mercoledì 21 gennaio 2009

domenica 18 gennaio 2009

Memorie

Sarà che la mia tesina di maturità era sul tema della memoria, sulla necessità di non dimenticare, sul perché persone dedicavano la vita alla causa della memoria. Era su Simon Wiesenthal, un cacciatore di assassini, colui che fece arrestare Eichemann, l'amministratore della soluzione finale, il responsabile con un colpo di penna della morte di sei milioni di Ebrei. Wiesenthal dedicò il ritorno dal lager alla caccia di nazisti in fuga, motivato da un desiderio, giustizia, un bisogno. Che poi diventa un desiderio di condivisione, di collettivizzare, il ricordo, la forza d'espressione e la tenacia nel rimarcare fa sì che non si dimentichi.

Ma forse il mio rapporto con la questione della memoria è iniziato molto prima, quando avevo dodici anni, e con mia nonna. Passammo settimane in giardino, io dettavo e lei scriveva, perché la calligrafia era troppo sottile, il segno della matita troppo sbiadito per occhi anziani, e oltre ottanta anni l'avevano quasi cancellata dalla carta. Trascrivemmo il diario di guerra del mio bis-nonno. In trincea, a diciotto anni, sul fronte austriaco durante la prima guerra mondiale, o la guerra del 15-18 come diceva nonna, perché per lei ancora non esisteva al tempo il concetto di prima e seconda guerra mondiale. La terminologia è venuta dopo, con la storicizzazione degli eventi. "Il mio rimpianto più grande è sempre quello di non aver avuto un diario" diceva.


Forse è iniziato allora il mio rapporto con la memoria. Forse prima, perché il voler trascrivere presupponeva già un interesse per la storia. Forse il girovagare sin da piccolo nei musei di mezza Europa, forse da lì, sìsì. Un senso di fascino e rispetto. Qualcosa di importante, da visitare e da vedere, ovunque ci trovassimo. Per molti qualcosa è da vedere al di là della sua bellezza solo perché un residuo del passato, una memoria.

La memoria è un meccanismo strano, talvolta indecifrabile. E' una cosa viva, in continua evoluzione, non è un semplice disco rigido in cui vengono salvati i dati. Eventi che qualche volta vanno perduti, qualche volta si cancellano a poco a poco come scritte sulla sabbia. La memoria fa parte di noi, e noi la modifichiamo man mano che il tempo passa. Talvolta rimuoviamo episodi spiacevoli del passato, ricostruiamo con la nostra immaginazione tessuti del passato che non abbiamo vissuto, per darci un senso, per tutelarci. C'è chi dice che la memoria è viva e attua di continuo meccanismi di difesa, atti a tutelarci, a non creare blocchi, in modo da non interrompere l'evoluzione del nostro io. Quante cose avete rimosso inconsapevolmente?Brutte esperienze, brutti sogni, episodi insignificanti, semplicemente rimossi, messi in un angolo perché non siano di ingombro.

Ma non è solo un accantonamento, uno scrivere e un riscrivere, è un dipingere continuamente su un velo multistrato, una matassa che talvolta è difficile disinstricare.
Quello che ricordiamo oggi potrebbe essere diverso da quello che ricordavamo poco tempo fa, o un attimo fa, e ricorderemo cose diverse tra dieci anni. Perché il ricordo stesso che è vivo, l'episodio anche se non è cambiato, non diventa solo più o meno nitido, ma si arricchisce di sfumature e particolari, cambia sapore nel corso del tempo così come si evolve il gusto, l' evoluzione della maturità delle esperienze e degli assaggi della vita. Ci abituiamo anche a prendere il caffè amaro o ad amare le verdure che da piccoli disprezzavamo.

L'analogia con il funzionamento di un computer penso talvolta sia impressionante. Penso che più le macchine diventano complicate e più si avvicinino alla complessità del corpo umano. Così come un computer che tenti di recuperare dati che sono stati cancellati, come le foto che erano state cancellate ed ho parzialmente recuperato. Come scie di memoria. Pensate se improvvisamente tutte le immagini del vostro ultimo anno di vita, dei viaggi, delle feste, dei paesaggi, delle novità e bellezze che avete visto venissero cancellate improvvisamente. Ed ora toccasse a voi recuperarle, ricostruirle una ad una. Il computer tramite l'aiuto di un software le può recuperare, ma non tutte, non precisamente come erano, ci sarà qualche imprecisione, il formato non sarà lo stesso, il nome sarà deformato, la cronologia non sarà rispettata, le foto saranno mischiate, sovrapposte, un caos in cui poco a poco si potrà fare ordine.

La memoria è importante. Sebbene non faccia dimenticare il passato, ha anche un altro effetto altrettanto importante. Registrare un concetto, una frase, impressionare delle impressioni, delle emozioni, un modo di vedere, il mondo secondo noi in quel momento, registra l'unicità del mondo in quell'istante. E se non vogliamo dimenticarlo, se abbiamo raggiunto una nuova verità, un nuovo concetto, se non vogliamo ripercorrere lo stesso cammino, allora dobbiamo registrare quella verità, quella scoperta, quella visione, quell'idea o emozione. Subito o quasi. Perché rileggendola ci si rende conto che l'avremmo potuta scrivere solamente in quel momento, perché in quel momento l'abbiamo vissuta.

Pertanto scrivo quello che scrivo perché potevo rappresentarlo solo adesso, grazie ad una serie di eventi incrociati che mi hanno fatto capire l'unicità del descrivere un concetto quando lo si vive. Come mi sono reso conto, adesso, di aver già fatto in passato. Lo stesso senso che sta prendendo questo blog talvolta è di impressionare una storia, delle facce, le vite di una generazione.
E allora la memoria per non perdere il filo, per dare senso al percorso e per introdurvi la prossima persona.

sabato 17 gennaio 2009

Scie di memoria

E' un periodo che utilizzo tanto le parole, tanto da sentirmene sommerso, perso ed immerso. Allora faccio parlare un po' le immagini. Lavorare la memoria e l'immaginazione. Memoria fragile ed indicativa, sogni in cui hai paura di perdere il battello, spugna di angosce e paure, che come il mare assorbe tutto. Solo scie di ricordi che si intrecciano sullo sfondo del cielo.
















domenica 11 gennaio 2009

Oggi, Elogio della Solitudine

"Si sa, non tutti se la possono permettere, non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati.
Non se la può permettere il politico. Un politico solitario è un politico fottuto.

Però, sostanzialmente, quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante. Il circostante non è fatto solo dei nostri simili, direi che è fatto di tutto l'universo, dalla foglia che spunta di notte, ad un campo, fino alle stelle.

E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ad i propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare delle migliori soluzioni, e siccome siamo simili ad i nostri simili, credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri.
Con questo non voglio fare nessun panegirico, dell'anacoretismo, dell'eremitaggio, non è che si debba fare gli eremiti o gli anacoreti. E' che ho constatato con la mia esperienza di vita, ed è stata una vita, mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l'uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura".

Fabrizio De Andrè




Oggi, sono dieci anni che Fabrizio se n'è andato. Dieci anni di più che ci manca.
Lui che ha cantato gli ultimi, lui che ha emozionato e confortato anche i fantasmi. Un elogio alla solitudine è il modo che trovo per ricordarlo, per celebrare chi nella solitudine cerca e fugge i propri fantasmi.

L'unico modo per avvicinarsi veramente a se stessi. Perché se nel mondo c'è il tentativo di trovarsi, nella solitudine c'è il rifugio per non perdersi. A chi nel tentativo di trovarsi, vive come un fantasma. A chi nella volontà di isolarsi, combatte come un fantasma.




OGGI

Oggi non basta il sole:
il pianto si scioglie in mare.


Oggi non c'è fune che tenga
il naufragio del mio cuore.


Oggi non vedo che marosi rincorrersi
senza fine.


Oggi non odo che sirene fare da eco al mio dolore.


Oggi la mia nave è
un sughero che s'inzuppa
senza mai affondare.



lunedì 5 gennaio 2009

Giovane Concorrenza

Concorrenza. Una parola che spesso, talvolta troppo spesso, intimorisce. Sinonimo di competizione, legge del più forte, legge della giungla e delle belve. Un'idea che quasi viene collegata ad una situazione di non progresso, non cultura, di non bene, di non umanità. Competizione, sinonimo di guerra e conflitto, visione opposta ad una realtà di pace, benessere e solidarietà.

Concorrenza, una parola di cui troppo spesso si abusa. Per i profani del linguaggio economico, un segno dei tempi, un destino inevitabile delle società moderne e capitalistiche, meccanismo trasportatore di modernità e globalizzazione. Ma che cos'è la concorrenza? Cosa sarebbe se non ci fosse?

La concorrenza è solo uno degli aspetti della vita economica, sottoinsieme della vita sociale. Non dovrebbe far paura, ma essere richiesta. Facilmente strumentalizzabile, talvolta in chiave anti-cinese per alimentare un capro espiatorio, talvolta come meccanismo di liberazione e giustizia in chiave anti-corporativa. Questo paese in realtà una concorrenza diffusa ed onesta non l'ha mai avuta. La concorrenza leale si basa innanzitutto sullo Stato di Diritto, sul diritto ad avere un'opportunità a concorrere per il bene proprio e facendo indirettamente il bene di tutti. Basandosi su una comune, semplice, quanto incrollabile verità dettata dal buonsenso. Che vinca il migliore. Una vittoria che non sia armata, ma che prenda le molteplici forme del prezzo più basso, della qualità migliore, del più preparato, del più innovativo, dell'idea geniale.
Caratteristiche queste che giovano al benessere di tutti, direttamente ed indirettamente, in maniera voluta e non voluta.

L' Europa stessa come la conosciamo noi non sarebbe nata senza la concorrenza, il processo europeo è stato in gran parte un processo di incentivi e aiuti alla concorrenza. Armonizzazione, crollo delle barriere, eliminazione dei confini, concorso di idee. L' Europa dei giovani è l' Europa del low cost e dell' Erasmus. Grazie ad essa è nato il mercato unico, sono nate le compagnie low cost, è nato il concetto stesso di low cost. Perché le cose possono sempre aver un prezzo basso, ancora più basso, un giusto prezzo, perché un prezzo è solamente un prezzo. Non deve spaventare, non va imposto, ma si devono creare le condizioni perché esso si abbassi: la concorrenza.

Una società in cui non esiste la concorrenza, è una società morta, immobile, oppressa. Non è mai esistita nei regimi dittatoriali, non è mai esistita in maniera efficace nei paesi poco sicuri e dominati, da caste politiche, opprimenti, clientelari e parassite. Perché la concorrenza in campo economico è il miglior processo di mobilitazione di conoscenza ed energia umana, il miglior strumento per offrire una opportunità a tutti. Il miglior modo per vincere la nostra ignoranza.

"Se riflettiamo sulla quantità di conoscenze di altri individui che costituisce condizione essenziale per il perseguimento dei nostri scopi personali, l’enormità della nostra ignoranza della circostanza da cui dipendono i risultati della nostra azione appare impressionante"

Si è sempre detto, sapere è potere. Ma è anche vero che il sapere è infinito, noi siamo esseri sempre ignoranti, capaci di cogliere solo piccoli frammenti di una realtà più grande di noi. Informazioni che sono sempre disperse all'interno della società in un'infinità di pezzi, e per questo non centralizzabili. I sistemi accentrati, totalitari e gerarchici hanno sempre come primo obiettivo quello di controllare l'informazione, non perché vogliano sapere tutto, ma perché vogliano controllare tutto. I canali, la rete, ma non potranno mai gestire ed avere il contenuto totale di essa.

Non ci potrà mai essere nessun gran uomo di stato tale da considerarsi onnisciente, tale da poter sapere tutto. Allora quello che noi dobbiamo rifiutare è la domanda irrazionale e sbagliata che ci si pone puntualmente: Chi ci deve governare?

E' una domanda in irrazionale. Proporre una risposta implica pensare di avere un punto di vista privilegiato sul mondo. Implica pensare che un gruppo di persone, una volta i filosofi, poi i sacerdoti, i re, i soldati, gli scienziati, gli illuminati, la dittatura del popolo, la rivoluzione, il denaro, abbiano un punto di vista privilegiato sul mondo, implica pensare di avere un'interpretazione del mondo che sia vincente su tutte le altre.

"Siccome ogni individuo sa poco, e in particolare raramente sa chi di noi sa fare meglio, ci affidiamo agli sforzi indipendenti e concorrenti dei molti per propiziare la nascita di quel che desidereremo quando lo vedremo".

Ma in un domani che ancora non conosciamo, in un viaggio del mondo e della vita, un programma prescrittivo e chiuso è una proposta oscurantista. Quello che noi dobbiamo richiedere a gran voce è un processo aperto, corollario di una società aperta. Alla stregua di un meccanismo di open source, che ancora non sa domani quale sarà la sua forma.

Una mobilitazione di energia, idee e conoscenza, in una parola di vita, è un processo che dia spazio ai giovani e alla loro concorrenza. La domanda irrazionale allora deve essere sostituita con altra più consona ad una mente aperta: come fare che anche un brigante ci possa governare?

Quello che noi dobbiamo fare è limitare il potere, il potere accentrato nella politica, nei monopoli, nell'informazione, nelle corporazioni, nelle caste e nelle generazioni. Non diminuendo le decisioni prese, o tramite l'immobilismo, ma diffondendo il potere. Uno dei vantaggi della globalizzazione è che presto abbandoneremo l'unilateralità di grandi paesi dal potere sproporzionato. Arriveremo ad una situazione di potere mappato e diffuso con molteplici equilibri in bilanciamento tra di loro.
Se il potere è diffuso riusciamo ad eliminare la prevaricazione di qualcuno su qualcun altro, la cooperazione è l'unica alternativa che rimane.

Non devono esistere variabili indipendenti, dipendiamo tutti gli uni dagli altri. Nessuno deve essere al di sopra degli altri. Nel momento in cui un gruppo di potere, di interessi, di rappresentanti, un gruppo democratico, tenti di dare ordini prescrittivi, tenti di definire i contenuti delle altrui azioni, allora si mina e si attacca l'autonomia e la libertà individuale. Si attacca il processo di mobilitazione della conoscenza e quell' habitat di sviluppo a cui tutti agogniamo.

L'habitat è lo Stato di Diritto, il contenuto astratto e generico della legge, i paletti formali all'interno dei quali è possibile muoversi liberamente. Se l'habitat è adatto, la vita che ne esce è nuova conoscenza, un processo aperto di concorrenza, ateologico e indeterminato. Non accetteremo il già noto, ma lo sfideremo in maniera incessante.


venerdì 2 gennaio 2009

Io sono un fantasma




Una festa

Il buco della mia generazione:
sono io in immobile contemplazione
dell'acqua e della danza
-vernice caseosa in un ribollire di membra-
mentre tamburi elettrici
scimmiottano i fragori dell'Africa.
Bianchi e Neri
guide e colonizzatori,
in un brano di cemento sottratto ai trattori,
si divertono o fingono di farlo:
bivaccano mangiano rubano ai fratelli
in cerca a loro volta d'un guadagno.
Il rispetto preteso nell'afa alcolica d'un garage
si tramuta subito in rissa: vetro e minacce
da sedare a forza di braccia.
Il resto si trascina fino al lumeggiare
delle Sirene: la Giustizia che illumina il mondo a cui nessuno appartiene.