martedì 27 ottobre 2009

L'anima nell'Alpujarra


"Fino a quando ci sei tutti i giorni, ti senti al centro del mondo
Ti sembra che non cambia mai niente! Poi parti....
Un anno, due....e quando torni è cambiato tutto, si rompe il filo...
Non trovi chi volevi trovare, le tue cose non ci sono più.
Bisogna andare via per molto tempo, per moltissimi anni,
per ritrovare al ritorno, la tua gente, la terra
dove sei nato"




L'anima la si può perdere tra i monti dell'Alpujarra. L'anima la si può ritrovare. La vita nei piccoli centri è un argomento complesso, dibattuto, che mi fa pensare, da molto tempo. C'è chi dice che solo lì, in piccoli centri agricoli, semplici e immersi nella natura e nel verde, si trova ancora una vita autentica. Genuina. Lontani dai mali necessari della modernità. Lontani dall'alienazione, dall'indifferenza urbana. Così come si è lontani anche dalle cose positive della modernità.

Una vita ideale, quella del piccolo paese, condannata a sparire, perché si stanno trasformando o peggio, estinguendo. I centri medio-piccoli che hanno la fortuna o sfortuna di essere non lontani da centri urbani più grandi, sono in espansione, come tutte le periferie. I centri piccoli, ma lontani ed isolati da qualcosa che sia più grande di loro sono invece destinati a morire. Perché la terra rende sempre meno, perché la terra non dà più lavoro. E in una società contemporanea il lavoro è possibile, è creato, solo in comunità abbastanza complesse, stratificate, aperte e basate su una forte divisione del lavoro. La piccola comunità invece si fonda sull' autarchia, anche familiare. Di conseguenza la lenta scomparsa.

Dall'Andalusia ai villaggi berberi del Marocco, dall'Irpinia alla Turchia, per passare per i piccoli paesi portoghesi e i centri del Casertano settentrionale, la vita nei piccoli centri appare impoverita dalla modernità. Perché nostalgicamente si guarda al passato, con rassegnazione si osservano i giovani partire, il futuro è altrove. La morte in vita del paese condanna alla partenza l'entusiasmo della vita.

E noi, futuro, quando ritorniamo o attraversiamo questi paesi, questi buchi neri, ne siamo frastornati, confusi, affascinati. C'è chi parla di necessario ritorno alla terra, scelta rispettabilissima, chi non essendoci mai stato ne amplifica la bellezza rendendo completamente fosca e cupa la modernità. Dimenticando la violenza nascosta, il controllo più ossessivo del paese. Non sarà un caso che le mafie crescono e si rafforzano in paese, Corleone, S.Luca, Casal di Principe, nelle campagne. Dove il controllo del territorio è più capillare. Dove regnano i tabù, i non detti e l'omertà. Dove l'amore cede velocissimo il passo all'odio. L'altra socialità del paese.

L'entusiasmo della vita naturalmente fugge alla condanna del piccolo paese. Viene in mente la storia di vita del signor Angelo, il barista di Cairano, borgo in via di estinzione nell'Irpinia orientale, la cui vita era stata riassunta nel tempo di un amaro. Cinque minuti.

Questo spesso si dimentica idealizzando una vita che in realtà si è contenti di non fare.


Soffermarsi qualche giorno, talvolta qualche ora, ci illude. Perchè al di là delle buone intenzioni, spesso non si ha il coraggio di andare fino in fondo, non si prende la radicale scelta di un ritorno alla vita del piccolo borgo, del piccolo paese. Viverci, o trasferirsi, è una scelta molto più forte rispetto a tornarci o nascerci.

Nati in una piccola ampolla, non consci delle distanze mondane, si cresce con la serenità di non muoversi, al centro del mondo. Ma con il rischio di seccarsi al sole. L'anima la si perde, non sboccia. O meglio evapora. Come un terreno fertile che viene seccato dal sole e non trattiene più l'umidità della notte.


Nell'Alpujarra i pueblos si prestano a molteplici interpretazioni. Come rifugio naturale per molti granaini distanti a poco più di un'ora di macchina, la sua breve distanza non la rende isolata. E seppur non è difficile incontrare qualche straniero in visita, tuttavia la calma torna con le ultime ore della giornata. Pueblos vergini che hanno conservato molto del passato. Si fa spazio l'idea di staccarsi, ma di non abbandonare.







La visita è solo di qualche giorno, l'accoglienza molto generosa. Arrivati a Busquistar il clima è di festa collettiva. Tra fumi di sardinas arrostite, e fuochi con pentoloni di miga, una sorta di polenta a base di semola, aglio e olio, siamo accolti in uno dei pueblos dell'Alpujarra centrale. Busquistar non arriva a trecento persone, come tutti i paesi dell'Alpujarra. La prima forma di saluto non può che essere quella del piatto caldo. Subito ci mischiamo alla gente.

A stomaco pieno, arriva il momento dei discorsi, la consegna del premio alla carriera al capitano della polizia del vicino pueblo di Lanjaron, il discorso del sindaco e del partito locale, per concludere con lo spettacolo di una piccola compagnia itinerante di teatro: uno spettacolo taurino. Un' atmosfera che ricorda quella descritta nel libro di Pamuk, Neve, dove spesso la piccola compagnia di teatro non è compresa dal pubblico delle province più lontane. Ed infatti, nonostante sia uno spettacolo animalista, i bambini alla fine invocano il torero.



L' Alpujarra è stata l'ultimo rifugio de los moros, gli arabi che cacciati da Granada, ultima città a cadere durante la reconquista nel 1492, trovarono pace tra le valli profonde nel versante sud della Sierra Nevada.

L'economia sia basa per lo più sul turismo, sull'agricoltura di qualità e sulla produzione di jamon serrano, in particolare curando il processo dell'essicazione che necessita di caldi venti secchi. Le strade, la vicinanza con Granada, l'ingresso nel circuito turistico, ed il fatto che i paesini siano bene o male interconnesi tra loro, fa sì che questa area stia vivendo una seconda giovinezza.

Dopo Trevélez, arriviamo a Soportujar. L'accoglienza è sempre delle più calorose. Dieci persone per un paesino di trecento abitanti meritano di essere accolte dal sindaco. A Soportujar, l'ex-alcalde, il signor Manolo sapendo del nostro arrivo cucina addirittura per noi. Il choto, un agnello spezzato e messo per intero sul fuoco all'interno di un grande calderone. La sacralità della domenica viene rispettata ed onorata nella sala da pranzo del bar del paese.


Spettacoli di vita autentica, che continuano tra bianchi viottoli del paesino culminando in meditazione sulla sommità di un tempio buddista. Perché tra queste valli, è nato addirittura un piccolo buddha, una reincarnazione dell'illuminato. I monaci un giorno di circa venti anni fa, si sono presentati alla porta di un'ignara madre dell'Alpujarra e l'hanno convinta a portare il bambino in Tibet. Ora dovrebbe avere circa la mia età.




Concludiamo la visita su questa montagna di luce, così come è stata ribattezzata dallo stesso Dalai Lama, osservando il circostante e chiudendosi ognuno nei suoi pensieri, ospiti di questa piccola comunità tibetana.
La vita sin qui è meravigliosa, autentica, genuina. Salutare crescerci, ancora più salutare tornare per ritrovare armonia con il circostante, ottimo per ritirarsi.
Nel ciclo della vita, i pueblos dell'Alpujarra sono luoghi di crescita e di ritiro, punti di meditazione e di riflessione a cui nessuno può sottrarsi prima o poi.

L'anima la si può ritrovare sull'Alpujarra, in meditazione tra le campane tibetane, o la si può perdere come una giovane rosa lasciata appassire al sole. Gli stili di vita dei paesi, sono da preservare, come un paesaggio, così come da preservare è la forza della vita stessa. Sicuramente esiste un numero minimo sufficiente di servizi, abitanti, centri culturali, punti di riferimento e apertura, che se rispettati, rendono ottimale la vita nel piccolo borgo. Trasformando la vita di tutti i giorni in una piccola villeggiatura.

Ma l'isolamento, la sconnessione, anche se preserva l'autenticità, rischia di diventare immobilità, routine, muffa, chiusura che sboccia in infelicità.