martedì 8 settembre 2009

Io ed il Portogallo (I/II)



Sulla riva di questo fiume


di Fernando Pessoa



Sulla riva di questo fiume

o sulla riva di quello
passano i miei giorni di seguito.

Nulla m'impaccia, mi spinge,
mi dà calore o freddo.

Sto a vedere quel che fa il fiume,
quando il fiume non fa nulla.
Vedo le vestigia che trasporta

in una lunga scia

di quanto indietro è rimasto.

Sto a guardare e vo meditando,
non proprio sul fiume che passa
ma solo su quello che penso,

perchè il suo bene è che cerchi
che io non lo veda passare.

Vado sulla riva del fiume
che sta qui o là,
e del suo corso mi fido,
perchè, l'abbia visto o no,
egli passa ed io ci credo.


Entrare in Portogallo è come entrare in una terra di confine. Infatti il Portogallo è terra di confine, terra di dove finisce la terra. Vai avanti passando frontiere finchè ti rendi conto che le frontiere prima o poi finiscono. Attraversi paesaggi, superi colline all'ombra secolare di alberi -cornice aspettando di vedere un paese, un villaggio che ti dia la direzione, sapere di essere arrivato.


Arrivato dopo filari di strade ombreggiate e silenziose, tra cavalli che vengono domati in lontananza, con la natura ai nostri piedi e noi che ci inchiniamo dinanzi ad essa. Le radici di viti ed ulivi di questo unico grande albero che è l'Alentejo, ci danno protezione e ci accolgono con grandi braccia nodose. Alentejo, sicuramente la parte più incontaminata e più bella del Portogallo. Una regione del sud del paese abitata da custodi di segreti e tradizioni di altri tempi.


Il primo impatto è come sospeso, attraversiamo in silenzio colline a perdita d'occhio, senza sentirci di troppo, senza fretta, come sospesi nel paesaggio, sebbene in movimento. Pascoli e distese di fieno giallo che predomina con forti chiaroscuri, continuiamo così per ore.


Con il Mediterraneo alle spalle, ci inoltriamo verso paesaggi interni e lontani al mondo, in direzione dell'oceano. Perchè il Portogallo sembra sud, ma non è esattamente sud. Il Portogallo ha aree vergini ed incontaminate, ritmi scanditi dal sole, coste oceaniche senza nemmeno una costruzione ed il vento atlantico che porta con gesti di leggerezza che come un soffio di brezza diventano quotidiano.

Arrivare in Portogallo vuol dire entrarci lentamente, sono sufficienti piccoli passi, poco a poco, con calma, correre annullerebbe i particolari. Attraversare per ore le vene dell'Alentejo, fermarsi a raccogliere uva dai vigneti lungo la strada, godere della calma del paesaggio che continua ad avere molto da comunicare. Stare come una roccia, come un ceppo, osservare seduto ad un balcone panorami che diventano lo specchio dell'animo, l'assenza della felicità, la carenza di tristezza.


Perdersi in paesini che irti su colline, bagnati da fiumi ancora ricchi di pesci, ti rubano l'anima. Abitati che bramano il tuo essere e la tua libertà. Paesini simili a prigioni stregate, per cui non puoi che fissare le sbarre come unica prova della tua esistenza. Vicoli stretti ed intrecciati, dove si incrocia una vecchietta in cerca di aiuto, che priva di giovani che possano aiutarla, annaspa su salite e scalini poco clementi con la sua età. Cuori che faticano prima di arrivare al portone. Case vuote, riempite solo durante la stagione da passanti il cui destino non è più intrecciato a quello dei suoi abitanti.

Strade dalle porte semi-aperte che bloccano o proteggono gattini troppo giovani per questo mondo. Mertola, Serpa, Monsaraz. Dove anziane signore ti seguono tramite passaggi sconosciuti agli stranieri, atmosfere inquietanti legittimate dalla solitudine, giustificate dal paesaggio che gli fa compagnia. Evidentemente non abbastanza. Pomeriggi passati su un balcone a guardare il lento scorrere del fiume, o il semplice stare del paesaggio, capace di ipnotizzare come un focolaio domestico, pericoloso come un buco nero.


"Se chiudo gli occhi, mi torna in mente l'immobilità antica di quell'uomo affacciato ad un muretto di Mertola, con la faccia scura, i vestiti unti e vecchi di un secolo, una cosa arrotolata da fumare in bocca, due baffi pirateschi e lo sguardo ancestrale e meditabondo di chi ti osserva da una irragiungibile per noi".



I paesini possono rubarti l'anima, la bramano, la assorbono. Quando li attraversiamo, solamente per poche ore, a volte fermandoci anche a dormire, osserviamo con occhi leggeri e spiritati, non rendendoci conto che noi siamo osservati dai pochi residenti come fantasmi di passaggio, un mondo che possiamo solo immaginare. Un mondo che appare come morte in vita, o che ha colto il senso della stessa: "stare, senza produrre o consumare, come piante o rocce. Beatitudine del creato".





1 commento:

sasà ha detto...

bello. Mi scalda e attanaglia il cuore, questo ricordo impastato di immagini, sapori, odori. Una fuga lenta che è la stessa in cui sprofondo adesso, nel'aria greve e agrodolce di una frusciante saudade.

quando il viaggio è abbandono nell'abbraccio di una terra tenera.