giovedì 20 novembre 2008

Più ci si informa, più ci si incazza



Più ci si incontra, più si scambiano informazioni, impressioni ed esperienze, e più ci si incazza.
Ci si incazza perché iniziano a prendere forma e sostanza le indagini e ricerche avviate, e la conoscenza della realtà dei fatti non fa altro che giustificare ulteriormente le proteste effettuate sino ad ora.

Ci si arrabbia perché si è schiacciati dai dati. Imbarazzati e ridicolizzati dal confronto internazionale. Perché dopo indagini, ricerche e documenti passati di mail in mail, guardiamo con orrore, rabbia e tristezza la realtà.

Ad esempio vediamo che l'età media dei nostri professori ordinari è circa 60 anni, praticamente dei pensionati che fanno lezione. Imbarazzati, perchè i professori che hanno più di 50 anni sono il 57% del totale, mentre in altri paesi europei come Regno Unito, Spagna e Germania sono meno del 30%, con una media Europea del 35% circa.

In questi anni tutte le riforme ed i cambiamenti sono avvenuti prevalentemente a favore dei professori, senza mai pensare a quella che è la finalità del mondo universitario. Il 3+2, i crediti formativi, la riduzione di esami fondamentali a riassunti concentrati, l'ossessione di utilizzare sempre e costantemente criteri di analisi quantitativi, quando la conoscenza o la profondità di un concetto è un fattore meramente qualitativo. L'insegnamento stesso è un problema di qualità. Pensare alla forma e non alla sostanza. Laurearsi in tempo, inventare strani e creativi corsi di laurea, aumentare a dismisura il numero di esami che finiscono semplicemente per ripetersi poi nei contenuti.

A pochi anni dalle riforme, oggi, un giovane entra nell' università che ha smarrito l'idea e l'immagine di se stessa. Si trova solo ad affrontare corsi, esami, crediti, e media voti. Trova una struttura peggiore del liceo, ma senza tutti i suoi aspetti migliori, che ne fanno un luogo di crescita. Un luogo di apprendimento, di formazione dei cittadini professionisti e protagonisti del domani. Tutto questo è stato semplicemente cancellato.
Abusi continui e potere ricattatorio dei professori, che hanno trasformato, con la complicità della scarsità di fondi, la possibilità di lavorare e fare ricerca nell' Università in una corsa al ribasso.

La didattica e la ricerca si regge in gran parte sulle spalle di ricercatori precari. Per lo più assegnisti di ricerca, che poi ricerca non fanno. Personale cooptato e sfruttato di cui non si conosce il numero, la loro è una condizione di lavoro nero, sommerso, che non ha un ruolo preciso e definito. Sono sfruttati, para subordinati, braccianti dei professori. Contribuiscono alla produttività dell'ateneo, sono chiamati impropriamente professori dagli studenti, ma di fatto sostengono e coprono i buchi della didattica di un sistema che vede il rapporto professori/studenti essere il più alto d'Europa: 21,4 studenti ogni prof., contro una media europea di 16, dove ci sono paesi come la Spagna a 10 studenti per prof., o la Germania a 12 studenti per professore. Loro per l'Università semplicemente non esistono, non essendo mai stato fatto un censimento, o addirittura essendo stato fortemente osteggiato dai professori stessi, come è avvenuto l'anno scorso in senato accademico nell' Università Tor Vergata di Roma.
Ovviamente per continuare a mantenerli in loro potere.

Allora i professori-baroni ci hanno traditi. Hanno tradito noi, il futuro e l'università che gli era stata affidata. Hanno dato la peggior prova di loro stessi, per citare il rettore della normale di Pisa Salvatore Settis, utilizzando gran parte delle risorse per il turn-over per "promuoversi".

La nostra infatti, è una piramide rovesciata, dato che negli ultimi 10 anni gli ordinari sono aumentati del 46%, gli associati del 19% e i ricercatori, ovvero i nuovi venuti, sono aumentati solo del 16%. Dove il numero dei professori ordinari ha quasi raggiunto quello dei ricercatori ed è addirittura superiore dei professori associati. Una casta che si autoalimenta a spese degli studenti, della ricerca e della conoscenza. I professori hanno dato una pessima prova di , e non possono certo essere considerati come il punto di partenza per una riforma della università. Non possono essere il punto di partenza per l'adozione di un critico sistema di valutazione, loro che procedono alle nomine per cooptazione, loro che vivono in maniera autoreferenziale. Dobbiamo essere noi studenti il punto di partenza e centro del sistema.

In un paese dove il numero di ricercatori ogni mille lavoratori è il più basso in Europa. Dove chi vuole un futuro nell ricerca deve scegliere se rinunciare al paese o alla professione. Meno della Polonia, Lituania, Ungheria, Grecia, Portogallo, meno della Slovacchia e della Latvia, ma un po' più di Cipro, questo consola. Ovvero mentre gli altri paesi europei hanno un numero di ricercatori ogni mille abitanti che va tra 5 e 10, noi ci troviamo al di sotto della metà della media, siamo i penultimi, sopra Cipro, con un misero 2,8 su 1000.

Ci prendono in giro dicendo che si spende troppo e male. Ci rendiamo conto dai dati forniti dal ministero stesso che, nel 2004, la spesa pro-capite per studente universitario in Italia è di 6394 euro l'anno. 9 euro in più del Portogallo. Ma circa 2.000 in meno della Spagna, 3.000 in meno della Francia, 4.000 in meno della Germania e addirittura 10.000 in meno degli Stati Uniti. Al di là dei valori assoluti, i valori in percentuale sul pil pro-capite ci inchiodano sul posto. Infatti mentre tutti questi paesi spendono in media la stessa percentuale, pari al 39-40% sul pil pro-capite, noi siamo fermi ed unici, al 28%. Anche il Portogallo che in valore assoluto spende quanto noi, in percentuale raggiunge i livelli europei del 39%. Questa non si chiama opulenza, ma buona volontà.

Buona volontà ed intelligenza che manca evidentemente alla nostra classe politica e dirigente. Perchè noi non siamo solo lo specchio di una spesa fondamentalmente inadeguata. Mentre gli accordi di Lisbona presuppongono una spesa in ricerca e sviluppo pari almeno al 3% del Pil, per fare dell'Unione Europea la più grande area di innovazione del mondo, e dove altri paesi spendono circa il 2,5% , noi non raggiungiamo nemmeno il punto percentuale, stiamo allo 0,9%.

I valori sono appositamente in percentuale, perché ognuno faccia secondo le proprie possibilità, questa si chiama lungimiranza e buona volontà. Loro del futuro se ne sono sistematicamente disinteressati, dimenticati, e approfittati.

Le spese non le pagheremo solo noi, generazione che ha l'obbligo ed il dovere di re-inventarlo il futuro, ma le pagheremo tutti in termine di paese e comunità. E le stiamo già pagando, nel livello d'istruzione e di preparazione che si abbassa giorno dopo giorno, nella arrendevole passività davanti la televisione, nel decadimento politico ed autoritario, nel dibattito critico completamente assente, nella ragione che cede il passo al messaggio vincente. Loro hanno già dato prova delle loro intenzioni e del loro livello.
Non abbiamo bisogno di ulteriori conferme, quello che invece dobbiamo pretendere, conquistare e confermare è una visione, di lungo periodo, perché nel lungo periodo noi ci saremo ancora, loro no.



Per ulteriori informazioni:

rapporto CNVSU

Dati Miur

Rapporto Ocse

Dati CIVR

lunedì 17 novembre 2008

Iniziative contro la Camorra

Domani presso l'Auditorium della Regione Campania si terrà un incontro aperto al pubblico. Invito chunque si trovi nei pressi di Napoli ad andare. Per maggiori informazioni andate su http://www.studenticontrolacamorra.org/

"Presentazione dati campani VIII edizione del Questionario AntiCamorra" on 18 November at 10:00.

Event: Presentazione dati campani VIII edizione del Questionario AntiCamorra
What: Informational Meeting
Host: STUDENTI CONTRO LA CAMORRA
Start Time: 18 November at 10:00
End Time: 18 November at 13:30
Where: Auditorium Regione Campania, Italy



"Presentation of data Campania Region, Italy, the eighth edition of antimafia Questionnaire" on 18 november at 10,00 am
students against the Mafia


Da Il Mattino di lunedì, Novembre 17, 2008

di DANIELA DE CRESCENZO

Via da Napoli? Il quaranta per cento dei ragazzi intervistati dall’associazione studenti napoletani contro la camorra risponde sì. È solo uno dei dati che emergono dal questionario sottoposto anche quest’anno (l’iniziativa è all’ottava edizione) dall’associazione a più di seimila giovani napoletani. Le risposte, tutte allarmanti, saranno presentate domani alle 10,30 presso l’auditorium della Regione (centro direzionale-isola C3). Oltre ai rappresentanti dell’associazione, e a centinaia di giovani campani coinvolti nell’indagine, saranno presenti il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni; il prefetto Alessandro Pansa; il presidente dell’Amesci Enrico Maria Borrelli; la coordinatrice delle associazioni antiracket e Silvana Fucito; e il portavoce della fondazione «A voce d’e creature», don Luigi Merola, Quaranta ragazzi su cento, dunque, vogliono lasciare la città: un dato sconcertante soprattutto se si considera che altri 35 giovani su cento rispondono di non essere certi di voler restare. E preoccupa anche la linea di tendenza: lo scorso anno il 2 per cento in meno degli intervistati si diceva pronto a partire. Sono tanti i dati destinati a far riflettere e a far discutere: se resta troppo alta la percentuale di giovani che conferma di conoscere personalmente un camorrista, la stragrande maggioranza dice di aver acquistato almeno una volta merce contraffata e il 17 per cento dice di aver addirittura comprato oggetti rubati. Il concetto di legalità, dunque, resta sempre molto vago nella mente dei nostri ragazzi e la voglia di fuga sembra legata più alla mancanza di lavoro, alla difficile situazione economica, che alla volontà di liberarsi della camorra. Del resto anche negli anni scorsi le risposte furono scoraggianti. Nel 2007 uno studente su tre disse di pensare che nella camorra ci fosse qualcosa di buono, 249 (il 4 per cento) vedevano nei camorristi degli eroi e 871 (14 per cento) riconoscevano alla malavita il merito di garantire un lavoro. E, a quanto pare, i risultati di quest’anno restano in linea con quelli degli scorsi anni. Se addirittura non peggiorano, come nel caso della voglia di fuga. L’associazione anticamorra chiede, dunque, al mondo politico di riflettere. E, soprattutto, di intervenire. «Dopo il clamore suscitato dall’annuncio di Roberto Saviano di abbandonare la sua terra - dice - c’è stata una levata di scudi da parte di premi Nobel, classe politica e società civile in difesa dei diritti di libertà e sicurezza dello scrittore. Occorre che la stessa attenzione venga posta sulla nostra “meglio gioventù” che fugge non vedendo un futuro possibile nei nostri territori». E il presidente dell’Amesci (l’associazione di promozione sociale che all’iniziativa ha collaborato) Enrico Maria Borrelli lancia un appello: «Chiediamo alla politica di offrire ai giovani l’opportunità di confidare in un cambiamento scongiurando il rischio che i nostri territori si spopolino di ricchezze e di intelligenze, lasciando che dalla Campania oltre ai cervelli fuggano anche i cuori e le speranze dei giovani»

giovedì 13 novembre 2008

I Conti non tornano....i Baroni restano



Ecco parole sincere da chi ho avuto la fortuna di incrociare durante la propagazione dell'onda. Un altro spirito emerso, che cerca e si ritrova. Queste sono le parole di Davide, Bruno per gli amici, che scrive direttamente dal suo blog.

Nell'onda, io c'ero


di Davide Continanza


Finalmente dopo mesi ricomincio il progetto del mio blog.
Questa volta volevo scrivere del mitico movimento, questo è il mio sfogo. Spesso mi arriva una vocina in capoccia che mi dice "ma che cazzo fai, tanto lo sai che per loro non conti niente, che per loro sei un numero, che da solo non puoi cambiare nulla, che cosa pensi di ottenere da quello che fai?".

Io non sono così ottimista da pensare di cambiare il mondo, da pensare che ci possa essere un futuro per tutti. Però sarebbe un male peggiore stare fermi e non muovere un dito, senza neanche provarci, senza poter sperare di cambiare almeno un poco di quello che ti sta intorno. Spesso mi capita di pensare a lasciar perdere tutto, di mettermi a studiare e coltivare il mio orticello, senza dare fastidio a nessuno, poi però guardo i miei nipotini Giada e Daniele di 3 e 1 anno e capisco che questa lotta non è solo per me ma è anche per loro, perché magari loro non potranno avere le mie stesse possibilità, i miei stessi privilegi, ma potranno soltanto sperare di fare il soldo facile mettendosi a spigne il fumo perché l'unica prospettiva di guadagno è quella nel mio quartiere del cazzo. Io ho già visto troppi dei miei compagni delle medie e delle elementari fare questa fine, perché per loro non esiste una prospettiva diversa, ormai per loro non esiste un lavoro dignitoso, non è esistita una scuola che fosse in grado di dargli una istruzione vera o una famiglia in grado di sostenerli. Perché la povertà viene soprattutto dall'ignoranza, quella che i nostri cari partiti alimentano ogni giorno con le loro televisioni e i loro giornali, dicendoci che va tutto bene e che l'Italia non è in crisi (secondo loro siamo al riparo, che fancazzisti).

Per questo che ho deciso di scendere in piazza, con le mie paure, con le mie insicurezze, con la paura del manganello, ma anche con la speranza e la certezza di averci provato e poter dire magari ai posteri o a miei nipoti quando cresceranno "io c'ero o perlomeno ci ho provato".

p.s. (scusate la punteggiatura o cose simili ma sono una pippa a scrivere)



Nel frattempo l'onda si propaga anche all'estero. Giovani studenti ed erasmus italiani ancor più indignati perchè umiliati dal confronto con i colleghi europei, hanno deciso di battere un colpo anche se lontani da casa. Perchè la distanza talvolta acuisce il sentimento di frustrazione. Ecco cosa è successo a Parigi.

Domani, ormai tra poche ore, inizierà la grande manifestazione nazionale per chiedere l'abrogazione della legge 133. A seguire due giorni di assemblee nazionali ed incontri nel tentativo di far emergere quanto meno le linee guida per una controriforma. L'onda sale e noi cresciamo con lei.