domenica 7 settembre 2008

La spiritualità


La porta di una moschea è sempre aperta, non chiude mai, la notte come il giorno è buono per pregare, meditare, avvicinare se stessi. Il tempo è soggettivo, dilatato, dieci minuti per le genuflessioni, ore passate all'ombra di una colonna, nessuno impone orari, la mente si rilassa e il silenzio assorbe.

Intervalli di calma scanditi da richiami giornalieri, l'invito alla preghiera, il buon musulmano è tenuto ad andare cinque volte al giorno. Il Venerdì c'è il sermone, e la moschea è sempre piena, è il vero giorno della preghiera, è il giorno della funzione e mi trovo ad ascoltare le parole dell'imam. Se la prende con la società moderna dei consumi e il decadimento morale, parole non molto lontane, non tanto estranee, da quelle di un qualsiasi prete alle prese con il sermone domenicale. La folla aumenta, gruppi di vecchietti si aggregano ai lati e negli spazi anteriori della moschea. La meditazione e il silenzio sono rotti dall'avvicendarsi dei fedeli per la preghiera del Venerdì. Ci si saluta, ci si siede tra gli amici, si aspetta l'inizio della funzione. La moschea è anche questo, soprattutto questo, un luogo di incontro, di sosta, di riferimento.



Penso a quanta incomprensione ci sia in Italia, quanto provincialismo. Penso con stizza al dibattito sull'opportunità di costruire moschee in Italia, alla protesta di un gruppo di immigrati musulmani di un paesino del trevigiano, Villorba, che pregano all'aperto in un parcheggio, allo scetticismo nato dalla paura di fornire un luogo di incontro, alla rabbia e frustrazione dei musulmani in Italia a cui è ostacolata la libertà di culto. Penso a come si sentirebbero se venisse meno un luogo così importante della loro quotidianità.
Un luogo se vissuto continuamente non è solo uno spazio fisico, concorre a formare la propria identità legata ai luoghi in cui possiamo vivere le nostre emozioni, manifestare la nostra cultura, il palo attorno al quale girare, il metro della distanza dei propri cammini di vita, dà il senso della misura, metro e tara al tempo stesso. Penso al senso di alienazione che si possa provare all'estero, da immigrato, alla rabbia di essere catalogati come violenti e malintenzionati per la semplice voglia di incontrarsi in maniera non conforme a quella dei paesanotti padani. Penso alla stupidità del sindaco di Treviso, agli amministratori della Lega Nord che arrivano a vietare la "moschea" nei regolamenti urbanistici dimenticando l'articolo 8 della Costituzione e la libertà di culto.


Penso alle persone che si svegliano a notte fonda per rispettare il Ramadan, agli orari invertiti, all' esigenza che solo tu senti, estranea alla società in cui sei ospite e che non ti rispetta, alienato in un contesto che rifiuta qualsiasi comprensione.
Penso alle stupide analisi fatte dai nostri media e dai nostri politici, interpreti del sentimento popolare, penso alla distanza, al pregiudizio e all'ignoranza verso questo mondo. Un mondo dietro casa, a portata di mano, che bussa alle nostre porte e di cui vengono disattese le speranze di dialogo.

La moschea è piena, uomini scalzi senza distinzioni e gerarchie, tutto ricorda la pace, anche l' accoglienza fattami di sorrisi durante la preghiera del Venerdì infonde calma e benevolenza, non scacciato dalla funzione ne divento parte, accettato da una cultura della fratellanza osservo questi figli d'uomini che non lasciano spazi vuoti tra loro, genuflessioni all'unisono, spalla a spalla affinché nessuno si senta escluso.

I tappeti morbidi ricordano casa, mi guardo i piedi nudi poggiato all'indietro sulle braccia , le dita sprofondano tra le setole, alzo la testa, penso che sotto un lampadario ed una struttura priva di centro, il centro torni ad essere tu, in un luogo orizzontale di pace, in assenza di gradini dai quali erigersi, la semplicità fa il suo capolinea, in una moschea che è anche casa, rifugio e serenità. Penso che un luogo pregno di spiritualità non debba necessariamente indurti ad un'estasi mistica, non devo necessariamente sentirmi più vicino a Dio, ma nell'avvicinarmi alle emozioni degli altri, nella comprensione raggiungo il mio innalzamento spirituale, la mia ascesi, nell'empatia manifesta degli sguardi e del corpo ho la soluzione del cruciverba che tesse i significati d'identità e cultura.


6 commenti:

Anonimo ha detto...

varcare la porta di una moschea mi è stato concesso ad Istanbul. Una moschea semplice, piccola e bianca, dentro e fuori. Non uno sguardo di disapprovazione alla mia visibile estraneità, solo curiosi occhi che non smettevano un'aria pacata. Nessun santo che da angoli bui, col dito levato, ti redarguisce per le umane debolezze che tutti sperimentano. Non un'immagine di sofferenza di profeti o madonne, l'assenza di magnificenza è proporzionale alla calma e comodità di un posto dove tutti sono tenuti a camminare scalzi, dove si sta insieme senza intralciarsi, occupati a prendersi cura dello spirito. Per la maggioranza dei musulmani, la moschea è questo e molto altro. Come dici tu ale, nel nuovo contesto strano e a tratti diffidente, il migrante ricrea dei punti, dei cardini sui quali incassare la propria vita e farla scorrere finalmente riconoscibile. Dall'antico, da casa, dalla propria cultura trae il tessuto sul quale ricamare i giorni. Privare di ciò chi vive qui non da secoli, ma da anni è degno dell'intolleranza che ha spianato la strada ai totalitarismi della buia europa. E'un gesto d'odio, ammantato d'ignoranza e alimentato da paure inconsce, paure verso il cambiamento, verso sè stessi colti nel pieno del mutamento, incapaci di guardare al mondo come un fiume, desiderosi di chiudersi in una roccia.

clickclick ha detto...

Perfetto corollario da chi ha condiviso con me quei momenti, per mia fortuna, perchè condividere è il primo passo per la comprensione.

Litmanen ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Litmanen ha detto...

Litmanen ha detto...
"La moschea è anche questo, soprattutto questo, un luogo di incontro, di sosta, di riferimento."
A tal proposito basta pensare che la moschea era nata appunto come luogo delle assemblee cittadine. e quella del Venerdì era proprio l'assemblea di tutte le tribù.

In ogni caso, alessà, si nu scem i uerr.. e ridammi la mia borsa di Vienna!!

clickclick ha detto...

Vedi che il prossimo sei tu!
Non l'avrai mai!

Anonimo ha detto...

senti, io comunque sono orrido.. ma quella foto lo è di più:D
se vuoi ti mando una mia recente foto.. me li sono tagliati i capelli:D