martedì 29 aprile 2008

Cappadocia, parte II

Mentre si procede lungo una dorsale montuosa, ecco che all'improvviso appare una vallata disseminata di sorprendenti sagome appuntite. Lo spettacolo è qualcosa di fantastico, semplicemente irreale.

L'altopiano è costituto da un morbido terreno vulcanico, formato dalle ceneri eruttate dai vulcani Erciyes Dağı, Hasan Dağı, e Melendiz Dağı. Millenni di erosione hanno poi modellato il terreno, dando vita a un particolarissimo paesaggio. In alcuni punti brevi corsi d'acqua hanno scavato strette gole; in altri dove alle ceneri vulcaniche sono frammiste rocce più resistenti, ci sono coni, colonne, torri, pinnacoli che raggiungono i 30 m d'altezza.

I colori cambiano di continuo, all'alba la roccia acquista tonalità rosa pallido, a mezzogiorno il sole la fa diventare bianca, e la luce della sera la colora di giallo e ocra.























































sabato 26 aprile 2008

Cappadocia, parte I

La Cappadocia è una terra stupenda, unica al mondo e semplicemente indescrivibile. Per questo ci provo senza alcuna pretesa con qualche foto. Per creare un'emozione, un racconto, più che offrire una descrizione.

































giovedì 24 aprile 2008

Il viaggio, la perdizione, l'incontro




di Salvatore Paolo De Rosa


Seguire una linea irregolare, immaginaria e mutevole iscritta nella mente e proiettata sul mondo ha il fascino di un teorema che si svela a poco a poco, la sacralità di un pellegrinaggio e la precarietà di un castello di carte. Nei suoi primi passi, il viaggiatore perde scaglie sulla strada, cambia pelle come i serpenti, non immaginando i colori che assumerà il suo corpo rinnovato. L'estraneità gli si insinua dentro come acqua nella terra, l'abitudine si sgretola simile a sabbia spazzata dal vento. Il viaggiatore muovendosi assume l'esterno dentro di , costretto a far posto nell'inventario delle sue parole a nuove parole mai sentite prima, a suoni diversamente articolati, ad immagini mentali inizialmente fatte di nebbia. Egli è portato, per non essere soverchiato dalla differenza, ad essere flessibile come una canna mossa dal vento, finché le resistenze al nuovo non si disfano e diventa un vaso senza fondo in cui tutto entra e si deposita. Nel mondo ridotto a poche ore di volo da un capo all'altro, il viaggiatore ha risparmi messi da parte per spostarsi, guadagnati in lunghe giornate di lavoro alimentate dal sogno di andare. Ma dove giunge egli ricerca ospitalità, non vuole e non può permettersi l'anonima moquette di un albergo internazionale. Ricerca la dura pietra di una casupola sperduta, le scricchiolanti assi di una casa che odora di famiglia. Nella perdizione incontra allora visi amici che tendono le braccia e offrono un riparo alla confusione cui conduce l'esser soli, lontani, sperduti. Come l'uso dei beduini, obbligati da una tradizione antica quanto i deserti ad ospitare, per almeno tre giorni, il viandante che giunge all'accampamento, il senso di ospitalità dovuto, necessario, giace in molti uomini dei più reconditi angoli del pianeta. Come fosse una sfida al destino e al caos, alla precarietà della vita, alle fatiche e sventure che conducono a chiudersi, all'indifferenza acquisita a mo' di scudo d'una fragile sicurezza. Il viaggiatore ha il suo sorriso, e la ricchezza dei luoghi che porta dentro, mescolata ad un interesse che non è esotica curiosità ma ricerca e condivisione. Egli è senz'altro anche un catalizzatore di crisi culturali, porta dentro un potenziale di scontro che non è violento, ma più simile a ciò che deriva dalla collisione di due universi: ne nasce un terzo.



Sulla strada non mancano mai brutti incontri, momenti morti. Fanno parte del viaggio, come il dolore è una parte della vita. Li si affronta attingendo alle riserve serbate nella durezza che il vagare pur insegna. Perché gli incontri non sono sempre forieri di gioia, ma anche di amare scoperte, di nuove malignità dalle cause più recondite. E inoltre non sempre il caso concede l'incontro, per quanto testardamente lo si ricerchi, e il ritrovarsi davvero soli insegna almeno quanto sfianca. Ma la gioia, quando appare mentre sei sul ciglio di una strada senza saper dove andare, che fare, chi sei, e perché sei partito, ha un sapore più acuto, più penetrante, ti risolleva e fa ridere di un riso nuovo, dorato e cristallino, mai provato prima.

Io seguo la mia linea da ormai tre settimane. Ha subito variazioni, spostamenti, inversioni, come è giusto che sia per una linea che ricalca la vita ed è fatta della sua stessa materia. Mi ha condotto a Istanbul, al punto d'incontro di due continenti, al ponte attraversato innumerevoli volte da milioni di uomini, alcuni stabilitisi qui per secoli, poi spazzati via da altri, a loro volta mescolatisi con altri...
Dalla finestra vedo il Bosforo, che ne ha viste tante quante il più longevo e prolifico scrittore non potrà mai raccontarne. E tutte le lingue che ha ascoltato e di cui si è nutrito, che l'hanno cantato, che l'hanno odiato o adorato. E i triremi, i vascelli, le barche, i battelli, le navi, le corazzate e le petroliere che hanno solcato l'acqua blu cobalto nelle imprese degli uomini, cosi' piccole davanti alla sua grandezza e profondità. Qui mi sento in un crocevia, un passaggio che vibra per i passi d'una presenza umana dilagante, nel mezzo di uno scambio dalla mille facce e mille lingue, eppure in una Turchia assorta nelle sue dispute interne e nella ricerca d'un posto sullo scacchiere internazionale.
La scoperta di Istanbul è come assaggiare i suoi cibi: gli ingredienti sono tanti e diversi, non li scoprirai mai tutti se non vivi qui anni, ma il risultato di cui puoi fare esperienza ti lascia senza fiato.



Io sono Salvatore


Io sono Salvatore. Ho la curiosità dell' antropologo, la forza del giovane e il desiderio del viaggiatore. Io sono Salvatore e vengo da Acerra.



Io sono un amico.

venerdì 18 aprile 2008

Ogni mondo è paese


Prima di partire l'idea che avevo in mente per il post, era quella di esprimere un semplice concetto: ogni mondo è paese. Ispirato dal gioco dello scemo in mezzo, torello o come lo si voglia chiamare, volevo dire che fondamentalmente le differenze tra un paese e l' altro non sono così abissali. Anche qui alla prima tiepida serata, quando l'odore del mare si alza per le strade, la gente si riversa, i ragazzi del quartiere, gli amici della strada, i vicini sono riuniti dall'immancabile gioco del pallone, che prende la forma dello scemo in mezzo.

Ci si mette nel punto in cui la strada è meno in pendenza, è più dritta e le macchine si possono avvistare da lontano. Si inizia in 3-4, ma nel giro di pochi minuti si è in dieci. E' un gesto tecnico, un palleggio, un passaggio interrotto o disturbato da dei fanali che manda il pallone per l'ennesima volta sotto una macchina, perfettamente incastrato nel centro o sotto il parafango. Il gioco è continuamente interrotto, o meglio il gioco in strada viene associato proprio alla lotta con le macchine, alla città, al palleggio possibile anche nel traffico.

Guardavo l'intera scena dalla finestra, godendo dell'aria fresca, e pensavo alle stesse situazioni vissute anni prima, in un' altra città, in un altro paese. Ragazzi infine che crescono con stessi desideri, bisogni, necessità. Non siamo tanto diversi perché anche se abbiamo risolto in modo diverso problemi diversi, i fini che ci eravamo dati erano gli stessi. Stessa voglia di fare gol, stessa voglia di ridere con gli amici, stesso bisogno di essere felici.


Una verità dell' economia internazionale, un'assunzione che si fa sempre è che le preferenze di individui provenienti da paesi diversi sono le stesse. Quella che può sembrare una semplificazione teorica si dimostra più vera di quanto si immagini nei fatti. La paura di omologarsi con la globalizzazione, mi chiedo se non sia semplicemente la scoperta che vogliamo tutti le stesse cose, abbiamo gli stessi bisogni, ricerchiamo la stessa felicità nella vita.

Ma ogni mondo non è paese. Perché tutto il mondo non è lo stesso paese se ci devi vivere. Dal breve ritorno in Italia mi sono reso conto che quando si è in viaggio non si guarda al brutto di un paese, perché non ci appartiene, non ne siamo responsabili, e non possiamo cambiarlo, anche perché sappiamo che da quel posto prima o poi ripartiremo. Prendiamo e vediamo solo il meglio, chiudendo un occhio per il resto, facendocelo scivolare addosso.

Esattamente l'opposto per il proprio paese. L' Italia che mi ha fatto tanto arrabbiare in questi giorni, che mi ha deluso ancora una volta, ma così bella, così incantevole che ti può tradire dalle viscere. Nel nostro paese facciamo esattamente l'opposto, vediamo e ci incazziamo per tutte le cose negative, dimentichi delle cose belle. La rabbia nasce proprio dall' incredulità di continuare sulla strada della creatività, del giusto, della bellezza, un'autocritica continua. Ogni mondo non è paese. Non per noi, che ci sentiamo legati ad un posto, non per noi che l'amiamo.

martedì 15 aprile 2008

Figli dell' Africa

Il 16 torno a Roma per la mostra "Figli dell'Africa", vi riporto il comunicato stampa qui sotto, la mostra è per beneficienza e siete tutti caldamente invitati.


Figli dell’Africa

Arte&Gioco in mostra

16 – 30 aprile 2008

Sala Clementina (Complesso monumentale di San Michele a Ripa), Via San Michele a Ripa, 25, 00153 Roma


COMUNICATO STAMPA

Il 16 Aprile alle ore 18.00 si inaugura Figli dell’Africa , Arte&Gioco in mostra un progetto artistico e divulgativo organizzato dalla MIA – Meet In Art con la partecipazione della FondazioneTerres des Hommes, di AMREF Italia e MEWE Onlus

L’esposizione è divisa in due sezioni:

1. Figli dell’Africa di Cristiano e Patrizio Alviti presentata da AMREF ITALIA e da MEWE Onlus, è una mostra di acrilici su tela di grandi dimensioni ed acquarelli raffiguranti i bambini e la popolazione dell’orfanotrofio di Wawase (Ghana) fotografati da Alessandro De Filippo i cui scatti sono ugualmente in mostra. La sezione è curata da Werner Bortolotti

2. Arte & gioco in mostra, promossa dalla Fondazione Terres del Hommes, che contiene un’esposizione di oggetti artistici realizzati da Annalisa Ramondino per ed una sezione dedicata alla collezione di “Giocattoli di bambini africani” e di foto della collezione di di Alberto Fortunato. La sezione è curata da Francesco Coppola.

L’iniziativa ha il duplice obiettivo di far conoscere sempre meglio le realtà attive nel sostentamento e nel miglioramento della condizione infantile in Africa (AMREF Italia, Terres des Hommes e MEWE Onlus) attraverso la presenza, all’interno dell’esposizione e nei depliant informativi, di appendici sui progetti in atto in Africa e sia di ricavare, in sedi esterne alla mostra, fondi il completamento e lo sviluppo di nuovi progetti.

Collegata alla mostra è organizzato un laboratorio didattico-creativo presso il Museo dei Bambini Esplora..

NOTIZIE UTILI

Orario da martedì a domenica dalle 16.00 alle 20.00. Lunedì chiuso Biglietto d’ingresso ingresso gratuito

sabato 12 aprile 2008

Il viaggio di Pippa Bacca

Oggi, o meglio stanotte, è stato ritrovato il corpo di Pippa Bacca. Qui a meno di un'ora di macchina da Istanbul, appena usciti dalla città. Era da più di 10 giorni che non si avevano notizie, e il desiderio di trovarla si era diffuso anche tra i ragazzi turchi, amici che hanno messo su un passaparola di e-mail e sue fotografie. Incuriositi e preoccupati per questa stravagante artista vestita da sposa che voleva trasmettere e vivere un messaggio di pace.
Un progetto molto bello che purtroppo non si è realizzato. Che dire, il sentimento di tristezza è ancora più forte perché la pace è stata violata proprio qui, certo poteva capitare ovunque, ma oggi il Bosforo mi sembra funesto. Ho sempre sostenuto che un uomo da solo fa meno paura di tanti uomini organizzati, come ripeteva De Andrè, e che questo fosse sufficiente per avere fiducia negli altri, per non averne paura, proprio come ha fatto Pippa Banca, ovvero Giuseppina Pasqualino, fino alla fine. O quasi. Tradire tale fiducia in questo modo è sicuramente la cosa più triste, disarmante, deplorevole e sdegnosa che si potesse fare. Spaventare un bambino, far soffrire la paura, quando era stata offerta fiducia è un atteggiamento da mostro, un incubo nelle migliori fiabe. Purtroppo l'uomo fa anche questo.

E' singolare che il progetto di Pippa Banca e Silvia Moro inizi proprio con una citazione di De Andrè, un progetto con cui sento molte affinità, perché viva un po' più a lungo lo riporto anch'io nel mio blog. Addio Pippa.


BRIDES ON TOUR


Della guerra sono stanca ormai,
al lavoro di un tempo tornerei,
a un vestito da sposa o qualcosa di bianco,
per nascondere questa mia vocazione, al trionfo ed al pianto.”
(F. De Andrè)

Il viaggio è da sempre un mezzo ed un fine, è una scelta di vita o per alcuni l’unico modo possibile di vivere, è la metafora della vita stessa. Viaggiare con mezzi poveri mette in relazione il viaggiatore con la popolazione locale; viaggiare in autostop, fa sì che uno straniero si metta nelle mani di altri viaggiatori, ma ancora più spesso dei locali o di chi dello spostamento ha fatto il suo mestiere. La scelta del viaggio in autostop è una scelta di fiducia negli altri esseri umani, e l’uomo, come un piccolo dio premia chi ha fede in lui.

Questo è il frutto delle tantissime esperienze in autostop che nella vita di Pippa Bacca, l’hanno portata in giro per l’Europa, sino a Sanpietroburgo, Istambul, Finisterre, Irlanda e nel nord e centro America.
Dall’incontro con Silvia Moro, che al viaggio ha dedicato le sue ultime performances, è nato un sogno ambizioso e poetico.
Il sogno di percorrere in autostop i paesi che sono stati sconvolti da guerre recenti e non sempre completamente sedate. Il viaggio non sarebbe il normale viaggio di due viaggiatrici ardite, ma il viaggio di due bellissime spose vestite per un matrimonio che forse è già avvenuto o che non avverrà o forse è rappresentato dal viaggio stesso .

Un matrimonio con la terra , la pace, con la gente tutta, alla ricerca dello sposo? Chi è e cosa rappresenta lo sposo? Due le spose, due il numero dell’incontro, del reciproco e del femminino, del pari,del multiplo,del diverso. Le letture di un gesto artistico di questo tipo sono infinite.
La sposa è il bianco, la luce, il femminino, generatrice di vita, quindi di pace, dell’amore e della purezza.

Spose in viaggioL’abito, l’unico che che porteranno con sé, inevitabilmente perderà il suo candore per arricchirsi e diventare il supporto, il testimone, il diario narrato dalle tracce lasciate dalle materie dei luoghi attraversati, dai reperti raccolti lungo il cammino… e dai ricami delle donne locali per esempio, essendo il filo, in tutto il mediterraneo l’elemento decorativo e quindi di narrazione, di tutti gli abiti da sposa.

I giorni che precedono il matrimonio, tradizionalmente sono i giorni dedicati alla sua preparazione, scanditi da rituali preposti alla purificazione, al ritorno al bianco, per accogliere l’altra metà del cielo…le donne, si incontrano, si nutrono, si raccontano, il passaggio dunque ad una nuova dimensione, intrinseca all’unione, alla condivisone e al mistero della vita.

Pippa Bacca - Silvia Moro

giovedì 10 aprile 2008

Il turban

Simbolo. Il turban oggi in Turchia, è specialmente questo. Verso metà febbraio in coincidenza con il mio arrivo, in parlamento si approvava la tanto contestata legge sul turban. Una legge voluta dal partito di maggioranza, l' Akp di Erdogan, che alle scorse elezioni ha vinto ottenendo ben il 47% dei suffragi. Un partito l' Akp (Partito della Giustizia e Sviluppo) eletto specialmente per i suoi intenti riformatori, si professa liberale, democratico e per i diritti umani, ed è paragonato ai partiti Cristiano- Democratici.

Ma la situazione politica turca è alquanto complicata e anomala se paragonata alle altri grandi democrazie. La Turchia è una Repubblica fortemente nazionalista, nel senso che sullo sfondo della vita politica c'è sempre stata la forte influenza dei militari che più volte sono intervenuti per sbloccare o insidiare il normale svolgimento dei lavori. Nel 196o, '70 e nell'80 sono intervenuti con un colpo di stato per calmierare conflitti interni ancora del tutto irrisolti. Definendosi kemalisti, cioè eredi della politica di Mustafa Kemal Ataturk, il padre della repubblica, rivendicano il titolo di garanti della Costituzione e della laicità dello Stato. Sebbene a molti sembra che possano svolgere un ruolo determinante per lo sviluppo e il progresso della Turchia, affrancata in questo modo da poteri islamici-conservatori, l'ingombrante presenza dei militari è anche la causa dei conflitti e tensioni interne al paese. La rivendicazione della laicità dello Stato, passa appunto per una forte idea di potere regolatore, che impone un forte sentimento identitario, il turco come unica lingua, il turco come identità nazionale. E questo approccio sicuramente è l'origine di molti dei mali odierni in politica estera, con i curdi, le altre minoranze e gli stessi turchi islamici.

Per questo l' Unione Europea, e gli Stati Uniti hanno appoggiato Erdogan e il suo Akp, visti come una spinta alla liberalizzazione del paese e come una spinta riformatrice per i diritti civili. Ed questo il punto, come interpretare la legge sul velo, un tentativo di islamizzare il paese o un passo verso i diritti civili? L' Akp non è privo di contraddizioni, si è professato da sempre filo europeo e intende seriamente traghettare il proprio paese all'interno dell' Unione Europea, obiettivo raggiungibile solo tramite delle nevralgiche riforme. Per le quali è richiesto un cambiamento della Costituzione dell' 82 imposta dai militari, il cui scopo principale era ribadire la laicità dello Stato e l'ideologia nazionalista. La contraddizione sta nei fatti, nel senso che dopo circa due anni di governo, le riforme tanto attese non sono arrivate, poco o nulla è stato fatto per i diritti civili, per le minoranze, la situazione curda, o la censura. Ma lo scontro politico-istituzionale avviene su una legge tanto dibattuta, tanto attesa, tanto paventata, ma soprattutto molto simbolica.

Secondo la nuova legge sul turban, adesso è stato liberalizzato l'utilizzo del velo islamico all'interno delle Università, mentre rimane ancora strettamente proibito in tutti gli altri edifici pubblici e nelle scuole inferiori. Ovvero con tale legge si dà la possibilità, a chi lo vuole, di indossare il velo nelle Università, cosa strettamente proibita in precedenza. Una violenza, dicono i sostenitori della legge, contro la propria libertà di confessione, e a causa della quale molte ragazze non hanno potuto o voluto studiare alla università.

In un paese che sicuramente è più laico dell' Italia, dove la continua ingerenza papale fa sorridere e lascia sgomenti, dove l'aborto è consentito sino al quarto mese, e la pillola del giorno dopo è presente in qualsiasi farmacia senza ricetta, dove la fecondazione assistita è libera e garantita, insomma in un paese dove, sulla carta, l'autodeterminazione della donna è ben più garantita.

Dunque la vita politica di questo partito e il futuro prossimo della Turchia si sta misurando tramite questa legge, a causa della quale è stata proposta l'incostituzionalità dell' Akp, di 71 dei suoi dirigenti tra cui lo stesso Erdogan, e a cui alla Corte Costituzionale, che ha accettato il ricorso, spetta ora entrare nel merito della vertenza.
Un braccio di ferro dall'esito incerto, che può essere interpretato come il primo passo per una re-islamizzazione del paese, sostengono i militari e le forze politiche dell'opposizione, o come una vittoria contro l'egemonia dell' esercito e rappresenterebbe la breccia per poter cambiare la costituzione nazionalista, aprirsi alle riforme, ai diritti civili e avvicinarsi sempre più all' Europa. Una comuntà senza frontiere dove la massiccia presenza dell'esercito non è affatto richiesta.

sabato 5 aprile 2008