giovedì 31 dicembre 2009

Baricco, oltre i Barbari -IV- Libri

Libri ma non solo. L'ultima parte di questa lunga riflessione, che ruota intorno a differenti temi ma con un unico filo conduttore, passa per i libri per arrivare a Wikipedia, sino all'anima delle cose.

Ancora una volta si parte da un "saccheggio", qualcosa che è cambiato e sta cambiando, ma in peggio. Baricco parte dalla crisi di qualità del mondo letterario così sintetizzata: sebbene il numero di lettori sia aumentato a dismisura in questi anni, "i lettori non sono lettori" e leggono "libri che non sono libri" il cui linguaggio si impara altrove ad esempio alla televisione o al cinema. Pagine che collezionano parole in cui si privilegia "la comunicazione all'espressione", in cui è cambiato il concetto di qualità: il tipico saccheggio barbaro. I segnali sono i libri all'edicola, i best-seller sull'autostrada, le raccolte di letteratura con il quotidiano, i megastore dove accanto ad un DVD puoi comprare con nonchalance l'ultimo libro di Totti, Bruno Vespa o Dostoevskij.

Si sa gli scrittori non sono più quelli di una volta così come gli editori:

"Prendete l'Italia degli anni Cinquanta. Erano gli anni in cui al Premio Strega andava gente come Pavese, Calvino, Gadda, Tommasi di Lampedusa, Moravia, Pasolini (ci sarebbe andato anche Fenoglio, ma dovette lasciare il posto a Calvino! Oggi non si hanno più quei problemi lì). Gli editori si chiamavano Garzanti, Einaudi, Bompiani, ed erano cognomi di persone vere! Se dobbiamo pensare a una civiltà che oggi è stata spianata dai barbari, eccola lì".
(I Barbari, pag.63)

Inutile precisare che era un mondo raffinato, elitario di un'Italia differente, globalmente peggiore, dove i pochi che scrivevano libri si conoscevano un po' tutti, il riflesso di un mondo di nicchia dove come tutte le nicchie, la qualità era alta anche perchè spiccava su un contesto provinciale e illiterato:

"Era un'Italia in cui i due terzi della popolazione parlava solo in dialetto. Il 13 per cento era analfabeta. Tra quelli che sapevano leggere e scrivere quasi il 20 per cento non aveva titolo di studio. Era un'Italia appena uscita da una guerra persa, ed era un paese in cui di tempo libero ce n'era poco, e la stessa piccola borghesia emergente non aveva ancora il surplus di reddito con cui finanziare il proprio diletto e una propria formazione culturale". (I Barbari, pag.64)

Da allora passi in avanti ne sono stati fatti eccome, mai come oggi il mondo letterario è divenuto una città aperta, mai come oggi i lettori e gli scrittori sono stati tanto numerosi. Il problema semmai è che accanto alla crescita dell'editoria di qualità, si è avuto anche una esplosione della editoria spazzatura, commerciale, che ha oscurato la crescita della prima donando quel senso di "spazzatura imperante".

Ma Baricco non vuol riconoscere che chi leggeva libri di qualità continua a farlo, oltre ad essere anche sensibilmente aumentati di numero, che hanno più scelta e danno un maggiore contributo al dibattito che si è polverizzato in infiniti modi di vedere le cose facendo sì che non esistesse più il dibattito. Basterebbe farsi un giro alla fiera della piccola e media editoria.
Il problema, a suo avviso, è che chi prima non leggeva affatto e guardava solo fiction o la domenica sportiva, adesso si ritrova a leggere il libro-intervista del calciatore appena arrivato in Italia e l'ultimo romanzo pubblicizzato al cinema. Un' invasione di campo di barbari prima delegati ad altri settori della società.

La causa ancora una volta è la democratizzazione del mezzo, invisa a Baricco, che come per il caso del vino, ha aperto le porte della sua città proibita. Quello che sarebbe un progresso diventa un imbarbarimento. Si legge di più, si scrive di più, ma considerando il rosso dell'uovo l'editoria di qualità e il bianco tutto il resto si ha che: "Il bianco è fatto di libri che non sono libri" (I Barbari, pag. 68)

Il suo qualunquismo è disarmante.

Secondo un recente rapporto della Fondazione Cotec la cultura oggi viaggia in rete grazie a "più di 12.000 blog culturali in cui si discute non solo di attualità, ma anche di storia, arte e letteratura" e il rapporto arriva addirittura ad affermare che "assistiamo ad un nuovo rinascimento culturale che trova nell'innovazione tecnologica un importante alleato", non più "spettatori passivi, ma creatori di nuove forme culturali". Negli ultimi anni si corre verso una democratizzazione sempre più spinta e orizzontale del mondo letterario e della cultura in generale, grazie ai blog, alle comunity on-line, ai quotidiani e riviste telematiche. Luoghi aperti e virtuali al cui dibattito partecipano anche gli ultimi arrivati dalla provincia dove non è necessario frequentare i salotti giusti per farsi sentire. Di conseguenza, non possono che essere influenzati positivamente anche i libri, non più indipendenti da quello che si scrive sulla rete.

Da qui il senso di apocalisse e la fine del mondo evocata da Baricco? Ha forse paura che qualcuno stia facendo traballare il piedistallo autoreferenziale del mondo letterario?

Il problema quindi non è di natura tecnologica-commerciale. La "commercializzazione spinta" allineata al "modello imperiale" non crea bisogni, ma li soddisfa: mentre negli anni Cinquanta la stragrande maggioranza della popolazione non sapeva leggere o non aveva tempo per farlo, il benessere successivo ha reso possibile l'assalto al palazzo, l'accesso a spazi prima riservati agli addetti ai lavori.

Il problema della commercializzazione e dell'ideologia imperialista americana quindi è un falso problema e difatti se ne accorge lo stesso Baricco che ad un certo punto la fa uscire di scena, con nonchalance, sebbene sia stata utile nel sostenere le argomentazioni precedenti: la prima di numerose contraddizioni. Il problema è filosofico ed è legato ad una nuova visione del mondo:

"I barbari usano il libro per completare sequenze di senso generate altrove" (I Barbari, pag. 68)

Ovvero riemerge il senso rivoluzionario della carta stampata. Il potere affidato alla parola, la parola che attacca il potere. Un libro acquista significato non per quello che è, come vorrebbe Baricco, ma per quello che dice, che comunica, per le idee che nascono altrove, in un altro tempo, nelle proprie esperienze di vita, nelle proprie riflessioni, non solo nel mondo dei libri.
Scompare "il libro che si rifà, completamente, alla grammatica, alla storia, al gusto della civiltà del libro" e che pertanto diviene povero di senso (I Barbari, pag. 69)

In un mondo globalizzato ed interconnesso, aperto, dove l'obiettivo è acquistare una lucidità sociale totale, un libro che al di là del grandissimo livello espressivo non comunica cose rilevanti, intelligenti, innovative, cose vissute, perde di senso. Perchè abbiamo sempre più bisogno di idee, di sapere quanti modi di vivere esistono e naturalmente, non si hanno idee intelligenti tutti i giorni. La vedete la democratizzazione del mezzo? La necessità di usufruire del contributo di tutti?

Si ricerca il punto di vista di chi l'esperienza l'ha avuta, di chi sporcandosi le mani ha conosciuto il bene attraverso il male. E questo nuovo modo di vedere le cose è ben rappresentato:

"Una certa rivoluzione copernicana del sapere, per cui il valore di un'idea, di un'informazione, di un dato, è legato non principalmente alle sue caratteristiche intrinseche ma alla sua storia. [...] E' come se il Senso, che per secoli è stato legato ad un'ideale di permanenza, solida e compiuta, si fosse andato a cercare un habitat diverso, sciogliendosi in una forma che è piuttosto movimento, struttura lunga, viaggio. Chiedersi cos'è una cosa, significa chiedersi che strada ha fatto fuori da se stessa" (I Barbari, pag.92).

Solo il religioso che vive di fede può non essere entusiasta di tale rivoluzione. Piangere la sacralità dei gesti, o la morte di ambienti elitari, a fronte di un sì grande processo è come piangere la morte dell'Assolutismo.

Perchè "l'essenza delle cose non dimora dentro di esse", ma nella relazione che esse hanno tra di loro. Sapere e conoscere non è più "entrare in profondità in ciò che studiamo", o meglio non solo. Per entrare in profondità, per comprendere, bisogna seguire una traiettoria ricostruendo tutti i rapporti di interazione. La comprensione totale diventa il vero innalzamento. Qui il problema filosofico è evidente e diventa una scelta di vita.

Creare uno strumento visionario come il meccanismo wiki di Wikipedia è una scelta di vita, un prendere posizione in cui si "Immagina un mondo in cui ognuno possa avere libero accesso a tutto il patrimonio della conoscenza umana"

"Wikipedia parla della capacità delle persone come noi di fare cose straordinarie. È gente come noi quella che scrive Wikipedia, una parola alla volta. È gente come noi che la sostiene. È la prova della nostra collettiva capacità di cambiare il mondo".
(Dall'appello del fondatore di Wikipedia Jimmy Wales)

Ecco il nuovo senso delle cose, le veloci avanguardie che Baricco, e molti altri, non capiscono o non vedono. Perchè non vedono queste nuove scelte di vita, non le capiscono, non le sanno interpretare e allora bollano il diverso come nomade e barbaro.

Non si vede, in questo nuovo modo di vivere, una nuova ricerca dell'anima che passa per l'incontro del diverso, per il viaggio nell'ignoto, per una scommessa sul futuro e sulla fiducia reciproca. Un nuovo modo di pensare che ha altri orizzonti: abbandonata l'anima precedente siamo intenti a costruirne una nuova ma basata su una nuova visione del mondo, un mondo che vogliamo e che stiamo cambiando.

Quando si parla di anima, Baricco cita all'inizio e alla fine del suo saggio un romanzo di Cormac McCarthy: "Cosa si dice a uno che per sua stessa ammissione non ha l'anima?" ironicamente da quel romanzo hanno poi fatto un film che i fratelli Coen hanno intitolato This is not a country for old men, appunto. Baricco come lo sceriffo protagonista del libro-film non si riconosce più in questo mondo, è diventato troppo vecchio.

Ma a differenza di quello che pensa Baricco e qualche sceriffo texano, le anime non sono scomparse, si sta solo procedendo ad abbandonare le vecchie per rincorrerne di nuove.

Forse non si sbaglia molto quando dice "Sarò pazzo, ma ogni tanto penso che la barbarie sia una sorte di enorme avanguardia diventata senso comune" (I Barbari, pag.129).

Perchè la fatica, lo sforzo non sono scomparsi, non vengono rigettati. Così come viene timidamente accennato: "Il barbaro cerca l'intensità del mondo, così come la inseguiva Beethoven. Ma ha strade sue per noi imperscrutabili e scandalose" (I Barbari, pag.125) seppur con un andamento altalenante e contraddittorio: "Comunque: hanno paura di pensare serio, pensare profondo, di pensare il sacro: la memoria analfabeta di una sofferenza patita senza eroismi deve crepitare, da qualche parte, in loro" (I Barbari, pag. 130).

Quello che è cambiato è la direzione della fatica. Ci si sforza di imparare più lingue, di adattarsi e di comprendere situazioni differenti e nuove, lo sforzo di dire addio più spesso, di avere rapporti più instabili quale fosse un onere da assolvere per avere in cambio la vita che si desidera. La fatica di trovarsi soli, di allontanarsi dal proprio territorio, di combattere per le idee contro nuovi e vecchi tabù. L'anima si continua a conquistare con la fatica, ma con la fatica del viaggio, degli interessi e progetti da portare avanti, con la gestione sempre più complessa del tempo attraverso molteplici divenire. Proprio come i punti di vista sul mondo che moltiplicatisi a dismisura rafforzano una crescita esponenziale di visioni.

Ma l'interrogativo finale su come sarà questa nuova anima non è altro che l'interrogativo su come sarà il futuro, quali valori verranno abbandonati, quali usciranno rafforzati e quali altri ancora nasceranno: bisognerebbe chiederlo alle avanguardie. Avere paura di questo è come avere paura del futuro. Bisognerebbe chiederlo a quelle persone che prima e più insistentemente degli altri si sono avviati verso un nomadismo continuo, a quelle persone che aprendosi si sono rafforzate continuamente, a chi ha vissuto e vive tra i due lati della barricata. A chi oggi ha una visione e la sta portando avanti, a chi crede nel futuro prossimo perchè lo sta realizzando.

Bisognerà chiederlo a loro, ai nuovi Marco Polo che racconteranno per primi le nuove sfide. Mi viene in mente Yoshi che ha attraversato il continente euro-asiatico per circa tre anni, a Flavien che ha attraversato il Mediterraneo da Nord a Sud e da Est a Ovest, ai poeti che venendo dal passato lontano comprendono meglio il futuro presente, a chi sta viaggiando in questo momento.

I Barbari termina con un' accorata rassegnazione sulla muraglia cinese, quando ormai si rende conto che non si tratta di civiltà e barbarie e che provare ad erigere barriere è stupido quanto pericoloso. In maniera emblematica oggi assistiamo ad uno scontro senza precedenti tra queste due filosofie di vita. Da una parte Google e dall'altra la Repubblica popolare cinese, prossima potenza mondiale assoluta nata da un sistema non democratico e discendente della muraglia cinese, la barriera delle barriere.

Non si sa ancora quali valori verranno salvati nel prossimo futuro, quali verranno abbandonati, quali torneranno in auge. C'è indeterminatezza, ma sicuramente rifiuteremo qualsiasi sistema che barbaricamente porrà un confine, qualsiasi sistema che in nome di qualcosa o qualcuno, chiamandola civiltà o barbarie, erigerà una barriera e sacrificherà qualcosa o qualcuno a noi caro per tale idea, a partire dalla nostra libertà.


mercoledì 30 dicembre 2009

Baricco, oltre i Barbari -III- Calcio

Utilizzare il Calcio come emblema negativo del cambiamento in atto appare un po' furbo. Uno spazio emotivo, nazional-popolare regno di metafore, luoghi comuni e facili sentimentalismi. Basare una teoria su questo ha il valore dell'editoriale della domenica sulla gazzetta dello sport. Si fa largo l'idea che il dramma sia rappresentato non dalla sparizione del mondo come lo conosciamo oggi, o ieri, ma solo dalla scomparsa dell'universo di Baricco, della "sua" civiltà.

Da qui discendono immediatamente due considerazioni, che valgano da premessa: un confronto di merito tra civiltà è oggettivamente impossibile; non esiste una civiltà superiore ad un'altra, esistono solo civiltà diverse. Quello che oggi appare scontato per civiltà diverse (nessuno si sognerebbe di dire che la civiltà americana sia superiore a quella italiana, ad esempio) va applicato anche alla stessa civiltà ma in periodi temporali differenti, o durante le sue mutazioni.
Naturalmente, qui stiamo parlando di cultura, abitudini, costumi, gusti, non di condizioni che hanno a che fare con il convivere civile inteso in termini di diritti, libertà, corruzione, criminalità, povertà, pace sociale, elementi questi oggettivamente misurabili.

Ad esempio, provate a chiedere ad un medievista se la civiltà romana sia stata superiore o meno a quella fumosa organizzazione sociale che va dalla caduta simbolica dell'impero romano al Rinascimento. Vi dirà che sono semplicemente diverse.

Tuttavia Baricco applica al caso calcio italiano la sua formulazione o teoria generale: "Complice una precisa innovazione tecnologica, un gruppo umano sostanzialmente allineato al modello culturale imperiale, accede a un gesto che gli era precluso, lo riporta istintivamente a una spettacolarità più immediata e a un universo linguistico moderno, e ottiene così di dargli un successo commerciale stupefacente".

Che diventa poi: "Con l'invenzione della televisione digitale, uno sport che era stato per pochi ricconi e della televisione di Stato, finisce nelle mani di privati che, seguendo il modello dello sport americano, ne accentuano il tratto spettacolare, lo allineano alle regole del linguaggio moderno per eccellenza, quello televisivo, e in questo modo ottengono di spalancare il mercato, moltiplicare i consumi. Risultato apparente: il calcio perde l'anima". (I Barbari pag.49)

Più o meno la sintesi quindi è che a causa di una spettacolarizzazione e commercializzazione dello sport sul modello americano, i cui emblemi sono Moggi e Sky, Baggio, il più forte di tutti, il genio, si ritrova in panchina, e i terzini alla Zambrotta diventano indispensabili per la squadra. Una mossa suicida del gioco calcio che arriva ad eliminare la parte più bella di , il numero dieci.

Senza voler difendere Moggi o Sky, dove per dirla alla francese Je m'en fous, bisogna riconoscere che Baricco agita un cambiamento che in questi anni si è arricchito di cronache negative, immorali, sporche, corrotte, marce. In parole povere un cambiamento che a detta di tutti sembra essere avvenuto in peggio. Troppi soldi girano e si sa. Baggio è un fuoriclasse e si sa. Ma Baricco con troppa furbizia convoglia questo malumore, dove i ragionamenti sono fortemente condizionati da aspetti emotivi, verso una causa da lui individuata. Il suo modello calcistico è stato tradito dalla quella rivoluzione di gioco che non ha fatto altro che esprimere la filosofia barbara: il calcio totale.

Un nuovo modo di giocare che rispecchia una nuova logica filosofica, finalizzata alla spettacolarizzazione, dove tramite la medietà dei singoli, ovvero tutti sanno fare un po' tutto, tutto il sistema gira più veloce. "La medietà è veloce. Il genio è lento". "Un cervello semplice trasmette messaggi più velocemente, un cervello complesso li rallenta". Sebbene una cosa siano i diritti televisivi, una precisa politica commerciale, la corruzione di Moggi e una cosa siano le strategie calcistiche, il calcio totale, a zona, e la tecnica del fuorigioco.

Che cosa ne deriva dal suo modo di ragionare? Il sistema si è istupidito. Ma questa non è una teoria, non è un'argomentazione, sono le nostalgie di un giovane già vecchio "cresciuto all'antica". Come detto sopra giudizi di valore non possono esseri confrontati in maniera quantitativa e qualitativa, non è possibile dire che il rosso valga più del verde, o affermare quale sia il colore più bello, ognuno ha le sue opinioni. Cavalcare le sue nostalgie, e quelle di molti altri, non è un approccio che spicca per onestà intellettuale.

Ed in ogni caso, fermo restando l'imbarbarimento dell'ambiente calcio e solo di quello per i suddetti motivi, è innegabile che il gioco sia diventato in più complesso. Ovvero non è avvenuto anche in questo caso quello che Baricco riconosce alla musica classica nell'Ottocento?Una migliorazione dei gesti, una sua evoluzione? Un gioco di squadra in cui tutti i componenti sono parte attiva del gioco è un'evoluzione più complessa o no, rispetto al "vecchio calcio che viveva di molti duelli personali"? Se si confrontassero due squadre oggi, una che gioca alla vecchia maniera, con il Libero, e un'altra con il "calcio totale" chi vincerebbe? Del resto le regole non sono cambiate. Dimenticarsi questi piccoli particolari, così come paragonare Zambrotta e Baggio come prova della medietà verso cui stiamo andando allo stesso modo, non è serio.

Ma arriviamo a quello che noi interessa, arrivare tramite la critica ad una affermazione di idee. La massima generale derivata dalla sua argomentazione calcistica è:

"Un sistema è vivo quando il senso è presente ovunque e in maniera dinamica: se il senso è localizzato, e immobile, il sistema muore" (I Barbari pag. 58)

Mi era già capitato di affermare che il senso lo si acquista al ritorno, che matura durante il viaggio, dopo una partenza, al ritorno di una ricerca. Ma qui vengono messi in contrapposizione due mondi, due modi di vedere le cose. Da una parte chi con la fatica e la dedizione al suo lavoro trova il senso delle cose e dall'altra colui che vive il tutto come un divenire, colui che cerca il senso delle cose nella loro evoluzione.

Riconoscendo l'acutezza delle riflessioni di Baricco, in particolare l'essere riuscito a descrivere i meccanismi tramite i quali si vivono e creano nuove esperienze, rimane la delusione della interpretazioni. Quello che lui considera saccheggio, ovvero il cambiamento di una vecchia istituzione, la riappropriazione e modifica di un gesto, la creazione di "sistemi passanti", a me appare una conquista. La conquista di aver rialzato la testa dal proprio lavoro per rendersi conto del circostante, per rendersi cosciente degli effetti e delle conseguenze del proprio lavoro.

Nell'aver alzato la testa si rigetta un nuovo sguardo sul mondo, uno sguardo completo, totale. Finalmente non si è ripiegati su noi stessi, eseguendo un compito i cui esiti e le cui interdipendenze erano irrilevanti. Riscoprire e vivere tramite una nuova etica sociale. Lavorare pensando a cosa si fa, cercandone il senso, ovunque esso sia, rincorrendolo se necessario. Ci giudichiamo da fuori, vedendo e amando anche la spettacolarità delle cose, la causa del nostro entusiasmo in cui soggiace creazione di bellezza. Si va verso una nuova etica aperta e relativistica. Questo è un valore, non un disvalore, si riesce ad avere uno sguardo sul mondo e su noi stessi più oggettivo, perchè più aperto e soggetto al confronto.

Cercheremo di risolvere la sfida del bene e del male nella loro fusione, nella bontà del singolo gesto e del singolo individuo, nell'affrontare la contraddittoria e complessa realtà, non marcandola di bianco o di nero, non nascondendola sotto al tappetto, tacciando l'ipocrisia, approfondendo tutte le sue sfumature.

Quando penso alla dedizione al lavoro, Baricco pensa a Monsieurs Bertin, io penso ad Eichmann, l'esecutore, il burocrate, responsabile della morte di 6 milioni di ebrei durante l'Olocausto perchè ripiegato su se stesso, intento a non chinare la testa guardandosi solo i piedi, senza pensare al senso di quello che faceva. L'unica sua preoccupazione era fare un buon lavoro. Come ha affermato Simon Wisenthal, tra i responsabili della sua cattura dopo avergli dato la caccia per oltre 20 anni, "se gli avessero chiesto di catalogare e mandare a morte tutti quelli il cui nome iniziasse con la lettera B dell'alfabeto, probabilmente avrebbe fatto lo stesso lavoro". La banalità del male si è detto. Questa mancanza di senso collettivo, di lucidità sociale, di coscienza delle proprie azioni è la distanza da colmare, l'obiettivo da raggiungere.

Perchè il senso oggi lo si acquista, lo si vede e comprende tramite il movimento, il confronto, in velocità, che non diventa assenza di genio, ma intelligenza collettiva, abbattendo i totem, non più assoluti. Grazie a dei Sistemi Passanti, esattamente come individuato da Baricco, si arriva a esperienze da attraversare, divorare, assaporare. Divengo dunque sono. Per Baricco è una perdita di anima, per noi una nuova visione, necessaria per capire le cose oggi. Perchè il mondo è interconnesso, e la spiegazione di un gesto, di un evento, di una frase è da ricercare nel percorso appena fatto. Nella scia illuminata di esperienze lasciate dietro di sé. Verso una visione totale.

domenica 27 dicembre 2009

Baricco, oltre i Barbari -II- Vino

Baricco comincia il suo saggio con l'elemento Vino, uno dei "villaggi periferici" saccheggiati dall'orda barbara. In breve ricorda come la produzione del vino non sia più esclusivo appannaggio di viticoltori italiani e francesi, ma da circa una quarantina d'anni sia diventato un fenomeno planetario, alla portata anche di altri popoli come quello americano, australiano, cileno e sud africano. La prima imprecisione sta già nel fatto che in molti di questi paesi si produceva vino già da prima, lo stesso Cile aveva importato uve francesi già un paio di secoli fa, per non parlare della produzione presente da tempi antichi in molti altri paesi come la Spagna, la Grecia e l'Ungheria la quale ha anche un contenzioso in sede europea per i marchi DOP dato ad alcuni vini italiani.

Pertanto il "gesto" di fare il vino, identificabile con una "aristocrazia terriera" ben definita, ora viene svenduto: si genera una perdita di senso oltre che di anima. I Barbari del resto come sostiene Baricco non hanno anima, "cercano di farne a meno"appunto.

Balzano immediatamente agli occhi una serie di elementi che ostacolano la fluidità delle pagina. Questi elementi sono sintetizzabili in pregiudizio-arroganza-paura, tecnologia e ignoranza storica.

Innanzitutto, emerge in tutta la sua pericolosità l'atteggiamento provinciale e arrogante di Baricco, il cui humus culturale è il pregiudizio. L'atteggiamento provinciale si individua nello scegliere elementi nazional-popolari quali appunto il calcio ed il vino, su cui è facile puntare ad un trasporto emotivo (come è suggerito qui) mandando a farsi benedire la formulazione di una teoria generale. In secondo luogo, il modo di pensare per cui noi solo siamo (eravamo) votati a produrre vino di qualità, essendo artisti dotati d'anima, e che il vino e la storia degli altri paesi è (era) semplicemente inferiore, non conosciuta, o peggio volutamente ignorata, è alquanto pericoloso. Il vino è solo un esempio, tale modo di pensare è pericoloso nel momento in cui può essere applicato a tutti i campi. Il pregiudizio secondo il quale l'altro non possa fare una cosa migliore o uguale a noi anche se appena arrivato, è esemplificato dal qualunquismo del tipo all'estero non sanno fare il vino. E' solo la premessa di un latente razzismo culturale. "Aristocratici" oggi bisogna diventarlo, non nascerci, si chiamano pari opportunità.

"Perchè adesso fanno vino (hollywoodiano) in Cile, Australia, California, e posti anche più assurdi, mentre una volta lo facevano solo francesi e italiani?" (I Barbari, pag.38)

Semplicemente perchè la cultura viaggia, si mischia, si evolve. Qui emergono una serie di elementi che vale la pena sottolineare.

L'immediata conseguenza di ragionamenti sì chiusi se non etnocentrici è, proprio come per gli atteggiamenti razzisti, il sentirsi superiori e quindi legittimati ad una privilegio che va di pari passo con una limitazione della libertà altrui. La libertà di provare, sperimentare, creare secondo canoni e stili nuovi, la libertà di affermarsi, di innovare.

Può darsi che siano partiti tentando di imitare noialtri apparendo quindi goffi, ma se è vero che il lavoro e l'impegno pagano, allora non ci resta che aspettare e vedere per credere. Il paziente osservatore direbbe: diamogli tempo. Perchè quando i Giapponesi hanno cominciato a produrre prodotti ad alta tecnologia nel dopoguerra erano visti con una certa simpatia dagli Americani, perchè i Cinesi da principale mercato di destinazione degli investimenti esteri stanno ora diventando i principali investitori, perchè tutti indipendentemente dalla loro provenienza culturale e condizione sociale possono, basta la volontà, appropriarsi, rigenerare e reinventare usi e costumi, gesti quotidiani portandoli anche a livelli superiori di quello che noi stessi riusciamo a fare.

Che dire del giapponese Makoto Onishi che ha vinto per ben due volte nel 2003 e 2006 il PizzaFest a Napoli, creando la pizza più amata dal ben educato, in termini culinari, pubblico napoletano? Qualcuno mangiando una squisita pasta alla carbonara, cacio e pepe o amatriciana in un qualsiasi ristorante romano si è mai reso conto che essa veniva cucinata nella quasi totalità dei casi da un immigrato pakistano o bengalese? Stranieri che pazientemente hanno imparato i nostri gesti e li hanno migliorati. Cosa che possiamo fare tranquillamente anche noi, lo scambio è un gioco a somma positiva.

"Se giudichiamo l'intelligenza di una frase dal colore, sesso, nazionalità o cultura di chi l'ha pronunciata, allora la ragione è stata definitivamente eliminata". Lo diceva F.A. Hayek, in La Società Libera, e se non applichiamo questo concetto largamente condiviso anche ai prodotti, ai manufatti, ai gesti quotidiani, giudicandoli non per il valore che essi contengono ma in base a chi l'ha fatti, ci si incammina in direzioni ugualmente pericolose.

Quindi un primo aspetto è il pregiudizio dettato dall'arroganza e da un insito conservatorismo (dettato dalla paura):

"Pensate al produttore di vino francese, ricchissimo, con un nome celeberrimo, inchiodato sull'ordine perfetto delle sue preziosissime terre, seduto su una miniera d'oro, forte di un'aristocrazia conferitagli da almeno quattro generazioni di formidabili artisti. E adesso inquadrate il produttore di vino hollywoodiano, con il suo nome qualsiasi, seduto sulla sua terra cilena qualunque, figlio, se va bene, di un importatore di vini e nipote di uno che faceva tutt'altro, dunque privo di quarti nobiliari. Metteteli uno di fronte all'altro: non percepite il caro vecchio puzzo di rivoluzione?" (I Barbari, pag. 42)

Tale conservatorismo probabilmente è dettato da un certo astio verso la tecnologia, causa di modernità, ed in particolare verso quella che ha reso possibile ai "pazzi americani" di produrre vino in un "deserto". Anche qui c'è un errore sostanziale perchè si scordano due elementi: la tecnologia è solo un mezzo, non un fine; in quanto mezzo ha la possibilità di "amplificare" o "semplificare" il raggiungimento di un nostro fine, nel bene e nel male. A noi un uso intelligente.

Ovvero sebbene Baricco individui nello sviluppo della tecnologia una delle cause dell'imbarbarimento moderno (già concetto di per sè singolare, in quanto la parola tecnologia ha sempre portato con sè un miglioramento), in realtà dimentica che proprio nel caso dei vini ha permesso negli ultimi venti anni un sensibile aumento della qualità, come per tanti altri prodotti alimentari come ad esempio l'olio d'oliva, ma questo viene ovviamente dimenticato.

Il fatto che grazie alla tecnologia si riesca a fare qualcosa che prima non si riusciva a fare, non può essere chiamato imbarbarimento, e a meno che non si veda come unica soluzione la distruzione delle macchine per pura paura del cambiamento o per nostalgia: bisognerebbe quindi concentrarsi su un uso intelligente della tecnologia. Che ce ne facciamo di una automobile da cinquantamila euro se poi passiamo la maggior parte del tempo alla guida nel traffico?

Trattando di tecnologia, Baricco compie un'altra imprudenza metodologica assegnando alla stessa un eccessivo determinismo e peso. Le invenzioni più importanti del nostro tempo sono nate per caso e create per un altro scopo, sono state poi convertite all'uso ritenuto più utile in quel momento. Basta guardare la storia delle invenzioni più importanti per avere un'idea: regna l'indeterminismo.

Il punto è che tutti i cambiamenti possono avere esiti insperati, generare conseguenze inintenzionali, inaspettate. Talvolta peggiorano la qualità della nostra vita: si pensi alla televisione e al suo abuso oltre che alla fruizione passiva, alle automobili e al traffico, ai cibi industriali, alla tecnologia basata sul petrolio e così via. Strumenti utili e quasi indispensabili ma che cambiano anche in peggio la nostra vita.

A noi l'uso intelligente del mezzo che richiede inevitabilmente del tempo, perché il cambiamento va interiorizzato, metabolizzato, digerito, adattato: prende tempo trovare la sua migliore applicazione: si pensi ad internet nata come conseguenza del sistema di difesa spaziale voluto da Regan negli anni '80! Trovare la strada da seguire talvolta prende tempo. Il carattere più dirompente delle tecnologie moderne è sicuramente quello della "democratizzazione" del mezzo, altro che imbarbarimento: oggi possiamo vedere cose che prima esistevano senza alcuna visibilità. Ad esempio è grazie alla tecnologia che con un click ho il glossario del buon enologo, una finestra su un mondo altresì chiuso: http://www.vinocon.it/GlossarioCaratteristicheVino.htm

Demonizzare la tecnologia tout court è mancanza di idee, o peggio cattiveria. La verità è che tali potenti mezzi hanno bisogno di tempo per adatttarsi, per essere assimilati, per essere utilizzati in maniera consapevole. Ma se si ragiona in termini ottocenteschi ecco la frase di Baricco:

"[...]complice una precisa innovazione tecnologica, un gruppo umano sostanzialmente allineato al modello culturale imperiale, accede a un gesto che gli era precluso, lo riporta istintivamente a una spettacolarità più immediata e a un universo linguistico moderno, e ottiene così di dargli un successo commerciale stupefacente". (I Barbari pag.43)

Un'ultima precisazione: il cossiddetto American Way of life del XX secolo ci ha profondamente influenzati, ma adesso la vera rivoluzione è segnata dalla fine del mono culturalismo e dell'imperialismo che l'aveva generato. Che dire della silenziosa ascesa dei kebab in Italia e in Europa, che hanno affiancato silenziosamente la pizza, superato senza clamore gli hamburger? Che dire della diffusione in Occidente di discipline orientali antichissime, quali lo Yoga, la meditazione, dello sviluppo del culto del tè cinese?

Aspettiamo con ansia i contributi che gli arabi, cinesi, indiani, marocchini, tunisini, algerini, africani daranno alla nostra cucina, alla nostra lingua, al nostro immaginario: nuova cultura collettiva. Come cambieranno le nostre abitudini e come noi cambieremo le loro. Se è vero che noi rappresentiamo l'Occidente imperialista, è vero che loro sono numericamente la maggioranza, più giovani e con un'energia esplosiva: il mondo cambia più velocemente di quanto si pensi.

La Storia. Baricco comincia con il vino per "studiare i barbari nel loro saccheggio di villaggi periferici", ironicamente il primo post di questo blog raccontava proprio una storia inerente alla cucina e alla sua evoluzione. Baricco dice Vino, io rispondo Cucina.

La storia della cucina ci insegna che essa è soggetta a mode, viaggia, si diffonde, si mescola. Che dire delle influenze arabe sulla cucina siciliana? Lo stoccafisso che venne importato a Venezia? La separazione nella cucina italiana del XVIII secolo del dolce e del salato? L'influenza francese e spagnola nella cucina napoletana? Il Babà che venne importato dalla Polonia? L'evoluzione di prelibati piatti di pasta in questo ultimo secolo grazie allo sviluppo della tecnologia e alla sua commercializzazione? Che sarebbe stato della cucina italiana e spagnola, se non fosse stato importato il pomodoro dal continente americano? Saremmo mai arrivati agli spaghetti col pomodoro? Ai pelati? Al S. Marzano? Al piennolo vesuviano? E la pizza ca' a 'pummarole encoppe'?

Stesso discorso andrebbe fatto praticamente per mille altre nostre abitudini oggi considerate sacre. Il sacro è un valore soggettivo e creato dalla abitudine, dalla sua istituzionalizzazione. Senza nulla togliere alla poetica, del resto soggettiva, di tali gesti, di tali azioni, esse hanno avuto un inizio ed avranno presto o tardi anche una fine, un'evoluzione o una moltiplicazione. Come dire, considerando il vino un "villaggio saccheggiato" non si scopre nulla di nuovo sotto al sole. Oltre a dimostrare profonda ignoranza, o mancanza di rispetto per la storia in generale, per la sua anima, le sue origini intrecciate e bastarde, confuse ed indistinguibili, si ignora che i concetti stessi di "tradizionale" e "originale" sono termini completamente arbitrari in un' ottica di lungo periodo.

La paura di perdere la sacralità di gesti relativamente antichi, è in realtà un vacillamento di tali gesti dinanzi a qualcosa di nuovo e diverso. La sacralità del gesto è data dall'attesa che si crea nella ripetizione del proprio gesto. L'attesa deve essere istituzionalizzata, sedimentata nelle coscienze e nelle memorie. Quello che accade è che stiamo distruggendo vecchi Sacri Totem, li stiamo relativizzando e sostituendo con dei nuovi. Nessun totem in sè avrà un valore maggiore degli altri. Ci saranno segmentazioni, rispetto reciproco, e nuove abitudini collettive. La creazione di nuovi simboli e abitudini sacre si cristallizza piano piano grazie agli stessi soggetti, attori di un cambiamento attivo, che sono portatori inconsapevoli di nuova cultura. I totem stanno cadendo uno dopo l'altro, quello che viene scambiato per barbarie è in realtà un nuovo processo di secolarizzazione.


martedì 22 dicembre 2009

Baricco, oltre i Barbari - I


Penso che sia ormai chiaro l'intento di questo blog di approfondire, riflettere e condividere storie, viaggi, valori e visioni che ritengo emergenti, nuove, poco raccontate o che sono viceversa considerate già ovvietà, il futuro prossimo venturo.

Alla base, dietro, ci sono teorie. Più o meno stabili, sempre in evoluzione, migliorabili, quindi falsificabili. Verità assolute non esistono. Quello che si cerca di conquistare esperienza dopo esperienza, ragionamento dopo ragionamento, è una verità relativa, la formulazione di una visione personale, altra sul mondo. Perché quello che stiamo facendo in maniera incessante è aprirsi. Oltre la poetica, qui si ricercano idee. E' una concorrenza e una cooperazione multidisciplinare di idee.

Quello che mi appresterò a fare quindi non è una critica letteraria. Piuttosto il tentativo di andare avanti nel campo delle idee. Il tentativo di delineare un'avanguardia, arrivare forse ad un corrispondente manifesto. Un manifesto delle intenzioni, e delle visioni, un' interpretazione sintetica della poetica che così come la prefazione di una tesi va scritta al termine, quando si ha coscienza di ciò che si è appena fatto.

Sebbene non ci troviamo ancora alla fine, di strada ne è stata fatta in maniera sufficiente per una prima riflessione. Un primo panoramico sguardo.

Lo spunto è dato dal libro di Baricco, I Barbari - Saggio sulla mutazione. Un libro scritto e pubblicato più di tre anni fa, anche se l'ho letto da poco, e probabilmente non è più attuale. Il libro in non conta tanto da meritarsi una divulgazione o una critica. Non è una pietra miliare per chi si interessa di globalizzazione, cambiamento, civiltà e apertura. Niente del calibro di Armi, acciaio e malattie, per intenderci. Il libro di Baricco non ha niente di scientifico, qualcosa di poetico, romantico e nostalgico, ma sebbene voglia essere un libro di idee, sulle stesse si adagia pigramente e con molta supponenza.

Perché allora dedicarsi ai Barbari? Perchè il libro offre spunti in quasi ogni pagina, perchè trasuda di una visione della vita e del mondo in perfetta controtendenza a questo blog, perchè I Barbari hanno semplicemente dato il la a riflessioni rimuginate da tempo, perché è perfetto come base di partenza per una critica totale che diventi affermazione di idee. Osservando chi non ci piace realizziamo come non vogliamo diventare e di conseguenza la strada da intraprendere. Pertanto il valore di ciò che si dirà è tale al di fuori del libro di Baricco e indipendentemente da esso. Proprio perchè quello che si vorrà scrivere non è tanto una critica, ma un passo successivo. Un superamento.

Pensavo di scrivere un unico post, poi mi sono reso conto che sarebbe venuto troppo lungo e allora mi è venuta l'idea di seguire un metodo simile a quello utilizzato dallo stesso Baricco, rendendo così il confronto più agevole e migliorandone la comunicabilità. Anche se possiamo considerarla una coincidenza ed una esigenza fisiologica dettata dal blog. Del resto anche i Barbari è apparso a puntate sul quotidiano la Repubblica.

Partiremo con tre contro-risposte a tre delle sue principali riflessioni che costituiscono l'indagine sulla barbarie contemporanea: Vino, Calcio, Libri.

Infine, per chi non avesse letto I Barbari, esso è un ragionamento aperto sulla mutazione in tempi moderni. Le dinamiche, i mezzi, le cause, i valori. Ecco come l'autore stesso lo definisce:

"Dovendo riassumere, direi questo: tutti a sentire, nell'aria, un'incomprensibile apocalisse imminente; e, ovunque, questa voce che corre: stanno arrivando i barbari. Vedi menti raffinate scrutare l'arrivo dell'invasione con gli occhi fissi nell'orizzonte della televisione. Professori capaci, dalle loro cattedre, misurano nei silenzi dei loro allievi le rovine che si è lasciato dietro il passaggio di un'orda che, in effetti, nessuno però è riuscito a vedere. E intorno a quel che si scrive o si immagina aleggia lo sguardo smarrito di esegeti che, sgomenti, raccontano una terra saccheggiata da predatori senza cultura. I barbari, eccoli qua. Ora: nel mio mondo scarseggia l'onestà intellettuale, ma non l'intelligenza. Non sono tutti ammattiti. Vedono qualcosa che c'è. Ma quel che c'è, io non riesco a guardarlo con quegli occhi lì. Qualcosa non mi torna."

Alessandro Baricco

Lascio anche tre links (grazie a Google) a blogs con commenti esattamente opposti sui Barbari, dall'odio incondizionato all'esaltazione del genio :