martedì 22 settembre 2009

Io ed il Portogallo (II/II)



Il Portogallo per le coordinate del nostro eurocentrismo è un paese marginale. Un paese che appartiene più alle rotte atlantiche che a quelle mediterranee, la sua fortuna si potrebbe dire.

Il Portogallo sorprende, anche perché non si ha un'idea precisa di cosa possa aspettarci. Un paese che sta al Sud, ma non è Sud. Un paese conosciuto per le sue più importanti città, cioè Lisboa e Oporto, ma di cui non si ha alcun riferimento preciso: monumenti, clima, paesaggio. Giusto qualche cartolina arrivata sino a noi di piccoli tram che salgono per i colli di Lisbona, bottiglie di vino liquoroso che si chiamano Porto.


Un paese silenzioso, dove anche le rivoluzioni sono fatte dai militari, ma senza sparare, con calma, con garofani nella canna del fucile. Un paese uscito solamente nel '74 dalla dittatura, come del resto la Spagna che pose fine alla dittatura l'anno successivo, grazie a numerosi capitani coraggiosi. Giovani capitani, tenenti e sotto-ufficiali di sinistra che entrati in maniera forzata nell'esercito, durante le decennali guerre coloniali, riuscirono poi a sovvertirne il funzionamento mettendo fine alla dittatura e all'era coloniale.

Perché il Portogallo si è sempre trovato a far i conti con situazioni e territori più vasti di lui. Con l'animo intraprendente dell'esploratore, col pragmatismo del commerciante. Come durante la forte espansione coloniale iniziata alla fine del '400 che portò un piccolo stato europeo di poco più di due milioni di abitanti, a conquistare e colonizzare, il Brasile, l'Angola, il Mozambico, a creare un impero commerciale e coloniale che arrivava sino in Asia, ad effettuare per la prima volta il giro del mondo. Infatti fu portoghese il primo Europeo a mettere piede in Giappone, Fernando Mendes Pinto, fu portoghese il primo Europeo a navigare direttamente verso l'India, circumnavigando le coste africane, Vasco de Gama, fu portoghese il capo della prima spedizione al mondo che circumnavigò il globo, attraversando per la prima volta l'Oceano Pacifico senza incontrare nemmeno una tempesta, e che per questo fu chiamato appunto Pacifico, Fernando Magellano.

Un paese piccolo, che come spesso accade cerca estensioni di sull'oceano, in alto mare. Quasi fosse un'Olanda dei mari del Sud. Un piccolo paese forzatamente aperto alla mescolanza, il primo ad aver istituzionalizzato il meticciato. L'unico paese che anziché preoccuparsi di come tenere a bada gli indigeni e gli immigrati, si preoccupava di come mischiarsi ad essi. Infatti la principale differenza della colonizzazione portoghese, rispetto agli altri paesi europei, era che tendeva, o imponeva, a mischiarsi con i suoi sottomessi. Addirittura in Portogallo fu stabilito che ogni marinaio dovesse avere almeno tre figli dalle donne indigene. Necessario se devi dominare territori così vasti in tre continenti diversi.

Un mischiarsi che ha prodotto sicuramente bellezza, come quella delle bellissime donne brasiliane, che ha creato nuova cultura, come la Capoeira, nata in Brasile dal mischiarsi di cultura tribale africana, importata con la schiavitù, e dell'oppressione portoghese. O che permette alla cultura stessa di viaggiare come un aroma, quello del caffè. Infatti in Portogallo si può trovare uno dei caffè migliori al mondo, dato dall'incontro delle macchine da caffè italiane e delle migliori miscele brasiliane su cui il Portogallo ha sicuramente una posizione privilegiata. Perché la cultura viaggia, si evolve, si migliora. Una miscela che è il prodotto di mille culture, come accade ovunque. Ma dove, poiché la linea di confine è più netta, netta come l'orizzonte dell' Oceano, appaiono più nette anche le rotte della cultura stessa. E ciò è lampante soprattutto in piccoli paesi dove la tracciabilità delle cose è più semplice.

Una cultura silenziosa, dai toni pacati e riflessivi, spessa dedita al viaggio, ai lontani orizzonti della mente, retaggio di passati marinari. Discussioni molto lontane da quelle dei chiassosi popoli mediterranei, più vicine allo stile britannico, riflessive come lo specchio del mare. Culture atlantiche che si leggono tra i palazzi grigi di Porto dalla finestre strette e lunghe, nella nebbia del primo mattino, nei nomi inglesi delle qualità di Porto, nell'Università di Coimbra che ricorda Oxford o Cambridge.

Si sa che per conoscere meglio se stessi, bisogna prima confrontarsi con l'altro. E forse osservando i portoghesi si conferma l'impressione che una cultura si origini e si consolidi anche grazie alle condizioni naturali ed ambientali in cui essa nasce. Forse l'Oceano, nel suo essere più tempestoso, più freddo, più sconfinato ed affascinante, rende anche più calmi e determinati, rende l'animo più riflessivo e l'individuo più forte. Si è naturalmente pronti alle tempeste.

Identità forti come quelle dei giovani filosofi che ci hanno ospitato. La coincidenza ha voluto che nello stesso viaggio fossimo ospitati da due filosofi, Davide di Porto e Miguel di Lisbona. Miguel si occupa di pulire fiumi inquinati, una specie di pompiere del mare, e Davide vende Porto, occupandosi di svuotare scatole di Porto per riempirle di libri appena letti. Filosofi e scrittori interiori, che svolgono lavori completamente diversi, ma che gli lasciano il tempo di pensare e di leggere, senza preoccuparsi della coincidenza del lavoro e della altezza delle idee.


Potrebbero essere i futuri Pessoa, che sebbene sia considerato il più grande poeta portoghese, passò tutta la vita a fare il traduttore di corrispondenza commerciale perchè come scrisse lui stesso: "Essere poeta e scrittore non costituisce professione, ma vocazione".

Forse questo il più grande insegnamento del Portogallo.



Orizzonte

di Fernando Pessoa

Mare anteriore a noi, le tue paure
avevano corallo e spiagge alberate.
Sbendate la notte e le caligine,
le tormente passate e il mistero,
si apriva in fiore la Lontananza, e il Sud siderale
splendeva sulle navi dell'iniziazione.

Linea severa della riva remota:
quando la nave si approssima, s'alza la costa
in alberi ove la Lontananza nulla aveva;
più vicino, s'apre la terra in suoni e colori:
e, allo sbarco, ci sono uccelli, fiori,
ove era solo, di lontano, l'astratta linea.

Il sogno è vedere le forme invisibili
della distanza imprecisa, e, con sensibili
movimenti della speranza e della volontà,
cercare sulla linea fredda dell'orizzonte
l'albero, la spiaggia, il fiore, l'uccello, la fonte:
i baci meritati della Verità.

martedì 8 settembre 2009

Io ed il Portogallo (I/II)



Sulla riva di questo fiume


di Fernando Pessoa



Sulla riva di questo fiume

o sulla riva di quello
passano i miei giorni di seguito.

Nulla m'impaccia, mi spinge,
mi dà calore o freddo.

Sto a vedere quel che fa il fiume,
quando il fiume non fa nulla.
Vedo le vestigia che trasporta

in una lunga scia

di quanto indietro è rimasto.

Sto a guardare e vo meditando,
non proprio sul fiume che passa
ma solo su quello che penso,

perchè il suo bene è che cerchi
che io non lo veda passare.

Vado sulla riva del fiume
che sta qui o là,
e del suo corso mi fido,
perchè, l'abbia visto o no,
egli passa ed io ci credo.


Entrare in Portogallo è come entrare in una terra di confine. Infatti il Portogallo è terra di confine, terra di dove finisce la terra. Vai avanti passando frontiere finchè ti rendi conto che le frontiere prima o poi finiscono. Attraversi paesaggi, superi colline all'ombra secolare di alberi -cornice aspettando di vedere un paese, un villaggio che ti dia la direzione, sapere di essere arrivato.


Arrivato dopo filari di strade ombreggiate e silenziose, tra cavalli che vengono domati in lontananza, con la natura ai nostri piedi e noi che ci inchiniamo dinanzi ad essa. Le radici di viti ed ulivi di questo unico grande albero che è l'Alentejo, ci danno protezione e ci accolgono con grandi braccia nodose. Alentejo, sicuramente la parte più incontaminata e più bella del Portogallo. Una regione del sud del paese abitata da custodi di segreti e tradizioni di altri tempi.


Il primo impatto è come sospeso, attraversiamo in silenzio colline a perdita d'occhio, senza sentirci di troppo, senza fretta, come sospesi nel paesaggio, sebbene in movimento. Pascoli e distese di fieno giallo che predomina con forti chiaroscuri, continuiamo così per ore.


Con il Mediterraneo alle spalle, ci inoltriamo verso paesaggi interni e lontani al mondo, in direzione dell'oceano. Perchè il Portogallo sembra sud, ma non è esattamente sud. Il Portogallo ha aree vergini ed incontaminate, ritmi scanditi dal sole, coste oceaniche senza nemmeno una costruzione ed il vento atlantico che porta con gesti di leggerezza che come un soffio di brezza diventano quotidiano.

Arrivare in Portogallo vuol dire entrarci lentamente, sono sufficienti piccoli passi, poco a poco, con calma, correre annullerebbe i particolari. Attraversare per ore le vene dell'Alentejo, fermarsi a raccogliere uva dai vigneti lungo la strada, godere della calma del paesaggio che continua ad avere molto da comunicare. Stare come una roccia, come un ceppo, osservare seduto ad un balcone panorami che diventano lo specchio dell'animo, l'assenza della felicità, la carenza di tristezza.


Perdersi in paesini che irti su colline, bagnati da fiumi ancora ricchi di pesci, ti rubano l'anima. Abitati che bramano il tuo essere e la tua libertà. Paesini simili a prigioni stregate, per cui non puoi che fissare le sbarre come unica prova della tua esistenza. Vicoli stretti ed intrecciati, dove si incrocia una vecchietta in cerca di aiuto, che priva di giovani che possano aiutarla, annaspa su salite e scalini poco clementi con la sua età. Cuori che faticano prima di arrivare al portone. Case vuote, riempite solo durante la stagione da passanti il cui destino non è più intrecciato a quello dei suoi abitanti.

Strade dalle porte semi-aperte che bloccano o proteggono gattini troppo giovani per questo mondo. Mertola, Serpa, Monsaraz. Dove anziane signore ti seguono tramite passaggi sconosciuti agli stranieri, atmosfere inquietanti legittimate dalla solitudine, giustificate dal paesaggio che gli fa compagnia. Evidentemente non abbastanza. Pomeriggi passati su un balcone a guardare il lento scorrere del fiume, o il semplice stare del paesaggio, capace di ipnotizzare come un focolaio domestico, pericoloso come un buco nero.


"Se chiudo gli occhi, mi torna in mente l'immobilità antica di quell'uomo affacciato ad un muretto di Mertola, con la faccia scura, i vestiti unti e vecchi di un secolo, una cosa arrotolata da fumare in bocca, due baffi pirateschi e lo sguardo ancestrale e meditabondo di chi ti osserva da una irragiungibile per noi".



I paesini possono rubarti l'anima, la bramano, la assorbono. Quando li attraversiamo, solamente per poche ore, a volte fermandoci anche a dormire, osserviamo con occhi leggeri e spiritati, non rendendoci conto che noi siamo osservati dai pochi residenti come fantasmi di passaggio, un mondo che possiamo solo immaginare. Un mondo che appare come morte in vita, o che ha colto il senso della stessa: "stare, senza produrre o consumare, come piante o rocce. Beatitudine del creato".