domenica 27 dicembre 2009

Baricco, oltre i Barbari -II- Vino

Baricco comincia il suo saggio con l'elemento Vino, uno dei "villaggi periferici" saccheggiati dall'orda barbara. In breve ricorda come la produzione del vino non sia più esclusivo appannaggio di viticoltori italiani e francesi, ma da circa una quarantina d'anni sia diventato un fenomeno planetario, alla portata anche di altri popoli come quello americano, australiano, cileno e sud africano. La prima imprecisione sta già nel fatto che in molti di questi paesi si produceva vino già da prima, lo stesso Cile aveva importato uve francesi già un paio di secoli fa, per non parlare della produzione presente da tempi antichi in molti altri paesi come la Spagna, la Grecia e l'Ungheria la quale ha anche un contenzioso in sede europea per i marchi DOP dato ad alcuni vini italiani.

Pertanto il "gesto" di fare il vino, identificabile con una "aristocrazia terriera" ben definita, ora viene svenduto: si genera una perdita di senso oltre che di anima. I Barbari del resto come sostiene Baricco non hanno anima, "cercano di farne a meno"appunto.

Balzano immediatamente agli occhi una serie di elementi che ostacolano la fluidità delle pagina. Questi elementi sono sintetizzabili in pregiudizio-arroganza-paura, tecnologia e ignoranza storica.

Innanzitutto, emerge in tutta la sua pericolosità l'atteggiamento provinciale e arrogante di Baricco, il cui humus culturale è il pregiudizio. L'atteggiamento provinciale si individua nello scegliere elementi nazional-popolari quali appunto il calcio ed il vino, su cui è facile puntare ad un trasporto emotivo (come è suggerito qui) mandando a farsi benedire la formulazione di una teoria generale. In secondo luogo, il modo di pensare per cui noi solo siamo (eravamo) votati a produrre vino di qualità, essendo artisti dotati d'anima, e che il vino e la storia degli altri paesi è (era) semplicemente inferiore, non conosciuta, o peggio volutamente ignorata, è alquanto pericoloso. Il vino è solo un esempio, tale modo di pensare è pericoloso nel momento in cui può essere applicato a tutti i campi. Il pregiudizio secondo il quale l'altro non possa fare una cosa migliore o uguale a noi anche se appena arrivato, è esemplificato dal qualunquismo del tipo all'estero non sanno fare il vino. E' solo la premessa di un latente razzismo culturale. "Aristocratici" oggi bisogna diventarlo, non nascerci, si chiamano pari opportunità.

"Perchè adesso fanno vino (hollywoodiano) in Cile, Australia, California, e posti anche più assurdi, mentre una volta lo facevano solo francesi e italiani?" (I Barbari, pag.38)

Semplicemente perchè la cultura viaggia, si mischia, si evolve. Qui emergono una serie di elementi che vale la pena sottolineare.

L'immediata conseguenza di ragionamenti sì chiusi se non etnocentrici è, proprio come per gli atteggiamenti razzisti, il sentirsi superiori e quindi legittimati ad una privilegio che va di pari passo con una limitazione della libertà altrui. La libertà di provare, sperimentare, creare secondo canoni e stili nuovi, la libertà di affermarsi, di innovare.

Può darsi che siano partiti tentando di imitare noialtri apparendo quindi goffi, ma se è vero che il lavoro e l'impegno pagano, allora non ci resta che aspettare e vedere per credere. Il paziente osservatore direbbe: diamogli tempo. Perchè quando i Giapponesi hanno cominciato a produrre prodotti ad alta tecnologia nel dopoguerra erano visti con una certa simpatia dagli Americani, perchè i Cinesi da principale mercato di destinazione degli investimenti esteri stanno ora diventando i principali investitori, perchè tutti indipendentemente dalla loro provenienza culturale e condizione sociale possono, basta la volontà, appropriarsi, rigenerare e reinventare usi e costumi, gesti quotidiani portandoli anche a livelli superiori di quello che noi stessi riusciamo a fare.

Che dire del giapponese Makoto Onishi che ha vinto per ben due volte nel 2003 e 2006 il PizzaFest a Napoli, creando la pizza più amata dal ben educato, in termini culinari, pubblico napoletano? Qualcuno mangiando una squisita pasta alla carbonara, cacio e pepe o amatriciana in un qualsiasi ristorante romano si è mai reso conto che essa veniva cucinata nella quasi totalità dei casi da un immigrato pakistano o bengalese? Stranieri che pazientemente hanno imparato i nostri gesti e li hanno migliorati. Cosa che possiamo fare tranquillamente anche noi, lo scambio è un gioco a somma positiva.

"Se giudichiamo l'intelligenza di una frase dal colore, sesso, nazionalità o cultura di chi l'ha pronunciata, allora la ragione è stata definitivamente eliminata". Lo diceva F.A. Hayek, in La Società Libera, e se non applichiamo questo concetto largamente condiviso anche ai prodotti, ai manufatti, ai gesti quotidiani, giudicandoli non per il valore che essi contengono ma in base a chi l'ha fatti, ci si incammina in direzioni ugualmente pericolose.

Quindi un primo aspetto è il pregiudizio dettato dall'arroganza e da un insito conservatorismo (dettato dalla paura):

"Pensate al produttore di vino francese, ricchissimo, con un nome celeberrimo, inchiodato sull'ordine perfetto delle sue preziosissime terre, seduto su una miniera d'oro, forte di un'aristocrazia conferitagli da almeno quattro generazioni di formidabili artisti. E adesso inquadrate il produttore di vino hollywoodiano, con il suo nome qualsiasi, seduto sulla sua terra cilena qualunque, figlio, se va bene, di un importatore di vini e nipote di uno che faceva tutt'altro, dunque privo di quarti nobiliari. Metteteli uno di fronte all'altro: non percepite il caro vecchio puzzo di rivoluzione?" (I Barbari, pag. 42)

Tale conservatorismo probabilmente è dettato da un certo astio verso la tecnologia, causa di modernità, ed in particolare verso quella che ha reso possibile ai "pazzi americani" di produrre vino in un "deserto". Anche qui c'è un errore sostanziale perchè si scordano due elementi: la tecnologia è solo un mezzo, non un fine; in quanto mezzo ha la possibilità di "amplificare" o "semplificare" il raggiungimento di un nostro fine, nel bene e nel male. A noi un uso intelligente.

Ovvero sebbene Baricco individui nello sviluppo della tecnologia una delle cause dell'imbarbarimento moderno (già concetto di per sè singolare, in quanto la parola tecnologia ha sempre portato con sè un miglioramento), in realtà dimentica che proprio nel caso dei vini ha permesso negli ultimi venti anni un sensibile aumento della qualità, come per tanti altri prodotti alimentari come ad esempio l'olio d'oliva, ma questo viene ovviamente dimenticato.

Il fatto che grazie alla tecnologia si riesca a fare qualcosa che prima non si riusciva a fare, non può essere chiamato imbarbarimento, e a meno che non si veda come unica soluzione la distruzione delle macchine per pura paura del cambiamento o per nostalgia: bisognerebbe quindi concentrarsi su un uso intelligente della tecnologia. Che ce ne facciamo di una automobile da cinquantamila euro se poi passiamo la maggior parte del tempo alla guida nel traffico?

Trattando di tecnologia, Baricco compie un'altra imprudenza metodologica assegnando alla stessa un eccessivo determinismo e peso. Le invenzioni più importanti del nostro tempo sono nate per caso e create per un altro scopo, sono state poi convertite all'uso ritenuto più utile in quel momento. Basta guardare la storia delle invenzioni più importanti per avere un'idea: regna l'indeterminismo.

Il punto è che tutti i cambiamenti possono avere esiti insperati, generare conseguenze inintenzionali, inaspettate. Talvolta peggiorano la qualità della nostra vita: si pensi alla televisione e al suo abuso oltre che alla fruizione passiva, alle automobili e al traffico, ai cibi industriali, alla tecnologia basata sul petrolio e così via. Strumenti utili e quasi indispensabili ma che cambiano anche in peggio la nostra vita.

A noi l'uso intelligente del mezzo che richiede inevitabilmente del tempo, perché il cambiamento va interiorizzato, metabolizzato, digerito, adattato: prende tempo trovare la sua migliore applicazione: si pensi ad internet nata come conseguenza del sistema di difesa spaziale voluto da Regan negli anni '80! Trovare la strada da seguire talvolta prende tempo. Il carattere più dirompente delle tecnologie moderne è sicuramente quello della "democratizzazione" del mezzo, altro che imbarbarimento: oggi possiamo vedere cose che prima esistevano senza alcuna visibilità. Ad esempio è grazie alla tecnologia che con un click ho il glossario del buon enologo, una finestra su un mondo altresì chiuso: http://www.vinocon.it/GlossarioCaratteristicheVino.htm

Demonizzare la tecnologia tout court è mancanza di idee, o peggio cattiveria. La verità è che tali potenti mezzi hanno bisogno di tempo per adatttarsi, per essere assimilati, per essere utilizzati in maniera consapevole. Ma se si ragiona in termini ottocenteschi ecco la frase di Baricco:

"[...]complice una precisa innovazione tecnologica, un gruppo umano sostanzialmente allineato al modello culturale imperiale, accede a un gesto che gli era precluso, lo riporta istintivamente a una spettacolarità più immediata e a un universo linguistico moderno, e ottiene così di dargli un successo commerciale stupefacente". (I Barbari pag.43)

Un'ultima precisazione: il cossiddetto American Way of life del XX secolo ci ha profondamente influenzati, ma adesso la vera rivoluzione è segnata dalla fine del mono culturalismo e dell'imperialismo che l'aveva generato. Che dire della silenziosa ascesa dei kebab in Italia e in Europa, che hanno affiancato silenziosamente la pizza, superato senza clamore gli hamburger? Che dire della diffusione in Occidente di discipline orientali antichissime, quali lo Yoga, la meditazione, dello sviluppo del culto del tè cinese?

Aspettiamo con ansia i contributi che gli arabi, cinesi, indiani, marocchini, tunisini, algerini, africani daranno alla nostra cucina, alla nostra lingua, al nostro immaginario: nuova cultura collettiva. Come cambieranno le nostre abitudini e come noi cambieremo le loro. Se è vero che noi rappresentiamo l'Occidente imperialista, è vero che loro sono numericamente la maggioranza, più giovani e con un'energia esplosiva: il mondo cambia più velocemente di quanto si pensi.

La Storia. Baricco comincia con il vino per "studiare i barbari nel loro saccheggio di villaggi periferici", ironicamente il primo post di questo blog raccontava proprio una storia inerente alla cucina e alla sua evoluzione. Baricco dice Vino, io rispondo Cucina.

La storia della cucina ci insegna che essa è soggetta a mode, viaggia, si diffonde, si mescola. Che dire delle influenze arabe sulla cucina siciliana? Lo stoccafisso che venne importato a Venezia? La separazione nella cucina italiana del XVIII secolo del dolce e del salato? L'influenza francese e spagnola nella cucina napoletana? Il Babà che venne importato dalla Polonia? L'evoluzione di prelibati piatti di pasta in questo ultimo secolo grazie allo sviluppo della tecnologia e alla sua commercializzazione? Che sarebbe stato della cucina italiana e spagnola, se non fosse stato importato il pomodoro dal continente americano? Saremmo mai arrivati agli spaghetti col pomodoro? Ai pelati? Al S. Marzano? Al piennolo vesuviano? E la pizza ca' a 'pummarole encoppe'?

Stesso discorso andrebbe fatto praticamente per mille altre nostre abitudini oggi considerate sacre. Il sacro è un valore soggettivo e creato dalla abitudine, dalla sua istituzionalizzazione. Senza nulla togliere alla poetica, del resto soggettiva, di tali gesti, di tali azioni, esse hanno avuto un inizio ed avranno presto o tardi anche una fine, un'evoluzione o una moltiplicazione. Come dire, considerando il vino un "villaggio saccheggiato" non si scopre nulla di nuovo sotto al sole. Oltre a dimostrare profonda ignoranza, o mancanza di rispetto per la storia in generale, per la sua anima, le sue origini intrecciate e bastarde, confuse ed indistinguibili, si ignora che i concetti stessi di "tradizionale" e "originale" sono termini completamente arbitrari in un' ottica di lungo periodo.

La paura di perdere la sacralità di gesti relativamente antichi, è in realtà un vacillamento di tali gesti dinanzi a qualcosa di nuovo e diverso. La sacralità del gesto è data dall'attesa che si crea nella ripetizione del proprio gesto. L'attesa deve essere istituzionalizzata, sedimentata nelle coscienze e nelle memorie. Quello che accade è che stiamo distruggendo vecchi Sacri Totem, li stiamo relativizzando e sostituendo con dei nuovi. Nessun totem in sè avrà un valore maggiore degli altri. Ci saranno segmentazioni, rispetto reciproco, e nuove abitudini collettive. La creazione di nuovi simboli e abitudini sacre si cristallizza piano piano grazie agli stessi soggetti, attori di un cambiamento attivo, che sono portatori inconsapevoli di nuova cultura. I totem stanno cadendo uno dopo l'altro, quello che viene scambiato per barbarie è in realtà un nuovo processo di secolarizzazione.


5 commenti:

XX ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Sonia ha detto...

Nel caso del vino, oltre lo scambio culturale o il cambio tecnologico si potrebbe fare una parentesi sul cambio climatico.
Perché, come per tante altre produzioni agricoli, quella viticola è già colpita - e lo sarà ancora di più nel futuro - dal riscaldamento globale.
Cosi, in certe regioni del pianeta fra cui Danimarca, Belgio, Regno Unito, Polonia e tante altre sicuramente, di recente è diventato possibile coltivare certi tipi di vine. Chi può dire oggi se fra qualche decennio, si potrà ancora fare il vino nelle regioni più calde della Francia e dell'Italia...

clickclick ha detto...

Questo ci ricorda che il pianeta è vivo, che noi cambiamo con lui e la mutazione è endemica.

Che dire di Pisa, una volta repubblica marinara e ora distante dal mare?O del Sahara una volta ben meno arido tanto da poterlo attraversare tranquillamente anche in carovana?

Mi viene in mente il primo principio della termodinamica
"Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma"

dtm ha detto...

guarda che Baricco non se la prende affatto coi nuovi modi di produrre il vino, nè sostiene che stia arrivando un'ondata di terribile barbarie in senso lato.
se non hai compreso questo tempo tu non abbia capito nulla del libro.

clickclick ha detto...

Caro dtm,

quello che cercavo di porre in evidenza sono riflessioni personali ispirate proprio dal libro di Baricco con il quale, come avrai capito, non mi sento in perfetta sintonia; pertanto i post che a lui si riferiscono, chiamandosi appunto "oltre i barbari", intendono essere un ragionamento alternativo a quello da lui sollevato.

Non c'era l'intenzione di fare una critica letteraria al libro, ma quella di parlare in maniera diversa di argomenti da lui trattati.

E' vero che l'apocalisse decantata per tutto il libro viene in breve ritrattata nelle pagine finali e la nostalgia, che si trasforma in odierno pessimismo, viene per un attimo taciuta. Tuttavia, ritengo che al di là del pensiero reale di Baricco (in questo caso sul vino che viene prodotto all'estero), ho cercato di mettere in evidenza che il metodo seguito presenta incoerenze e contraddizioni relativamente a concetti molto importanti quali i processi storici, la tecnologia, il relativismo culturale, l'apertura, trasformando personali giudizi di valore in una teoria sociale.

Per non avere una idea parziale ti invito cmq a leggere tutti e quattro i post che ho scritto sull'argomento.