lunedì 23 agosto 2010

Le discussioni barbare continuano


In questi ultimi giorni non mi poteva sfuggire l'ultima discussione avvenuta tra Baricco e Eugenio Scalfari sulle pagine di Repubblica. Una lettera indirizzata dal primo al secondo, fondatore ed ex direttore del quotidiano, in cui si discute di "Barbari e Imbarbariti".

La tesi di Baricco è sempre la stessa espressa nel suo libro "I Barbari" che mi ha fornito tanta ispirazione da scrivere ben quattro post: qui, qui, questo e quest'altro.

E' comunque interessante vedere l'autore tornare sull'argomento a distanza di anni (il libro è stato scritto nel 2006) perchè ho l'impressione che si sia addolcito e che il tono apocalittico abbia lasciato il posto a più misurate e precise osservazioni come appunto la differenza tra "Barbari e Imbarbariti".

Traspare, ma forse è solo una mia impressione, una maggiore positività verso il futuro che si sta costruendo (e quindi non distruggendo):

"Quel che mi sembra di aver capito è che quella forma di barbarie genera inevitabilmente imbarbarimento ma anche, e simultaneamente, ricostruzione, e civiltà. Non potrebbe essere diversamente".

E sulla distinzione tra "barbarie" e "imbarbarimento":

"E allora perché dovremmo giudicare Steve Jobs dai messaggi sgrammaticati che la gente si scambia sui suoi Iphone? Perché non ci arrendiamo all'idea che l'imbarbarimento è una sorta di scarico chimico che la fabbrica del futuro non può fare a meno di produrre? Simili rifiuti li ha prodotti l'Illuminismo, e prima di allora l'Umanesimo, e prima di allora l'idea imperiale di Roma, e prima di allora... Così mi viene istintivo non farmi distrarre dall'imbarbarimento, e di studiare la barbarie".

Insomma rispetto alle argomentazioni portate avanti nel libro in maniera abbastanza intuitiva e approssimativa ecco che appare una fondamentale distinzione che separa le cose meritevoli del "radicamente nuovo" dagli "scarti chimici" prodotti da tutte le sottoculture di tutte le civiltà nei secoli dei secoli.

Quindi ai Barbari finalmente viene riconosciuta un'intelligenza creativa e dirompente e non si usano quelle che potremmo definire "conseguenze inintenzionali" per criticare quella stessa idea innovativa che le ha generate. Si tenta di sanare anche la dicotomia tra superficialità e profondità, filo conduttore del suo ragionamento, ripensandone la definizione stessa:

" [il sistema di pensiero dei barbari] Non elimina il senso, ma lo ridistribuisce su un campo aperto che solo per comodità definiamo ancora superficialità, ma che in realtà è una dimensione per cui non abbiamo ancora nomi, e che comunque ha poco a che fare con la superficialità intesa come limite, come soglia inattraversata del senso delle cose, come facciata semplicistica del mondo. In un certo senso potrei dire che il mondo di pensiero in cui si muove Steve Jobs (e mio figlio, 11 anni) sta a quello in cui siamo cresciuti noi due come il firmamento di Copernico sta a quello di Tolomeo (peraltro erano inesatti entrambi); o come Emma Bovary sta ad Andromaca".

Quella carenza di parole individuata da Baricco, che infatti chiama il suo articolo "Il mondo senza nome dei nuovi barbari", è giustamente l'atteggiamento di chi non riesce a raccontare un mondo perchè appartenente ad un nuovo immaginario, una nuova cultura in cui non è cresciuto, un mondo per descrivere il quale mancano le parole perchè il limite del nostro pensiero è segnato proprio dal linguaggio a disposizione, che non è creato mai dalla forza di una sola persona, ma dal contributo di tutti.

Non sarà forse lui a trovare le parole giuste, e nemmeno noi, forse i posteri quando il fenomeno sarà pienamente istituzionalizzato e assimilato, quando saranno diffuse e capite le parole nate con la forza dell'aderenza.

Ma quale che siano queste nuove parole, comunque, noi qualcuna l'abbiamo già proposta, HcGeneration.

L'esternalizzazione della politica migratoria e gli amici d'oltrefrontiera



L'obiettivo delle Scienze sociali dovrebbe essere quello di interrogarsi sulle cosiddette conseguenze inintenzionali delle azioni individuali. Studiare solo gli effetti voluti non avrebbe senso proprio perchè ci sarebbe poco da dire al riguardo, la vera incognita sociale sono gli effetti indiretti e inaspettati delle azioni e politiche che si rivelano efficaci, ma con pesanti effetti nella direzione opposta a quella voluta.

Per dirla con le parole di F.A. Hayek: "se i fenomeni sociali non manifestassero altro ordine all'infuori di quello conferito loro da un'intenzionalità cosciente, non ci sarebbe posto per alcuna ricerca teorica della società e tutto si ridurrebbe esclusivamente, come spesso si sente dire, ai problemi di psicologia".

Accanto agli esiti intenzionali dell'azione si verificano una cascata di conseguenze
inintenzionali, che sedimentandosi e interagendo nel tempo danno luce a delle regolarità, cioè a quei fenomeni, che sono quindi oggetto delle scienze sociali.

Oggi giorno grazie all'attivismo politico delle democrazie occidentali abbiamo tantissimi esempi di questo tipo, dalle politiche di assistenza che creano disoccupati istituzionalizzati, alle politiche di "sviluppo" che degradano i territori, alle politiche di salvaguardia che ingessano e creano emarginazione.

Un altro esempio è offerto dalle politiche europee che riguardano la libera circolazione di persone all'interno dei suoi confini. Tale politica comune, che comincia con gli
Accordi di Schengen, ha avuto quale effetto immediato l'abbattimento delle frontiere interne, la libera circolazione dei cittadini europei e il diritto di insediarsi, studiare, lavorare, vivere e morire in qualsiasi Stato dell'Unione. Obiettivo bellissimo che ha contribuito a cementificare le basi delle nuove generazioni europee, che viaggiano si conoscono, si ospitano, si amano, vivono sempre di più come una grande popolazione continentale. Una volta in visita alla Commissione Europea a Bruxelles, un alto funzionario disse "L'Europa è stata fatta da due cose, Erasmus e voli low cost". Un entusiasmo per un mondo senza confini marcato tuttavia da un forte eurocentrismo: non ci si è resi conto che annullando i confini interni stavamo costruendo fossati e mura esterne. Stava nascendo la Fortezza Europa.

Gli
Accordi di Schengen infatti non avevano quale unico obiettivo l'abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere, ma anche il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen proprio per assicurare il raggiungimento del primo obiettivo senza compromettere la sicurezza e l'equilibrio dei paesi europei. Quindici anni fa nessuno pensava che per raggiungere una libertà di tale valore avremmo assisistito ad una pari coercizione negli spostamenti altrui. Una chiara conseguenza inintenzionale.

Per assicurare una libera circolazione interna è stato necessario allo stesso tempo rafforzare i confini esterni, si sa libertà non è assenza di regole, ma il giusto numero di regole affinchè ci si possa sentire liberi, ovvero si allargava lo spazio di libertà interno limitando quello esterno per evitare falle nel sistema. Bisognava annullare le barriere intermedie eregendone di nuove più in là, introducendo un Visto per i cittadini di paesi terzi, controlli più stretti alle frontiere esterne e misure più restrittive per la migrazione legale, creando di conseguenza un mercato della migrazione illegale e delegando sempre di più a paesi terzi vicini il controllo dei flussi migratori. La cosiddetta
esternalizzazione della politica migratoria:

"Il termine «esternalizazzione» viene del vocabolario economico e descrive il fatto di sub-appaltare una parte del processo di produzione ad un terzo. In tema di migrazione indica la strategia di trasferimento verso un paese terzo delle capacità e della responsabilità di controllo dei flussi migratori. Nel nostro caso si riferisce agli accordi firmati tra l’Italia e la Libia affinché quest’ultima gestisca l’afflusso di migranti che attraversano il suo territorio. Questa strategia è applicata con tutti i paesi vicini della UE sia a livello bilaterale che comunitario".

"Questa politica ha ristretto le possibilità legali di accesso al territorio europeo ed ha avuto un effetto contro-produttivo: paradossalmente, lo sviluppo della libera circolazione dentro il territorio europeo ha avuto come conseguenza l’erezione di una frontiera esterna più ermetica e quindi l’incremento della migrazione illegale, rendendo vani i tentativi di controllo del territorio e dei flussi di persone dentro di questo"*.

"L’idea di esternalizzare la politica migratoria, ossia la sorveglianza delle frontiere nasce dall’ipotesi che una volta entrati nello spazio Schengen, i migranti clandestini siano più difficilmente espellibili.

La strategia europea pertanto è consistita nel fare pressione sugli Stati membri la cui frontiera nazionale coincideva con la frontiera esterna dell’UE nel Mediterraneo, principale porta d'entrata dei migranti clandestini. Dalla fine degli anni '90 , la Spagna è stata al centro di questo processo fino a quando ha implementato il SIVE (Sistema Integrato di Vigilanza Esterna) nello stretto di Gibilterra nel 1998 - e poi sulle isole Canarie[i] quando si è spostata la pressione migratoria proveniente dell’Africa – con l’aiuto finanziario dell’UE. Questa rete di radar, sensori, telecamere termiche e a infrarosso ha permesso una vigilanza ottimale delle sue coste rendendo quasi impossibile la traversata del mare a questo livello.

Ma visto il costo di questa strategia di sorveglianza hi-tech delle frontiere, all’inizio degli anni 2000 è mutata in una strategia di responsabilizzazione degli Stati della sponda Sud del Mediterraneo e di trasferimento delle capacità di controllo dei flussi migratori. È questa strategia che corrisponde oggi all’esternalizzazione che vogliamo analizzare e che caratterizza la cooperazione migratoria italo-libica più recente. Quest’esternalizzazione si svolge sia a livello europeo che a livello degli Stati membri. A livello europeo si è tradotta nella creazione dell’Agenzia Frontex, Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, operativa dal 2005. Il Summit di Sevilla del 2002 precisa che oramai, qualsiasi tipo di relazione tra un paese terzo e l’UE dovrà includere una clausola riguardante la gestione congiunta dei flussi migratori[ii]. Da lì, l’UE ha integrato questa gestione congiunta dei flussi, sempre più presente, nei strumenti di cooperazione con i paesi del Mediterraneo: programma MEDA[iii], Politica Europea di Vicinato, etc. A livello dei paesi dell’UE stessi, uno degli strumenti più conoscuti di quest’esternalizzazione è la firma di accordi di riammissione permettendo a essi di rinviare direttamente nei paesi terzi attraversati i migranti arrivati nel loro territorio in maniera illegale"*.

Concentrati sul processo di integrazione europea non ci siamo resi conto nel frattempo delle barriere erette tra noi e loro, che di fatto abbiamo creato un club, il più esclusivo del mondo, dove la gente è disposta a morire pur di arrivare e che rischia di isolarci creando macro-aree da cui si può facilmente uscire ma difficilmente entrare. Amici turchi che non sono mai venuti a trovarmi in Italia, amici marocchini che combattono per avere un visto, giovani che tentano di attraversare confini con la scusa di studiare per guardare un mondo altrimenti fin troppo esclusivo. L'Europa senza frontiere inizia a mostrare le sue contraddizioni ed i suoi limiti, forse non così l'avevamo immaginata. Una globalizzazione con due pesi e due misure a causa della quale aspetto ancora la visita degli amici d'oltrefrontiera.





[i] ELMADMAD, Khadidja. Op. cit.

[ii] « 33. (…) The European Council urges that any future cooperation, association or equivalent agreement which the European Union or the European Community concludes with any country should include a clause on joint management of migration flows and on compulsory readmission in the event of illegal immigration ». Estratto dalla dichiarazione finale del Consiglio europeo di Siviglia, 21-22 giugno 2002.

[iii] Presentazione del programma MEDA: http://europa.eu/legislation_summaries/external_relations/relations_with_third_countries/mediterranean_partner_countries/r15006_it.htm

*questo testo è un'anticipazione di un articolo di Sonia Grigt che apparirà sul web magazine
Glocus