sabato 20 giugno 2009

Sacro e Profano (II/II)

Luci. Raggi laser che oscillano a ritmo di canzoni dance, spagnole e non. Successi degli anni Ottanta e Novanta che rimbombano nell'aria come temporali e urla profetiche. Fiumi di persone che nuotano freneticamente perché alimentati da innumerevoli bottellònes. Balli popolari e tradizioni antiche che si mischiano nel popolare moderno, al suono della pop music.




Facce nascoste durante la normale giornata granaina. Vite evidentemente esterne al mondo studentesco e "culturale" della città. Viene da chiedersi dove si siano nascosti tutto questo tempo, cosa pensino e da dove vengano. Probabilmente dalle periferie e dai paesi che di per sono periferia. Una festa innegabilmente chana, ovvero grezza, cafona, non raffinata, terra terra, che farebbe storcere il naso a chi ricerca una cultura alta, elitaria, evidentemente non popolare. Tuttavia nella festa si respira un che di autenticità e di partecipazione che altrove non si respirerebbe, qualcosa di attivo, di reale che la rende eccitante e divertente, per questo si è spinti al ballo, al dialogo, alle risate.







La gente che anima questo tipo di festa popolare, facente parte a tutti gli effetti della tradizione, potrebbe far pensare ai Barbari di Baricco. Forse con un solo piccolo particolare, che secondo Baricco i Barbari siamo noi che la osserviamo e ne parliamo tramite un blog, noi che non appartenendo a questa storia, all'anima e allo spirito che la crea, vi partecipiamo solamente per viverne l'esperienza. Per navigare in superficie senza scendere in profondità.


Ma, a differenza di quel che pensa Baricco, sono ancora molti i giovani che si immergono nella Feria granaina pur avendo una quotidianità completamente diversa dalla maggior parte delle persone che la celebrano, pur avendo un'anima ormai non più pura, ma contaminata da molteplici e contraddittorie esperienze. Tuttavia la cosa bella è proprio questo, cioè che alla feria ci vengono tutti, senza alcuna distinzione, anche quelli che normalmente non si vedono per strada. Perchè è una festa tipica e simile a quelle delle altre città andaluse, e scendere in profondità, ballando, giocando e bevendo, forse aiuta a comprendere meglio anche quegli aspetti sacri delle altre feste religiose.




Innanzitutto, un legame con le feste religiose è dato dal fatto che la feria di Granada si tiene in occasione della celebrazione del Corpus Christi, tuttavia ciò non avviene con altre città che celebrano le loro ferie in differenti periodi che vanno da Aprile a Giugno. Altri aspetti comuni alle celebrazioni religiose sono ad esempio, la loro periodicità, l'essere evento atteso che scandisce il passare del tempo, il momento preciso dell'anno e della stagione. Non a caso l'origine delle ferie sembra proprio essere legata al mondo agricolo. Iniziate come ferie di mercato, incontri stagionali dei produttori locali, un'occasione allo stesso tempo di festa e di lucrosi affari, sono divenute poi immensi parchi di divertimento. Ma la festa mantiene anche il suo carattere rustico, contadino, tradizionale, dove le donne vestono alla sevillana e gli uomini, anche se pochi qui a Granada, vestono un completo nero con gilè e cappello dalla tesa piatta e rigida.


La popolarità e la tradizione si avverte proprio dal fatto che i giovani non sono la maggioranza, ma la vera anima sono coppie di signori e signore in là negli anni che ballano tutta la notte nelle differenti casetas . Così come la spina dorsale delle processioni della semana santa è costituita da vecchi fedeli che attendono pazientemente il passaggio della Vergine.
In secondo luogo, il calendario. L'esplosione della festa è data sicuramente dalla attesa che si crea, dal fatto che già settimane prima è annunciato come evento, se ne comincia a parlare e ci si organizza per andarci quel o quell'altro giorno. Periodicità e attesa, stimolano l'immaginazione, creano aspettative, lasciano il giusto spazio per la mitizzazione dell'evento.
Terzo elemento, la teatralità. La capacità di dar tono anche alle cose semplici, con gesti tanto semplici quanto teatrali. Particolarità dei corpi che fuggono e rigettano le mode imposte, i corpi, per mostrare gonfi ventri, grezzi tatuaggi, ornamenti eccessivi e luccicanti. La cultura della festa è rappresentata dalla sua gestualità, da codici che si apprendono e si ritrasmettono, la ripetizione nel tempo di gesti diventa abilità da sfoggiare in tutti i momenti della festa, per conquistare un ruolo forte tra gli amici, la ragazza tramite il ballo, per essere ammirati dai propri figli, o per dimostrare un'antica e più profonda conoscenza della vita. Cadere in piedi nella giostra del ta-ka-ta, essere sensuali ballando alla sevillana, abili nel bucare i palloncini, precisi con il fucile, forti e brutali davanti al branco.

Il carattere profano in realtà a volte è difficilmente distinguibile dal carattere sacro. Sembrano aspetti uguali ed opposti dello stesso modo di interpretare il mondo, della stessa cultura, solo che uno dei due è istituzionalizzato dalla Chiesa, l'altro dalla gente e dai giostrai. La feria anche se per scopi diversi si esprime con un carattere simile. Il carattere ludico da condividere in famiglia, con gli amici, tra ragazzi e ragazze in cerca gli uni degli altri. La forza degli odori dolci e di fritto, sembra concorrere con i forti odori di incenso delle processioni, le urla gitane andaluse dei giostrai, le canzoni neo-melodiche sparate a tutto volume sembrano l'alter ego delle strazianti litanie in onore della madonna. L'abbondanza di luci e di cibo, esibita e consumata in occasione della festa, riprende l'abbondanza di oro ed argento, il fasto un po' kich dello stile barocco. Una profanità, un'abbondanza, uno scherzo irriverente che traspare da tutti i lati, questo è il carattere fortemente gitano della festa. Un carattere gitano nel senso spudorato del termine, diretto, sincero ma dal sapore forte. Nel senso disordinato, naturale e casuale, non pianificato, irruento, nel senso rumoroso e chiassoso del termine. Dagli sguardi furbi dei giostrai, dai richiami sbrigativi dei bagarini.
Inoltre, quello che più fa pensare è che la gente sia la stessa delle feste religiose, rendendo evidente il carattere popolare e sentito della festa. Perchè una festa diventa quello che la gente che vi partecipa è, quelllo che la gente sente, pensa e vive. Tuttavia sebbene ci sia qualcuno che dalla propria posizione anticonformista, progressita, contro la tradizione quando questa viene vista come una catena da spezzare, non si riconosce affatto, in generale rimane un carattere trasversale della stessa. Un senso di appartenenza che unisce conservatori e progressisti, retrogradi ed aperti di mente, tradizionalisti e giovani senza tabù, incantati da questa vortice luminoso di bellezza che vale la pena portare avanti perchè porta avanti tutti, tutti insieme. Una moderna processione profana, importante quanto, o forse, anche più di quella religiosa che rischia di svendersi al turismo. Una liturgia moderna e contemporanea che ha già acquisito, ma che è destinata a rafforzare, un carattere sacrale, dove i volti delle persone diventano icone di santi da ammirare, rigettandoci nella bellezza forte e talvolta scomoda della molteplice realtà.

sabato 13 giugno 2009

Sacro e Profano (I/II)

Il cerimoniale è lo stesso da secoli. In testa i giovani ed i bambini, tutti incappucciati, molti scalzi per penitenza. Ci sono i penitentes, talvolta con delle croci, ed i nazarenos, con un lungo cero, che costituiscono il lungo lento fiume di persone che è la processione. Ricca di simboli, stemmi, di colori, centinaia e centinaia di confraternite, le hermandades, appartenenti a differenti chiese, in moltissime città di Spagna, ricercano per decine di ore, nottate, a volte anche per ventiquattro ore consecutive, la trance sino all'espiazione.


La processione dura nottate o giornate intere, ed ogni confradìa segue sempre lo stesso percorso, uscendo dalle chiese principali e sfilando per le principali strade, oppure infilandosi per vicoli secondari che abbisognano, per essere superati, della migliora maestrìa dei portatori. Decine di processioni che si intrecciano per la città nello stesso tempo. Le bande che seguono la processione incalzano con la musica il passo dei penitenti, ma in particolare dei portatori che sudando copiosamente fanno ballare la vergine con tutto il suo oro all'odore d'incenso tra uno scintillio di candele.


Le immagini, purtroppo, non rendono l'idea della grandezza di queste processioni. Centinaia e centinaia di persone, lunghe centinaia e centinaia di metri, che sfilano lentamente, impiegando anche una ora per attraversare una sola strada.

Un pubblico, più che di fedeli, di amanti della processione, la osserva aspettando pazientemente ore, prenotandosi un angolo di marciapiede con larghissimo anticipo, muniti del proprio sgabello aspettano, il Cristo e la Vergine.


Ogni processione porta con due pasos. Grossi baldacchini in legno, ricoperti di fiori, oro e argento. Il primo è sempre un cristo, in croce, in entrata a Gerusalemme sull'asinello, un cristo in preda alla passione. Il secondo è sempre la vergine, il cui colore dominante è l'argento ed il bianco oro, chiaro rispetto ad i colori forti del cristo.


La simbologia è molto forte, i percorsi sono prestabiliti, ed ogni corteo appartiene ad una precisa hermandad, vecchia di secoli, che scrupolosamente segue ogni anno gli stessi rituali.

Gli applausi esplodono ogni qualvolta i portatori del paso manifestano la loro devozione e la loro forza ballando con quintali di legno sulle spalle, e facendo quasi salutare con la mano la madonna ad i suoi fedeli. All'uscita dalla chiesa spesso bisogna piegarsi, inginocchiarsi, per far uscire il baldacchino altrimenti troppo alto, alla prima vista scoppiano gli applausi e anche qualche lacrima.


I pasos infatti rimangono nascosti per tutto l'anno, in qualche androne della chiesa, e compiono il loro trionfo solamente una volta, solamente durante la semana santa. La settimana di Pasqua, che va dalla domenica delle palme alla resurrezione.

Pertanto l'aspettativa che si crea, l'amore ed il sentimento che viene riposto nell'attesa esplode quando la si rivede per la prima volta, dopo un anno. Emblematico è il caso della Macarena, patrona di Sevilla, reina della città, tanto bella da far piangere. L'urlo di guapa! l'accoglie all'uscita e all'entrata della chiesa, dove da un balcone cantanti di flamenco intonano strazianti litanie, saetas, dalla bellezza struggente.

Un clima non facilmente descrivibile e comprensibile se non vissuto almeno una volta, un'atmosfera che mi ricorda quella della processione di lunedì in albis, della Madonna dell'Arco, a Sant'Anastasia ai piedi del Vesuvio in provincia di Napoli. Una tensione collettiva, un'attesa contagiosa, un'emozione esplosiva. Anche lì scene di panico collettivo, isteria diffusa, chi rideva, scherzava e litigava con gli amici fino ad un attimo prima, poco dopo era assorto nella contemplazione di un immagine, un'apparizione che impersonifica tutte le proprie emozioni, le paure, i desideri, il pentimento, il rigetto di colpe e peccati, innocenze perdute. Un amore, non a caso, verso una donna, una madre protettiva, sempre è la Madonna che fa piangere. Un moto dell'animo per me ancora innavicinabile, e tutt'ora misterioso.

Si cerca la trance per espiare i propri peccati, si corre o si striscia come fujenti, si portano croci per sollevare il proprio animo. Un mondo ed una cultura fortemente vicina, ma anche un po' lontana. Perché oggi, con la secolarizzazione, molti giovani non rivedono in questi rituali niente se non qualcosa di tipico, tradizionale, o religiosamente barbaro, osservato con fare voyeuristico, quasi senza partecipazione.

Culture che convivono nelle stesse città e negli stessi spazi a volte senza incrociarsi, che sopravvivono e si ripetono, perché la festa, qualsiasi festa religiosa, è anche un motivo di aggregazione sociale, di distensione, di festa collettiva tramite la quale si ristabiliscono, rimarcano i caratteri di coesione sociale di una comunità, i valori di fondo.

Ma la stessa gente, che seguiva la trance, che piangeva fortemente alla vista della propria reina barocca, estende ed intrattiene il proprio animo anche in un'altra festa. Quelle che vengono subito dopo. Nelle ferias dove liberati e purificati si lascia spazio al profano.

domenica 7 giugno 2009

Amore precario

L'amore delle cose non dette. L'amore delle vite intrecciate. L'amore senza perdono dei discorsi sospesi. L'amore da dimenticare, dai passati sconosciuti aspettando che il tempo arrivi. Amore concesso da persone libere che ti rendono libera. Una condizione che facilmente insegui, difficilmente proteggi, liberandoti dell'amore stesso.

Vite interconnesse che riempiono spazi vuoti lasciati da altri, approfittando anche per un poco di attimi di libertà per un amore di rapina, un amore fuggitivo, che non lascia segni apparenti colmando passeggere tristezze o mantenendo impassibili spensieratezze. L'amore da amici, come per passanti che si soffermano per un attimo incuriosito.

Relazioni che nascono poi, complicate dall'assenza di passato in un presente intangibile che dà spazio a futuri sfuggenti e indeterminati. Rapporti nati senza basi che donano incredibili energie di libertà, che dall'ansia di incontrarsi vengono rigettate verso direzioni divergenti, un amore che deve combattere oggi contro noi stessi e le possibilità della vita.

Perchè si è precari non soltanto nel lavoro, nella casa, nel futuro, ma anche o per sua conseguenza nell'amore. Un amore senza impegno, un fragile filo di lana tenuto a due dita da una semplice coincidenza del destino, dall'inconscia volontà di farlo succedere che allo stesso modo potrebbe abbandonarti. Perché se il filo viene portato via dal vento, velocemente, non esistono ragioni per le quali debba essere inseguito, per la quali valga la pena provarci al di là degli sforzi ordinari, prima che sia troppo tardi e che la distanza l'abbia disperso, ricoperto, concesso a qualcun altro. Un amore in cui non si dà tutto, ma solo quanto strettamente calcolato.

Sapendo che non si deve sbagliare, che non c'è da distogliere lo sguardo per non perdersi. Perchè si pecca di fiducia, si pecca di abbandono, sapendo che questo fa paura e quindi disimpegna. Un amore dalle situazioni difficili e complesse. Perché a partire potresti essere tu. Potresti essere tu a non crederci, assumendoti la responsabilità di non scegliere, di sacrificare qualcuno che sia diverso da te, perché credi in te stesso, nell'amore dalle sensazioni libere e portate dal vento.

Un amore non difficile da trovare, rappresentato dalla variegata quantità di passanti con cui perdersi, ma raro per le condizioni che gli rendono l'esistenza possibile, per l'ammirazione ed il rispetto che lo innalzano. Comune nel suo giramento di testa, ma raro nella sua conservazione.

L'amore dagli importanti rinvii, che post-pone ed evita scelte fatte su solida base, sulla conoscenza reciproca, ma che persegue una continua ricerca di molteplicità e non esclusività pretendendo di vivere nella sincerità.

Un amore che cerca un senso con parole vecchie e già troppo usate, un amore senza impegno che per questo perde di significato. Un amore di passaggio, non ancorato, che ci disperde e rende naufraghi del tempo che non abbiamo avuto per creare importanti memorie. Un amore reso precario dalla necessità di una continua riconferma, la cui assenza, anche una volta, basta per riaccendere la libertà di ricercare altrove nuove dimensioni. Un amore che bisogna di tempo per rafforzarsi, ma che liquidamente scivola su di noi, scaldando solamente il suo passaggio, e che continua la vita che prende volentieri il sopravvento.

L'amore che fa male perché non ha niente di sbagliato. Solo pianti inespressi, solo cinismo che uccide chi poeticamente si opponeva: sacralità che viene sacrificata lasciandoti deluso, come l'idea fissa di una città straniera in una vita lontana ed impossibile da raggiungere.
Solo cinismo che rende insensibili lo stato di cose che assumono priorità rispetto alle persone.

Un amore disilluso e drammatico, perché c'è chi cambia con il mondo e c'è chi vuole cambiare il mondo, nella rincorsa di un amore non ci si arrende o ci si adegua ad uno stato di cose, ma si combatte per cambiarlo. Un'amore impuro, perché sempre contaminato dalla possibilità di un tradimento alle sue leggi non scritte. Una generazione condannata dalle proprie scelte e dai propri tempi ad accettare il compromesso, la volubilità, la maturità formativa che distrugge vecchie certezze. Un processo che è l'altra faccia di quel divenire che ci riempie e cambia la vita che se non è sofferente non può essere gioita.

Un amore, infine, sminuito, perché per accettarlo e viverlo bisogna accettarne la durata, una collezione di rinunce e scelte, assenza di eroi e primi uomini. L'amore dissacrato dei nostri tempi, perché cinicamente osservato nella sua mortalità e nella sua fragilità non ambisce ad alcun matrimonio, ma semmai alla sua sopravvivenza. Amori per cui non si aspetta, amori a cui non si risponde. L'amore deve ripetersi che non esiste, sperare che non sia ascoltato, per essere vissuto incosciamente.