mondo. Noi figli della globalizzazione, noi abituati al diverso, noi rivoluzione silenziosa di questo decennio, noi che siamo la rete. Noi che in luoghi virtuali ci confrontiamo, noi che affermiamo il vero principio paritario, noi che navigando in luoghi sempre più estesi ci siamo conosciuti e stretti la mano. Noi che abbiamo creato la rete di persone, ora ci teniamo più forte.

Noi volevamo crescere con un'idea di futuro, che fosse bella, come ogni giovane generazione.
Ma ci hanno fatto crescere sempre con un'altra idea. L'idea di fare bene il proprio lavoro, l'idea di impegnarsi, l'idea di eccellere, l'idea di riuscire, l'idea di meritarselo, l'idea di subire, di accettare, l'idea che non serve a niente, l'idea di seguire chi sta da prima di te, l'idea di prendere altre idee, l'idea di non avere un' altra idea. Peccato. Peccato che ci abbiano sempre dato prova del contrario, peccato che ci abbiano sempre deluso, peccato che non siano stati alla nostra altezza. Perché se è vero che noi possiamo imparare dal passato, è vero anche che loro non sanno niente del futuro. Noi siamo la prima generazione in cui la velocità delle nuove conoscenze è tale, tale e quale ad un click. Istantanea, fulminea sempre turbolenta. Quanto? Troppo per loro, che non hanno il passo per coglierla. Troppo rapida per loro che hanno già ipotecato il nostro futuro.

Nell'idea che ci hanno dato, nell'idea di perderci ci siamo ritrovati. Siamo cresciuti senza valori assoluti, anzi li abbiamo visti cadere. Troppo piccoli per ricordarsi la caduta del muro, troppo giovani per apprezzare la caduta della prima repubblica, troppo ingenui per capire la caduta dello Stato, troppo impotenti per fermare un mondo che non ci interpellava mai.
Il cambio l'abbiamo vissuto anno per anno e giorno per giorno. L'abbiamo vissuto talmente, mai determinato, ma solamente subito, che l'abbiamo interiorizzato. Nel nostro stile di vita, nelle idee, nelle opinioni, nelle prospettive, nelle scelte, nei valori. Volevamo crescere con l'idea di un futuro avventuroso, flessibile ed imprevedibile. Un futuro di speranza, un futuro bello, un futuro nostro. Perché noi siamo il cambiamento, noi siamo gli ereditieri. Perché il nostro momento è adesso, da prendere ora, o non ce lo daranno mai. Perché il loro tempo è già passato, questo è il tempo che solo noi possiamo gestire e loro lo stanno abusivamente e mafiosamente occupando. Loro che non parlano nemmeno inglese, loro che non hanno idea di cosa si possa fare oggi, loro che, semplicemente non sono in grado. Il tempo delle scelte, delle idee, delle visioni, è nostro. Il tempo che hanno ipotecato, il futuro che è stato svenduto. Ciò che a noi tocca riscattare.

E lo sanno, sanno che ci lasciano un paese deficiente di democrazia, deficiente di progresso, deficiente di innovazione, deficiente di ricerca, deficiente di prospettive, deficiente di strategia. Un paese deficiente. Un paese deficiente di legalità e rispetto, un paese a conduzione mafiosa e camorristica. Il rispetto e la legalità insegnataci a casa, si imparava a calpestarla fuori. E' così che siamo cresciuti. Con il rifiuto della politica dicono, con il rifiuto del vecchio rispondo. Con l'indifferenza di scegliere affermano, con l'impossibilità di partecipare penso. Erediteremo il debito più alto d'Europa, e questo già lo sappiamo. Rappresentiamo il sacco che hanno depredato su cui vivono e vivranno. Siamo una generazione di mammoni ritengono, siamo stati condannati senza nemmeno il processo replico.

Siamo gli ostaggi dati in cambio delle loro inefficienze, i loro errori, le loro ruberie. Siamo il loro lasciapassare, il cuscino su cui si adagiano, la catena forzata della loro vecchiaia. Siamo la truffa dell'evoluzione anti-democratica nell'era della alta finanza. Avendo capito che era troppo difficile fregare i presenti, se la sono presa con gli assenti, se la sono presa con il nostro avvenire.
Ma nel momento in cui saremo i proprietari del debito di ieri, vogliamo avere la paternità delle scelte di oggi.

Oggi è il tempo del cambio. Oggi è il momento di affermare un diritto. Il nostro diritto. Il diritto di contare. Il diritto di decidere. Il diritto di intervenire. Il diritto di riprenderci il maltorto senza appello, il diritto di affermare, il diritto a cui tutti si appellano puntualmente ad ogni generazione, un diritto di proprietà, il diritto a noi stessi.

mercoledì 22 ottobre 2008

Iniziative contro la Camorra

Tramite Facebook, la rete, i blog, qualcosa si muove e qualcosa si organizza. Segnali e richiami rimbalzano come tante palline impazzite, un passa-passa di bocca in bocca, di schermo in schermo, la realizzazione dell'informazione istantanea, la conseguenza di una reazione simultanea.

Spiriti animali ed indomabili, indignazione, rabbia e urla, si concretizzano nella rete, in maniera immediata parte un appello che placa le necessità del momento, e cioè esprimersi ed agire, pregare ed intervenire. Parole come palline impazzite di un flipper che vuole fare solo punti, rimbalzano e si trasformano in azioni, in persone, eventi.

Allora troviamoci, incontriamoci, parliamoci, cambiamoci e cambiamo. Vediamo, cresciamo, comunichiamo, resistiamo, rafforziamo e proviamo, proviamo quello che dobbiamo, ovvero agiamo.



da studenti contro la camorra


"L’indignazione, la vergogna, la voglia di una società migliore ci spingono a dire No alla prepotenza e al giogo della Camorra. Abbiamo voglia di manifestare il nostro disappunto verso atteggiamenti di esplicita arroganza nei confronti di chi da anni denuncia una realtà rimasta troppo tempo nell’ombra. Abbiamo voglia di manifestare la nostra solidarietà a Roberto Saviano, perché tutti noi ci sentiamo nel mirino, perchè tutti noi SIAMO Roberto Saviano.

L’Associazione Studenti Napoletani Contro La Camorra e la NACO – Nuova Anticamorra Organizzata, invitano le associazioni giovanili, le associazioni studentesche e i giovani tutti, a compiere un gesto semplice e simbolico come quello di indossare nei prossimi giorni un nastrino, un indumento, un accessorio o qualsiasi altra cosa, di colore Fucsia. Fucsia come i coltelli di Gomorra. Quei coltelli che simboleggiano insieme la malvagità e la prepotenza dei clan camorristici che da anni tengono in pugno il territorio campano, ma che sono anche una lama di speranza. Una lama capace di tagliare il velo d’ombra che per troppo tempo ha coperto questo territorio. Un ombra che non ha reso visibile al mondo quello che accadeva qui, perché se è vero che i camorristi si ammazzano fra di loro, è anche vero che da anni il territorio campano subisce i danni e gli oltraggi di tale potere. Ma ci voleva un giovane, un giovane coraggioso e testardo che dalle pagine di un libro ha raccontato al mondo cosa significa vivere in “terra di camorra”.
Giovani come Roberto, giovani come i tanti che in territori di confine, nelle scuole di periferie, nei quartieri e nella città di questa regione quotidianamente resistono al potere dei clan.
Oggi tutti noi abbiamo il dovere civile, oltre che morale, di stringerci intorno a questa persona, perché se Roberto venisse ucciso, non sarebbe solo l’ennesima vittima del “sistema”, ma morirebbe la libertà di scrivere, la letteratura, il giornalismo di cronaca, tutti noi saremmo sempre più in pericolo.

Invitiamo quindi i giovani di questa città, e chiunque volesse unirsi a noi, a presentarsi il giorno 27 ottobre alle ore 18 a Largo S.Giovanni Maggiore Pignatelli (di fronte Istituto Universitario Orientale) per gridare insieme il nostro NO alla Camorra e la nostra solidarietà a Roberto Saviano".



mercoledì 15 ottobre 2008

In guerra nessuno è neutrale


di Salvatore De Rosa


Scrivere comporta uno sforzo. Quando la scrittura non è sfogo di un ego frustrato, quando si distanzia dalla confessione solipsistica e tenta invece di farsi interprete di un segmento di mondo, di una condizione umana, di un meccanismo sociale, allora essa è fatica e sacrificio. Questa scrittura, che non riempie pagine di un flusso di coscienza straripante ma stilla ogni frase dal lavoro di ricerca continuativo e sagace, è come un bomba ad alto potenziale, un’esplosione che coinvolge e abbraccia tutto nel suo dilagare e il cui detonatore è un sentimento per i più fuori moda: l’impegno civile. Una scrittura partigiana, che non fa prigionieri, che tradisce famiglia, affetti, appartenenza, maestri e protettori pur di arrivare là dove la cocciuta ossessione della verità conduce: a un disegno della realtà, a una mappa delle responsabilità, a un ordine nella concatenazione di cause ed effetti che producono una condizione storica, alla forma definita che fugacemente la vita assume nello svolgersi caotico degli eventi. Nessun gioco retorico, nessuna concessione al politically correct, solo fatti, racconto e la forza del messaggio affidata alla sua forma estetica.

Roberto Saviano sta sperimentando sulla sua pelle l’effetto devastante che ha sull’esistenza il prendersi carico della responsabilità di tale scrittura. La vita sotto scorta, l’allontanamento forzato dalla propria terra e ora dall'Italia, la solitudine imperante in stanze sempre diverse, l’assenza di normalità. Eppure lui è un ragazzo normale. Non un maestro di vita, né tantomeno un profeta, è “solo” un ragazzo nato in Campania stufo di computare i morti ammazzati, incapace di pregare favori per una raccomandazione, esasperato nel vedere ville sontuose di boss e deserti urbani le une accanto agli altri e del tutto alieno alla capacità di essere indifferente, di andare avanti fottendosene di ciò che ha intorno. E ora che ha dovuto rinunciare a tutto, persino all’amore, oltre alle concrete minacce dei boss deve difendersi da chi lo accusa di aver scritto per convenienza, per soldi. Ma i soldi non restituiscono l’allegria quotidiana di un giorno di sole liberi dalle preoccupazioni, i soldi non possono comprare la gioia di andare a bussare l’amico di sempre per una partita a pallone, i soldi non ti ridanno gli occhi profondi della tua ragazza il giorno che l’hai portata al mare dopo aver vagato senza meta in sella alla vespa.

Gomorra, il suo libro, ci inchioda alla nostra vita, ci sussurra “ti riguarda”, ci mostra gli anditi nascosti dello sfacelo di cui ci lamentiamo ma che non abbiamo mai voluto approfondire e indica i responsabili senza possibilità di fraintendimenti. Non è vero che non c’è la bellezza delle nostre terre tra le sue parole, anzi, la ricerca della bellezza è la linfa vitale di cui si nutrono, il senso della perdita di quella bellezza è l’impalcatura dell’inferno che ci mostra. Dopo aver letto la tragica e coraggiosa storia di don Peppino Diana, trucidato da sicari impauriti di dover ammazzare un prete, chi potrà accusarlo di dimenticare le forze contrastanti al potere dei clan, di non tenere in considerazione le “persone oneste” che pur abitano la mia terra disastrata? La verità mostrata nuda s’insinua nelle nostre giornate come una spina sotto al piede, e ad ogni passo ci chiede conto della nostra inazione, della nostra acquiescenza. Per questo è fastidiosa, per questo c’è chi la condanna ricercando cause e pretesti per depotenziarla, come se urlasse nelle sue critiche “bastardo! Perché mi hai aperto gli occhi?!”.


“non si tratta di stabilire colpe, ma di smetterla di accettare e subire sempre, smettere di pensare che almeno c’è ordine, che almeno c’è lavoro, e che basta non grattare, non alzare il velo, continuare ad andare avanti per la propria strada. Che basta fare questo e nella nostra terra si è già nel migliore dei mondi possibili, o magari no, ma nell’unico mondo possibile sicuramente” (da "Lettera alla mia terra")


In questo scritto, ultimo ad essere pubblicato prima delle temibili rivelazioni del pentito, trasudano l’indignazione e l’amarezza nei confronti di chi, pago di sé stesso, sorseggia un caffè in un bar qualsiasi da Mondragone ad Acerra convinto che vada tutto bene, che non ci sia nessuna guerra nel perimetro che calpesta, che in fondo lui non c’entra niente con i clan. Non è così. Siamo tutti coinvolti. Per quanto possa essere destabilizzante e terribile ogni nostro gesto in queste terre è una concessione da chi detiene il potere. Dal commercio alla sanità, dalle infrastrutture ai rifiuti, le strade, il cibo, il lavoro, la salute, il divertimento, tutto è legato al filo mosso da uomini bestiali vestiti elegantemente, pochi e feroci individui che sotto la minaccia delle armi o con la convenienza che possono offrire i padroni del territorio, controllano, gestiscono, amministrano e lucrano sulla pelle e sulle anime di chiunque voglia semplicemente esistere. Nessuno è libero, nessuno può sentirsi escluso; resta la fuga o l’adattamento forzato che si risolve in connivenza, anche se non si è mai impugnata una pistola. Il dolore di Roberto, che esplode nell’incalzare della “Lettera”, si concentra nell’invocare una terza via, una possibilità che restituisca dignità agli uomini e alla loro terra: la resistenza, l’indignazione, la condanna. Il fare comunità e discuterne, scegliendo consapevolmente la parte in cui si vuole lottare. Perché in guerra nessuno è neutrale, e chi non decide viene soverchiato dal più forte e deve accettare le sue condizioni. Noi siamo in guerra perché ci hanno usurpato della capacità di decidere il nostro sviluppo, il nostro futuro. Siamo in guerra perché


“se i vostri figli dovessero nascere malformati o ammalarsi, se un’altra volta dovreste rivolgervi a un politico che in cambio di un voto vi darà un lavoro senza il quale anche i vostri piccoli sogni e progetti finirebbero nel vuoto, quando faticherete ad ottenere un mutuo per la vostra casa mentre i direttori della stessa banca saranno sempre disponibili con chi comanda, quando vedrete tutto questo forse vi renderete conto che non c’è riparo, che non esiste un ambito protetto, e che l’atteggiamento che pensavate realistico e saggiamente disincantato vi ha appestato l’anima di un risentimento e rancore che toglie ogni gusto alla vostra vita”.


Roberto ci incita, ci urla di non abituarci ad accettare tutto questo, di non imputare la nostra assenza sul campo alla paura, poiché una vita da schiavi è peggio dei rischi di una reazione. Paura di che poi? Noi che sottostiamo alla legge dei clan siamo molti di più, abbiamo da unire le nostre forze per sognare un futuro possibile libero finalmente da un manipolo di affaristi armati.


Con la sua scrittura Roberto ci mostra noi stessi sotto una luce che ci ostiniamo a non considerare o che ci rifiutiamo di trasformare in azione, ma è la luce abbagliante della verità.

Per ora il suo sforzo non è stato vano. É solo grazie a lui che le telecamere dei media nazionali sono entrate nell’aula bunker di Poggioreale alla lettura della sentenza del processo Spartacus; è solo grazie a lui che oggi un bolognese o un milanese non possono liquidare la questione della camorra con un sorrisino di superiorità e un rimando al Sud arretrato. Ciò che sta nascendo in termini di movimento anticamorra qui in Campania porta anche la sua impronta, e molti giovani come me hanno tratto un esempio da questo ragazzo introverso che parla senza fronzoli di questioni che riguardano tutti. Un esempio, non un santino. Mi sforzo di immaginare la ribellione possibile che noi, e nessun altro, possiamo porre in atto, a partire da una rivoluzione delle nostre abitudini, delle nostre discussioni, dell’uso che facciamo del nostro tempo. In un fantasioso ascesso di rivolta al potere imposto dei clan, mi immagino tra le falangi di un esercito, con Roberto che non è un generale, ma semplicemente il soldato al mio fianco. Poiché non abbiamo bisogno di capi e strateghi, sappiamo esattamente cosa fare: riconquistare la nostra dignità

Un libro

Un libro. Il libro. E' riuscito a cambiare il modo di vedere le cose, il modo di pensare, di agire, di scegliere. Un libro, le parole, unite al coraggio hanno potuto tutto questo.
A chi ha sempre creduto che le parole nulla potevano, che tanto vale provare a dimenticare, a partire, fuggire, o peggio a non pensare, ad essere indifferenti e conviventi conviene guardare cosa è successo da due anni a questa parte, come noi campani siamo visti ora, terre conosciute solo dai loro stessi abitanti sono diventate luoghi conosciuti ai più, sulla bocca di tutti, terre che hanno cambiato l'immaginario collettivo.

Un libro, un successo grazie alla scelta dei lettori, dei cittadini avidi di sapere, di informazione. Un successo che, paradossalmente, anziché premiare proprio chi aveva scelto di restare, resistere a tutti i costi, di vedere e far vedere le cose in modo nuovo, chi ha portato il cambiamento, chi è riuscito proprio in quello che più manca, costringe a partire. Quasi una maledizione, giovani che fanno la fila per partire, e lui che aveva deciso di restare per fare qualcosa e farla con successo è condannato a partire. Non è una resa, non è un abbandono, è un diritto richiedere quello che tutti hanno già senza aver dovuto combattere per essa, una vita.

Allora da questo blog che fa del viaggio, delle scelte che determinano partenze e ritorni il suo filo conduttore parte un augurio, che sia partire per poi tornare. Che sia un viaggio pieno di piacevoli sorprese, che sia di ricarica, rinvigorente, come solo un viaggio può fare, di nuova energia, di amore e forza. Perché abbiamo ancora bisogno delle sue parole, della sua forza.

Roberto Saviano ci ha dato una lezione, esemplare, di cui tutti dovremmo seguire il richiamo.
Nel momento in cui parte, lascia l'Italia, è giusto che siano tanti, molti, ad occupare il terreno da lui spianato. Perché ha incominciato un percorso, un cambiamento e tocca a tutti continuare, fino in fondo. Un libro e l'interesse che ha suscitato ha potuto ciò, l'impegno di tutti può ancora di più. Una vita onesta e nel rispetto delle regole, non basta più, o meglio non è mai bastata, a chi si ritiene protetto e in pace grazie a ciò, gli si ricorda che poter far qualcosa qui equivale a dover fare qualcosa. Più impegno, più partecipazione, più criticità, più coscienza. Non nascondersi dietro il paravento dell'atto eroico impossibile, ma possiamo tutti fare la nostra parte. Nel caffè al bar, nel dibattito in classe, nella cena in famiglia davanti al notiziario, nell' uscita con gli amici, al posto di lavoro, nella denuncia di un sopruso, nella partecipazione ad un appalto, nello scrivere un articolo, nella scelta del candidato, nella scelta del business, nel comprare, nella raccolta differenziata, nella scelta alla felicità, si può sempre prendere una posizione, c'è sempre una posizione.

La scelta di non zittirsi, la parola che a lui vuole essere taciuta, può essere presa da noi, è ora di prendere il microfono che lui sta passando. E' ora di tenersi pronti perché per tutti verrà il momento, il momento di esplicitare e concretizzare la propria posizione, il momento di scegliere, per chi parte, chi torna, e chi è rimasto. Verrà il momento per tutti di fare la propria parte, di parlare, di alzare lo sguardo, e già se non l' aspettassimo, ma quel momento lo cercassimo noi a viso aperto, sarebbe un prendere la parola.

giovedì 9 ottobre 2008

La diaspora degli innocenti



Andrea è un percorso inverso. Nasce, cresce e studia a Caserta per lasciarla sull'entusiasmo dei 18 anni, direzione Bologna. Studia, sperimenta, viaggia, va in Normandia, a Rouen, per un anno. Insomma cresce. Ma sempre proiettato all'esterno, al nuovo, al diverso. Affascinato da nuovi mondi, situazioni improbabili e imprevedibili, inizia a pensare. A ricercare il senso dei suoi percorsi. Prossimo alla fine di un ciclo di vita, di studi, inizia a porsi domande reali sul dopo, sull'avvenire.

Si chiede come valorizzare i percorsi da lui avviati, le cose da lui apprese, come arricchire ulteriormente la sua persona, forse andando più lontano? Per quale meta? Quale paese? Domande che sembrano obbligate a cui si fatica a dar risposta. Ma come spesso accade quando la chiarezza arranca la colpa è delle domande. Domande scontate, normali, interrogativi condivisi, socializzati, ma forse sbagliati. Perché nella nostra italiana generazione è diventato scontato partire, emigrare, cercare il dove si sta meglio, cercare l' America. Con invidia a chi sia già partito, con stupore o commiserazione a chi avendone la possibilità ancora non sia fuggito.

Un modo di vedere le cose tipico di una generazione abituata a cercare la realizzazione solamente altrove, o per mano altrui, evoluzione mentale del cittadino parassitario, evoluzione ulteriore dell'attesa perenne delle divina provvidenza. Una vita, un atteggiamento di attesa, non da speranze disilluse, ma da illusi in cerca di speranza.


Andrea ha seguito un percorso inverso, tra lo stupore di molti, e l'indifferenza di tanti, Andrea ha deciso di tornare per vedere e raccontare. Per rivivere una terra e una città che sente come sua, ma che adesso avrà la possibilità di conoscere, interpretare e confrontare. Partire per poi tornare, riprendersi con le parole e con i denti quello che tutti volevano da un'altra parte. Lascia Bologna e designa Napoli, come tappa successiva del suo percorso, nessun regresso, nessun fallimento, ma una maturità. La maturità di uno sguardo sulle cose, che chi lo conosce poco può scambiare per ingenuità, ma è consapevolezza della semplicità della vita, assenza di paura ingiustificata e passione sincera. La maturità di prendere una decisione e marcare una posizione, scegliere, marcare e scrivere, e allora che parola sia.





La diaspora degli innocenti



È un triste e risaputo sentimento
I cam
pi soffici e verdi
Sono ricordi quelli che rubo
Ma tu sei innocente quando sogni
Quando sogni
Sei innocente quando sogni”

Tom Waits


La diaspora degli innocenti

di
Andrea Bottalico

Parte prima
L’ho vista con i miei occhi. Sarà stata una delle solite notti d’estate, o forse autunno, non ricordo. Sull’asfalto però non c’erano foglie sparse. Avevano lasciato un lenzuolo bianco macchiato di chiazze rossastre, la segatura. Io camminavo come in un labirinto, sembrava tutto stranamente vero.. tanti uomini, donne anziane e bambini in fila ad aspettare, e l’attesa sembrava eterna. Erano, come dire, in fuga, ma restavano fermi immobili. Carmine era proprio lì davanti a me, seduto sul muretto, con il viso nascosto tra le mani e la voce simile a quella di un folle.. «Bisogna perdere l’equilibrio» diceva impaurito: «L’equilibrio l’equilibrio l’ equilibrio!» Poi si allontanava nel buio, dandomi le spalle. La sua voce svaniva a poco a poco… Era troppo tardi. Raffaele già era sparito.. Un serpentone di uomini umili e stanchi s’allontanava lentamente dalla memoria, si disperdevano come schegge di una supernova appena esplosa. Costretti, loro avrebbero preferito restare.

Sono sogni: gli unici momenti in cui sono convinto di essere innocente. Poi per il resto del tempo non ci sono scuse, non posso trovare giustificazioni. La realtà quotidiana mi trascina a peso morto nelle piazze assolate, a piedi oppure in bicicletta per i paesini limitrofi agonizzanti, ad ascoltare i vecchi seduti alle panchine: devo bruciare tutto il disprezzo accumulato, smaltire gli sguardi arroganti che osservano tutto di tutti, smaniosi di mostrarsi e di mostrare, ma più mi guardo intorno, peggio è.
«…Da questo posto marcio se ne stanno andando via in punta di piedi» mi dicevano degli uomini rassegnati, il giorno dopo. E Gennarino più di ogni altro, lui non riusciva a trovare pace. Se ne stava lì fuori a sfogliare le pagine del giornale locale per cercare la notizia dell’ennesima tragedia. Non ci voleva credere: Raffaele? Impossibile! Poi attaccava con le sue invettive a ruota libera, senza risparmiare nessuno:
«Lo vedi Andrè.Nessuno vuole restare in questo posto fatto di caserme banche punti SNAI e centri commerciali. Nessuno vuole vedere i propri figli seduti in una sala d’attesa di un reparto oncologico. Sembrano lontane anni miglia le immagini delle campagne appestate, degli incendi, dei cittadini disperati..ma quelli che scappano via da qui non lo dimenticheranno mai. Mettitelo bene in testa!..» Gennarino percepiva istintivamente ogni mutamento di clima, e dall’alto dei suoi settant’anni passati ad imprecare Cristo lo ripeteva ad alta voce, dinanzi agli sguardi indifferenti che lo credevano ubriaco: «Maledetti fottuti! Vili! Voi ed i vostri servi!.. Non fanno altro che aprire nuovi centri commerciali, questi cani!. Ma quale emergenza rifiuti!..qua si ricicla più della Svizzera!» (si riferiva al denaro sporco..)

«..L’ ho vista coi miei occhi, ti dico. E ancora continuo a vederla. Intorno a me c’è gente che fugge di notte, un popolo di fuggiaschi, Andrè. Loro non ci stanno. Hanno sputato in faccia alla realtà e gettato via ogni singola speranza di riscatto. Dove sono finiti tutti?! Eh? Dove diavolo sono finiti?!» Una domanda che mi ripeto la notte ed il giorno, nel deserto pomeridiano tra le strade ai margini della città. «Solo in pochi restano, e sono considerati come sconfitti. E se vai via per poi ritornare allora sei un fallito!.»
Raffaele. L’unico innocente. O forse uno dei tanti. In tutta Italia dal duemilasette ad oggi ne sono morti quasi millecinquecento, tra quelli dichiarati. Perché se consideri il popolo dei lavoratori a nero le vittime ne saranno molte di più. Raffaele era troppo giovane. Lui ha pagato il prezzo più alto per avere scelto. Proprio lui.. «Possibile che non abbia mai provato ad andarsene via in tutti i modi?!» Forse stava progettando il futuro altrove, il più lontano possibile. Abitava insieme alla madre e ai quattro fratelli nelle palazzine della centosessantasette.

Iniziò a lavorare con un mastro elettricista.
«Lo sai cosa significa questo, vero? Aveva i pali sotto casa e la base dei puffi a trecento metri, dove spacciano di tutto». Nonostante ciò faceva l’elettricista e nel tempo libero giocava a calcio. Era troppo forte. Lui era il guaglione, aiutava ed imparava in fretta il mestiere, sveglio com’era! A diciassette anni, chissà quanti sogni aspettavano d’essere esauditi.
«Per prima cosa devi stare attento a non prendere la corrente.. Se impari il mestiere guadagni, e per mezza giornata di fatica prendi cinquanta euro» mi diceva con gli occhi illuminati. Vallo a capire se era vero..

Quella mattina a Casalnuovo faceva un caldo atroce. Raffaele andò a montare un condizionatore d’aria in un appartamento al quarto piano insieme al mastro elettricista. Sale sulla scaletta, si appoggia alla ringhiera, inizia ad avvitare, posiziona il condizionatore, spinge la miccia del trapano nel muro, esce della polvere biancastra che sporca il pavimento del balcone. Le gocce di sudore gli cadono dalla fronte. Poi uno sguardo nel baratro, un altro ancora. Un brusco respiro al contrario. Raffaele si sente attratto come una calamita dal vuoto, un movimento azzardato e perde l’equilibrio. Precipita. Un volo di quindici metri. Raffaele prima di morire ha provato la sensazione di volare.
Sul selciato una macchia di sangue, poco dopo la segatura ed un lenzuolo bianco stavano lì a vegliare sull’ennesima vita morta ammazzata dal lavoro.. intorno al corpo tanti uomini, donne anziane e bambini in fila ad aspettare, ma l’attesa sembrava eterna…

Carmine quella notte me lo sussurrava nell’orecchio, come chi confida ad un amico stretto un’infame verità.. «Bisogna perdere l’equilibrio, cazzo!» Miriadi di spilli cadevano su un pavimento di vetro. Il tonfo fastidioso si amplificava nell’attimo dell’urto. Erano voci infinite ed esauste, inondate da altre voci che sbuffavano sulle sponde dei muri di cemento. Il corpo implorava pietà ma non potevi opporti al suo diniego, come il rumore delle unghie affilate che graffiano la parete bianca appena intonacata.. un brivido attraversava tutta la schiena. Incontrastato. Ma tu sei innocente quando sogni.. Io lo capii soltanto dopo quella notte. Alla fine a cosa serve? A cosa serve pensare? Pensare che fra un paio di mesi Raffaele avrebbe compiuto diciotto anni. Pensare che se magari avesse avuto l’attrezzatura di sicurezza, che ne so un caschetto, Raffaele adesso sarebbe ancora vivo. Riflettere ancora su una triste verità, e cioè che ora tutti nel suo quartiere saranno convinti che se vai a fare un mestiere onesto sei un perdente, che era meglio se Raffaele avesse scelto di iniziare da capo la sua vita altrove, come se in Lombardia o in Veneto o in Emilia Romagna non ci fossero stragi di lavoratori. Che non conviene rischiare la vita per cento euro la settimana quando avresti potuto guadagnarne dieci volte in più restando fermo all’angolo della strada con gli occhi spalancati.
Bisogna ricordarlo. A nome di tutte le altre vite stroncate. Innocenti dispersi tra i notiziari. Come miriadi di spilli che cadono su un pavimento di vetro.

Raffaele Chianese, diciassette anni, elettricista, morto il 13 luglio 2008 a Casalnuovo (NA)
Se esiste un Dio, non si trova nei paraggi” dice una scritta anonima sopra un muro di periferia. Qualcuno ha aggiunto sotto: “Se n’è fuggito pure lui!!





Pubblicato su Nazione Indiana il 3 settembre 2008.

lunedì 6 ottobre 2008

Io sono Andrea


Tutto, ma da questa parte.

giovedì 25 settembre 2008

Tutto, ma da un'altra parte


Tutto. Tutto deve essere da un'altra parte. I sogni, la vita, il futuro, le idee, le energie, la felicità, le prospettive, i pensieri, le soluzioni. Altrove, da un'altra parte. Qui, rimangono i problemi, le insoddisfazioni, gli ostacoli, le barriere, la polvere mai smossa. Qui niente, o quasi.

Altrove tutto deve essere in un altro modo, tutto deve essere diverso. Altrove posso trovare e provare tutto, o quasi. Posso trovare tutto quello che nuovamente cerco. Una vita resa libera e leggera, da me. Un mondo da straniero, da viaggiatore, di vacanza, un mondo da scoprire, bello e sconosciuto. Un mondo dai sensi più affilati, particolari da cogliere lì dove si vuol cogliere, lì dove occhi stanchi non vedono più. Occhi non coinvolti, cristalli ancora non impressionati, specchi di un'anima ancora non impregnata osservano lo scorrere di esistenze terze, di estranei che dalla distanza di un sipario trasformano le proprie tragedie quotidiane in un' affascinante commedia di vita.

Una distensione permanente allungata dalla distanza mentale minimizza i problemi del quotidiano, e allora quella che è una vita non molto diversa, diventa speciale, più ricca, più appagante. Per un senso di nuovo, continuo entusiasmo, per una gioia infantile, piena irresponsabilità, che porta a prendere solo le cose migliori dimentichi di tutto il resto che sta anche dall'altra parte, o quasi.

Calvino in qualità di esule volontario a Parigi ha scritto "il luogo ideale per me è quello in cui è più naturale vivere da straniero", in parte aveva ragione, ma stranieri, per quanto ancora?

Piccole cose che non hanno più importanza, altre che acquisiscono un'importanza fondamentale, ciò che avevamo sempre trascurato torna prepotentemente agli occhi. Al ritorno vedi per la prima volta lo squallore di una strada, sfondi di montagne divorate, sporcizia, bruttezza, illogicità, fantasmi che ululano con rabbia che fa anch'essa il suo ritorno, sentimenti forti che tornano assieme alla bellezza mai notata prima, alle potenzialità, agli stupri avvenuti, alle occasioni mancate. La povertà di emozioni che accompagnava questi luoghi scompare, il risentimento prende il suo posto accanto alla voglia di futuro, all' aspettative, all' impegno.


Piccole cose ingigantite o annullate dalla ripetitività, lamenti comuni del quotidiano altrove sono dimenticati, ma finiscono in sordina anche al ritorno.
Allora lì dove la vita non pone grosse differenze, siamo noi ad introdurle, ad evitarle, ad ometterle, a rendere la vita più speciale. Tutto ciò a cui siamo indifferenti, da cui siamo irritati, annoiati, infastiditi e delusi, altrove cambia, sensibili a cose che qui non apprezziamo o non avremmo apprezzato, qui ma non altrove. Tutto deve stare da un'altra parte quando si tiene sottochiave la propria anima, la si deruba, la si detiene, la si incarcera nei luoghi da cui proveniamo.

Allora sta a noi cercare le chiavi per liberare le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre insoddisfazioni, le nostre visioni. Per risvegliare dal sonno polveroso la nostra coscienza, il nostro essere, la nostra imprevedibilità, per esprimere quel che di meglio concede la libertà, ovvero quello che ancora non immaginiamo di poter fare.

Tutto, o quasi, può stare da un'altra parte.
Tutto o quasi deve stare proprio lì, da dove proveniamo, tutto o quasi può essere rivisto, tutto o quasi può essere cambiato con la forza di tornare, la voglia di vivere qualcosa che si senta come proprio. La voglia di dormire tranquillamente, la voglia di sentirsi realizzati, completi, soddisfatti, e non esuli, non emigrati, non fuggiti. La voglia di camminare a testa alta, la voglia di parlare, di spiegare e capire, la voglia di trovare. Ritrovare il punto da cui si era partiti, dare un senso al percorso fatto oltre che una direzione, la voglia di segnare la bussola che è stata utilizzata, la voglia di sentirsi ancora bene nel centro che fu del proprio mondo.
Ritrovare le origini, ma non solo, realizzare un impegno anche. Utilizzare le energie adesso, soprattutto. Con intelligenza, con la penna, con pragmatismo, misurando il tempo, rispettando le fasi, assecondando le proprie scelte. Non fuggire più, per tornare a cavallo laddove si andava solo a piedi.

Non tutto deve stare da un'altra parte, c'è qualcosa che non si può trovare altrove. Il senso. Il senso di un percorso lo si può capire, apprezzare, solo tornando, restando, resistendo, cambiando. Provandoci, senza diventare martiri, ma nemmeno finire così come abbiamo cominciato, se non pure peggio. Tutto o quasi, da questa parte.