sabato 25 settembre 2010

Vivo altrove e l'ipotesi del rientro


Il fenomeno è in atto da un po' di anni, forse un decennio. E non perché non se ne sentisse il bisogno prima, ma perché le possibilità si sono moltiplicate dopo. Voli low cost, erasmus, reti di amici, assenza di passaporti e frontiere intra-europee, hospitalityclub e couchsurfing, maggiori interazioni che hanno reso più facile realizzare il sogno di partire, dare sfogo all'evasione e liberare la frustrazione.

E' un tema forse mai affrontato esplicitamente in questo blog, ma sempre sullo sfondo, presente come un ricamo colorato su uno sfondo nero di parole argentate. L'Italia da un po' di anni non è un paese per giovani, è chiaro, almeno non quanto gli altri paesi europei. Chi ha viaggiato e ha visto i vicini, si rende facilmente conto dell'inadeguatezza e arretratezza culturale italiana: spesso lottiamo per qualcosa che altrove è già considerata normale, non abbiamo mai la sensazione di essere i primi a fare qualcosa di positivo, per non parlare dell'immagine che gli altri hanno di noi.

Per questi motivi, è da poco partita un'iniziativa, con il correlato manifesto, volta a censire, o meglio raccontare, tutte le storie di Italiani espatriati, emigranti, non per necessità, ma per scelta. Perché la vera novità è che si tratta sempre più di una scelta di vita, intellettuale, di un bisogno civile, un desiderio da realizzare. A partire spesso sono i migliori nei campi più disparati, ricercatori, artisti, scienziati, giovani ambiziosi e avventurieri per cui l'Italia non merita la loro conquista.

Ho spesso tentato di affrontare le storie di amici coetanei stranieri, Altri, che altro non sono che il nostro riflesso: quello di una generazione vagabonda e cosmopolita un po' per scelta e un po' per necessità. Storie, le nostre e quelle altrui, che si integrano e aiutano a raccontare i tempi di questo processo di globalizzazione di cui noi siamo i figli. Le partenze sono aumentate un po' per tutti, l'interscambio tra paesi, soprattutto europei, fa sì che Francesi ed Italiani vadano in Spagna, Spagnoli, Italiani, Rumeni e Polacchi in Francia, Italiani, Spagnoli, Lituani, Polacchi in Inghilterra, Francesi, Italiani e Polacchi in Germania, i Tedeschi rimangono a casa loro e gli Inglesi pure. In Italia nessuno. Ovvero il nostro Paese subisce questo export negativo di giovani, facendo sì che pochi vengano in Italia con l'idea di ritornare dopo l'Erasmus se non per una lunga vacanza post-laurea.

Quindi, parlando di partenze e ritorni dovremmo parlare proprio dell'esodo italiano.

Questo è quello che tenta di fare Vivo altrove, un libro sicuramente interessante, che tratta di temi quali la casa, le radici, il senso di distacco e di solitudine, le frontiere e la modernità liquida. Temi intuìti che galleggiano nelle atmosfere contemporanee, ma per afferrare le quali conviene ascoltare le storie raccolte di una generazione con i piedi leggeri e la voglia di volare nelle vene:

"C’è chi parte per dimenticare, chi parte per poter scegliere, chi parte per paura e chi parte per scommessa. C’è l’insegnante di italiano che sbarca il lunario come cantante a Barcellona, l’avvocato che vive a L’Aia e vuole fare il deejay a Parigi, il veterinario romano che si adatta a fare il cameriere a Londra, il biologo di Latina che finisce a fare l’editore a Berlino…
Sono l’Italia fuori dall’Italia. Sono i giovani, sempre più numerosi, che hanno scelto di vivere lontani da casa, alla ricerca di un lavoro nuovo, o di una vita diversa. Questo libro racconta le loro storie, che sono piene di vitalità e venate di malinconia, scanzonate, tenere, in fondo preoccupanti. Sono il ritratto di un paese virtuale e di un futuro, forse, mancato: perché il paese che questi ragazzi hanno deciso di abbandonare continua a non ascoltarli.

Vivo altrove racconta le storie di giovani tra i 25 e i 40 anni che hanno deciso di lasciare il nostro paese: non solo cervelli in fuga, certi di trovare all’estero opportunità migliori, ma anche ragazzi “normali” che sentono questa Italia troppo chiusa, ferma, asfittica, immobile, rivolta solo a se stessa. Persone cresciute sentendosi cittadini del mondo, che male tollerano un paese preso in mille guerriglie interne – politiche, geografiche, sociali, ma soprattutto generazionali – e che cercano all’estero opportunità che mai avrebbero trovato in Italia.

Il libro raccoglie molte storie, ognuna con le sue particolarità e specificità, ma costituisce anche il ritratto di una generazione. Tutti i dati confermano che il fenomeno della migrazione di giovani all’estero è in continuo aumento: secondo il consorzio universitario Alamlaurea, negli ultimi dieci anni il numero di laureati che si è spostato oltreconfine per trovare lavoro è triplicato, mediamente oltre il 3,5% dei nostri laureati si trasferisce ogni anno all’estero. È difficile fare statistiche su un fenomeno in continua evoluzione come quello di cui si occupa questo libro, ma si calcola ad esempio che i giovani italiani (tra i 25 e i 35 anni) attualmente residenti a Berlino siano all’incirca 6.000 e quelli residenti a Barcellona da meno di cinque anni siano circa 10.000.

Potremmo chiamarla “generazione Europa”, decine di migliaia di giovani che si spostano, prediligendo le grandi città e le capitali, le cosiddette “Eurocities”, dove approdano e da dove molto spesso ripartono, non alla volta del Belpaese, ma verso nuovi paesi e nuove esperienze.
Un generazione liquida".



2 commenti:

hotel ha detto...

il problema fondamentale è che in Italia difficilmente ci si realizza, le possibilità sono minime, e poi c'è tanto bisogno di civiltà...

clickclick ha detto...

Sicuramente siamo tutti combattuti da sentimenti contrapposti così ben rappresentati dal tormentone degli utlimi giorni: "vado via/resto qui".

Passare periodi, anche lunghi, fuori il paese, combattendo con la nostalgia e la voglia di tornare per partecipare, alimenta quella tensione che coltiva individualità migliori.

Da un punta di visto pragmatico, forse la cosa migliore è partire per poi tornare, senza perdere mai i contatti con la mappa di amici e con il territorio, senza sentirsi traditi, come ho già ripetuto qui:

http://hcgeneration.blogspot.com/2008/09/tutto-ma-da-unaltra-parte.html

Imparare, diventare bravi, liberarsi dei nostri peggiori difetti,"civilizzarsi" apprezzando all'estero il meglio della nostra italica civiltà e poi tornare.

Ma senza chiedere il permesso che probabilmente non ci verrà mai dato, ma entrando a gamba tesa per riprendere quello che ci spetta di diritto, il diritto di scegliere, partecipare e far sentire la propria voce.

Nessuno ci ha detto che sarà facile, e non dobbiamo pensarlo nemmeno noi.