giovedì 30 settembre 2010

Ritorno in seconde case


Il piacere di sedere e sentire le acque del Bosforo è qualcosa di non cancellabile. Le correnti scorrono in apparenza docili e tranquille, come le vite di amici e conoscenti, creando mulinelli in particolari punti profondi e sensibili. Il corso delle acque procede lungo uno stretto fatto di fasi, doveri e aspettative più stabili del previsto.

Ricerco le atmosfere vissute ritrovando amici che fortunatamente non sono cambiati sì velocemente, ma che come le correnti del Bosforo cambiano in profondità rimanendo stabili e placidi in superficie.


L'area di immensità della città permane sulle acque tra i due continenti, con le colline di palazzi e boschi preservati dai parchi militari, giovani e vecchi, bambini ed innamorati ne sono, come me, ancora attratti ed ipnotizzati. Di notte come di giorno. I suoi tramonti come i suoi riflessi nell'oscurità.


In questa immensa area urbana ci si sente a casa quando si sa cosa fare e dove andare, come perdersi, e dove lasciarsi trasportare. Ovvero quando ci si muove con dimistichezza senza essere travolti dai flussi urbani che sfociano nel suo canale principale.

La completa disinvoltura negli spazi cittadini è la stessa di quella che precedeva la partenza, come se non fossi mai partito, con la familiarità della lingua ancora non scomparsa, con le abitudini quotidiane come vecchie di cent'anni, con i rapporti fraterni ancora non interrati.

Tornare a Istanbul dopo due anni ha il sapore del çay appena preso, ha gli odori che riaprono in un attimo la porta del nostro essere in un mondo ben conosciuto. Significa ritrovare persone che, parallelamente a me, hanno fatto gli stessi percorsi con aspettative simili e di fronte agli stessi interrogativi.

Tutti gli amici maschi hanno terminato l'università e svolto il servizio militare in un paese che da anni è in guerra nei confini del sud-est. Fortunatamente tutti sono tornati interi. Hanno cominciato a lavorare, hanno avuto nuovi amori e nuove idee, ma con la naturalezza dei rapporti che hanno condiviso qualcosa di importante, ci si ritrova a parlare come se ci fossimo lasciati solo due giorni prima. Ubeyd ha lavorato circa un anno in Garanti, un importante istituto finanziario, ed è partito militare per Afyon, si è lasciato con Mary, ma spera di rivederla ora che è in partenza per la Germania per svolgere un master di due anni. Mehmet lavora da circa due anni in AkBank, ha fatto anche lui il militare e insegue nuovi amori con la speranza di viaggiare un po' di più. Recep ha quasi finito l'Università, ha passato sei mesi a Madrid per l'Erasmus e spera di fare un master in Europa e restarci a lavorare per evitare il servizio militare. Emin lo si incontra ancora nelle notti da bar che balla per scacciare demoni ancora non individuati. Max è rientrato in Germania per fare il capoufficio a Dresda per Der Spiegel, Tom è tornato in Polonia a lavorare con lo zio, che è un ricco industriale, dopo essere arrivato inseguendo improbabili amori conosciuti su treni per smerciare tappeti, Ercan è diventato attore e gira con la sua nuova compagnia di teatro, Alex vive ancora al CAF anche se di inverno non hanno il riscaldamento e con quelli del Badehane bazzica ancora nei vicoli di Tunel.

Forse tra connazionali non sarebbe successo, forse se fossimo stati più vicini e raggiungibili avrebbe significato un implicito disinteresse a restare in contatto, ma qui nonostante la distanza e l'oggettiva difficoltà a venirmi a trovare in Europa, tutto è come prima.

Stesse sensazioni quando ho riattraversato i vicoli dell'Albaycin, invaso dalle memorie olfattive, dall'accento andaluso, per poi perdermi nella luce riflessa dei suoi vicoli. In quell'incastro di bianco e di nero, una lotta che acceca nei due estremi, abbagliando o nascondendo alla vista.


Una città certamente più piccola di Istanbul, ma ugualmente viva, la cui unicità è rappresentata proprio da quel centro storico fatto di vicoletti e case bianche che si arrampicano sulla collina dirimpetto all'Alambra.

Un immenso spazio pedonale che costituisce il centro città, con una vista su colline verdi raggiungibili a piedi in soli venti minuti. Un'integrazione con lo spazio naturale circostante che schiude, secondo me, la bellezza principale della città andalusa.


Un esempio di città in bilico tra tradizione e modernità che cammina sulla cresta di un promontorio che nasconde all'interno della sua zona franca una pericolosa speculazione turistica, opportunità e minaccia allo stesso tempo.


Anche qui sembra di aver salutato solamente la sera precedente gli amici ritrovati dopo un anno, piccoli cambiamenti a fronte di sguardi e sorrisi che sono rimasti intatti. Gesti quotidiani coperti da uno strato di polvere che altro non è che il tempo che passa rivelando abitudini immutate.

In realtà sotto lo strato superficiale dei gesti, al di là dell'immagine di una città che appare uguale a se stessa, l'apparente immobilità contiene fiumi sotterranei di cambiamenti. Una sensazione che dà prova della veridicità dei rapporti che si erano instaurati.

Lo scorrere del Bosforo contiene correnti che ipnotizzano come le braci di un camino: è il sentimento di evasione che si ha nell'osservarlo che ti fa dimenticare della vita che ti scorre accanto; così i vicoli dell'Albaycin sono un dedalo di strade senza tempo in cui perdersi quando necessario. La sua intimità lo rende tanto amato.

Sono queste sensazioni subito ritrovate di pace e serenità che ti fanno sentire di nuovo a casa. Case cercate e ritrovate che sono divenuti luoghi dello spirito, tappe nelle quali ritrovarsi per acquistare il senso del cammino percorso, segnare la tacca di un percorso più lungo e più amplio.

Nel sentirsi subito a casa come se non fossi mai partito sono necessari gli amici che rappresentano un cordone ombelicale mai tagliato, rapporti d'amicizia che sono ponti tra mondi apparentemente lontani. La città la senti tua quando con una breve visita ne allontani la distanza, quando tornare ha scacciato la paura di non ritrovarsi in quei luoghi divenuti tanto cari.

Tornare nei vicoli dell'Albaycin, tornare in contemplazione del Bosforo, non ha significato avere quell'attimo di sospensione e smarrimento del ritorno nel nuovo posto, perchè fortemente vissuti, fortemente assorbiti.

Le partenze sono momenti di tensione che si scaricano completamente solo al successivo ritorno. Tornando si scarica la tensione, assicurandosi la tranquillità di chi non ha paura di perdere nel fondo della memoria i luoghi tanto amati. Come quando si lascia una persona e la paura principale è di dimenticarne il volto, l'odore, le espressioni, i dettagli, la sensazione di serenità qui sta nell'osservare che molte cose non sono cambiate, e quelle nuove sono ancora interpretabili.

Nel concentrarci troppo sulla partenza, un'esplosione di emozioni che mette fine ad un periodo importante, dimentichiamo che possiamo avere anche un ritorno che insegni a gestire più posti dell'animo, ad avere più case, ad avere ricordi a cui aggrapparsi per poi essere guidati nel processo di riflessione.

Il ritorno lo riconosci negli odori ritrovati, nella luce ritovata, nei piccoli angoli solo tuoi che non sono cambiati, nelle piccole novità apprezzabili solo a chi già ne conosceva l'importanza.
Tornare per capire se abbiamo fatto le scelte giuste, per mantenere i fili delle reti umane, per non far prendere il sopravvento della nostalgia sulle novità e sulle nuove partenze.

Il ricordo lo riconosci nel senso di evasione e di sperduto ritrovamento che ti é dato dallo scorrere infinito del Bosforo di notte. Dalla naturalezza delle chiacchiere all'ombra della moschea di Kasim Pasa, dal placarsi degli spiriti in un vortice di luci che sono le fessure dell'Hammam. Il ricordo lo riconosci nel dondolìo ininterrotto all'ombra di una persiana. Il ritorno lo ritrovi nei sorrisi più pacati.

Il ritorno é necessario per andare avanti. Tramite una nuova opera e un nuovo inizio lanciato dalla constatazione di quello che è passato.

sabato 25 settembre 2010

Vivo altrove e l'ipotesi del rientro


Il fenomeno è in atto da un po' di anni, forse un decennio. E non perché non se ne sentisse il bisogno prima, ma perché le possibilità si sono moltiplicate dopo. Voli low cost, erasmus, reti di amici, assenza di passaporti e frontiere intra-europee, hospitalityclub e couchsurfing, maggiori interazioni che hanno reso più facile realizzare il sogno di partire, dare sfogo all'evasione e liberare la frustrazione.

E' un tema forse mai affrontato esplicitamente in questo blog, ma sempre sullo sfondo, presente come un ricamo colorato su uno sfondo nero di parole argentate. L'Italia da un po' di anni non è un paese per giovani, è chiaro, almeno non quanto gli altri paesi europei. Chi ha viaggiato e ha visto i vicini, si rende facilmente conto dell'inadeguatezza e arretratezza culturale italiana: spesso lottiamo per qualcosa che altrove è già considerata normale, non abbiamo mai la sensazione di essere i primi a fare qualcosa di positivo, per non parlare dell'immagine che gli altri hanno di noi.

Per questi motivi, è da poco partita un'iniziativa, con il correlato manifesto, volta a censire, o meglio raccontare, tutte le storie di Italiani espatriati, emigranti, non per necessità, ma per scelta. Perché la vera novità è che si tratta sempre più di una scelta di vita, intellettuale, di un bisogno civile, un desiderio da realizzare. A partire spesso sono i migliori nei campi più disparati, ricercatori, artisti, scienziati, giovani ambiziosi e avventurieri per cui l'Italia non merita la loro conquista.

Ho spesso tentato di affrontare le storie di amici coetanei stranieri, Altri, che altro non sono che il nostro riflesso: quello di una generazione vagabonda e cosmopolita un po' per scelta e un po' per necessità. Storie, le nostre e quelle altrui, che si integrano e aiutano a raccontare i tempi di questo processo di globalizzazione di cui noi siamo i figli. Le partenze sono aumentate un po' per tutti, l'interscambio tra paesi, soprattutto europei, fa sì che Francesi ed Italiani vadano in Spagna, Spagnoli, Italiani, Rumeni e Polacchi in Francia, Italiani, Spagnoli, Lituani, Polacchi in Inghilterra, Francesi, Italiani e Polacchi in Germania, i Tedeschi rimangono a casa loro e gli Inglesi pure. In Italia nessuno. Ovvero il nostro Paese subisce questo export negativo di giovani, facendo sì che pochi vengano in Italia con l'idea di ritornare dopo l'Erasmus se non per una lunga vacanza post-laurea.

Quindi, parlando di partenze e ritorni dovremmo parlare proprio dell'esodo italiano.

Questo è quello che tenta di fare Vivo altrove, un libro sicuramente interessante, che tratta di temi quali la casa, le radici, il senso di distacco e di solitudine, le frontiere e la modernità liquida. Temi intuìti che galleggiano nelle atmosfere contemporanee, ma per afferrare le quali conviene ascoltare le storie raccolte di una generazione con i piedi leggeri e la voglia di volare nelle vene:

"C’è chi parte per dimenticare, chi parte per poter scegliere, chi parte per paura e chi parte per scommessa. C’è l’insegnante di italiano che sbarca il lunario come cantante a Barcellona, l’avvocato che vive a L’Aia e vuole fare il deejay a Parigi, il veterinario romano che si adatta a fare il cameriere a Londra, il biologo di Latina che finisce a fare l’editore a Berlino…
Sono l’Italia fuori dall’Italia. Sono i giovani, sempre più numerosi, che hanno scelto di vivere lontani da casa, alla ricerca di un lavoro nuovo, o di una vita diversa. Questo libro racconta le loro storie, che sono piene di vitalità e venate di malinconia, scanzonate, tenere, in fondo preoccupanti. Sono il ritratto di un paese virtuale e di un futuro, forse, mancato: perché il paese che questi ragazzi hanno deciso di abbandonare continua a non ascoltarli.

Vivo altrove racconta le storie di giovani tra i 25 e i 40 anni che hanno deciso di lasciare il nostro paese: non solo cervelli in fuga, certi di trovare all’estero opportunità migliori, ma anche ragazzi “normali” che sentono questa Italia troppo chiusa, ferma, asfittica, immobile, rivolta solo a se stessa. Persone cresciute sentendosi cittadini del mondo, che male tollerano un paese preso in mille guerriglie interne – politiche, geografiche, sociali, ma soprattutto generazionali – e che cercano all’estero opportunità che mai avrebbero trovato in Italia.

Il libro raccoglie molte storie, ognuna con le sue particolarità e specificità, ma costituisce anche il ritratto di una generazione. Tutti i dati confermano che il fenomeno della migrazione di giovani all’estero è in continuo aumento: secondo il consorzio universitario Alamlaurea, negli ultimi dieci anni il numero di laureati che si è spostato oltreconfine per trovare lavoro è triplicato, mediamente oltre il 3,5% dei nostri laureati si trasferisce ogni anno all’estero. È difficile fare statistiche su un fenomeno in continua evoluzione come quello di cui si occupa questo libro, ma si calcola ad esempio che i giovani italiani (tra i 25 e i 35 anni) attualmente residenti a Berlino siano all’incirca 6.000 e quelli residenti a Barcellona da meno di cinque anni siano circa 10.000.

Potremmo chiamarla “generazione Europa”, decine di migliaia di giovani che si spostano, prediligendo le grandi città e le capitali, le cosiddette “Eurocities”, dove approdano e da dove molto spesso ripartono, non alla volta del Belpaese, ma verso nuovi paesi e nuove esperienze.
Un generazione liquida".