venerdì 24 luglio 2009

Io sono un poeta


Hassan Laaguir è un poeta. Un poeta dell'apertura, del rispetto e del riconoscimento dell'altrui cultura, qualsiasi essa sia. Confrontandosi con la prepotenza culturale araba e marocchina, Hassan ha rivendicato con spirito ribelle pari dignità alla cultura berbera, la sua cultura, la cultura amazigh.

Il movimento amazigh, di cui Hassan è esponente, rivendica innanzitutto il riconoscimento della identità, cultura e lingua berbera, all'interno della Costituzione marocchina. Un movimento che intende riscoprire quel patrimonio culturale di usanze, leggi non scritte, e costumi che caratterizzano il popolo berbero. Un insieme di tradizioni che hanno solchi profondi e lontani in una società più laica rispetto a quella basata sulla sharìa, la legge coranica, imposta successivamente dal dominio arabo-musulmano. Una cultura berbera sommersa ed affogata dall'egemonia culturale araba-musulmana, dove la donna ricopre un ruolo subalterno, il divorzio è un diritto riconosciuto soltanto all'uomo, e dove l'Arabo è sancito come la lingua sacra.

Per questo Hassan è attivista di un movimento che mira a riaffermare un'identità, che tenta di valorizzare le donne in quanto perno della famiglia e vettori del patrimonio culturale berbero. Per questo mira ad affermare pari diritti e dignità a minoranze che spesso sono calpestate dal diritto di arroganza delle maggioranze.

L'utilizzo della poesia va di pari passo con la sua attività politica. Infatti, sebbene il movimento amazigh sia innanzitutto un movimento culturale volto a riscoprire, valorizzare e diffondere, la musica, la lingua e la cultura berbera, naturalmente il progetto, la visione, è politica. Un progetto di autonomia territoriale, di riconoscimento formale e costituzionale.

Hassan già durante il periodo universitario ad Agadir scrive poesie che legge ad un pubblico sempre più numeroso che fa da eco ad i suoi continui riconoscimenti. Dopo l'Università l'attivismo di Hassan si fa intenso, partecipa al Forum Universale delle culture di Barcellona e all' Indigenous Fellowship Programme dell' Unesco, nel 2004. Diventa presidente della sede locale di Agadir dell'associazione Taymanut, ed e' fondatore di ADUZ N TIDAF , associazione per lo sviluppo e l'ambiente. Sempre nel 2004 viene invitato da Azarug, associazione berbera indipendentista delle Canarie, ma viene bloccato e rinviato a casa dalla polizia di frontiera. Comincia a lavorare ad Agadir per l'Agenzia delle Entrate, in seguito a Rabat per una Ong all'interno di un programma di ricerca tra leggi e tradizioni amazigh. Poi la pubblicazione delle sue poesie, ed infine la borsa di dottorato all'università di Granada ed il lavoro con la Fondazione Euro-Arabe.

Periodo di lavoro intenso in cui concepisce un'idea di sviluppo e progresso abbastanza chiara, e che tenta di promuovere tramite le associazioni in cui opera. Dove sviluppo significa innanzitutto dignità e libertà. Dove non si rincorre il paradigma consumista occidentale, ma si cerca un equilibrio tra il giusto e necessario sviluppo materiale, e l'armonia con l'ambiente, tra le ricadute sociali positive delle zone oggetto di in vestimenti esteri e la conservazione di culture tradizionali. Uno sviluppo che coniughi i lati positivi della modernità e della tradizione, l'ambizione è trovare un equilibrio tra il paradigma dell'urbanizzazione, della libertà, dello sviluppo della cultura, e la vita da poeti di Inschaden.

Perchè in momenti storici di forti cambiamenti, come quelli che sta attraversando il Marocco in questi anni, scegliere la strada da seguire è un compito difficile a cui solo i diretti interessati possono adempiere, e tra questi, i poeti talvolta sono gli unici che possano fornire visioni armoniche di due mondi tanto diversi, vecchio e nuovo possono convivere solo grazie alla poesia che apprezza il presente ed il passato, ma invocando il futuro. Non a caso Hassan è l'unico della sua famiglia che ha compiuto un viaggio proiettato in avanti, negli studi, nelle idee, l'unico che per gli stessi motivi si preoccupa di tornare anche indietro, al passato e alle proprie origini. L'unico che fa visita e s'interessa ancora ai modi di vita dei nonni, l'unico che si preoccupa di come conservare e preservare la propria lingua, l'unico che già rifiuta il rumoroso e dannoso superfluo dello sviluppo occidentale, dalla televisione alla automobile. L'unico che ha preso coscienza del rapporto importante che l'uomo deve sviluppare con il circostante, dall' armonia con la natura a quella con gli altri uomini.

Una presa di coscienza che è stata possibile solo grazie al confronto con l'altro, chiunque esso sia ed in qualsiasi forma esso si presenti. Senza confronto, senza diversità, non possiamo nemmeno identificare noi stessi, noi da soli non esistiamo.

Hassan ha dovuto lavorare duro, con fervore e dedizione da artista, ha scritto, e scrive, per la dignità, perchè lo sviluppo diventi innanzitutto sinonimo di dignità. Poesie di orgoglio, poesie di speranza che dedica a coloro i quali vivendo in piccoli villaggi, fatti di vita semplice, vivono di poesia e la utilizzano incosapevolmente come burro sul pane. Poesie che dedica a coloro i quali non celebrano la giornata mondiale della poesia perchè vivono la poesia tutti i giorni, a coloro i quali rendono le cose semplici belle e poetiche. Poesie dedicate, a quella parte di se stesso con cui lotta per affermare la poesia, a quella parte di che preferirebbe sempre la via più facile.

Perchè evidentemente non tutto è stato facile, specialmente con un passaporto marocchino. Un passaporto che di certo non rappresenta un lasciapassare, anzi. Ne è esempio il rifiuto a farlo entrare alle Canarie, la perdita del primo semestre di dottorato a Granada perchè hanno tardato sei mesi a concedergli il visto.

Perchè sebbene Hassan sia come noi spinto da motivazioni simili, come noi con una condivisione di speranze e valori, come noi con sogni di felicità, la partenza ormai imminente ed il momento del saluto non sarà per noi, uguale a quelle già vissute con tanti altri europei. Una Europa che ha realizzato uno spazio senza frontiere per i suoi cittadini rimane ancora difficilmente valicabile per tanti che sono come noi, a volte migliori di noi, ma nati dall'altra parte. Le partenze come ogni anno si avvicinano, ma salutare un amico francese, spagnolo, tedesco, lituano o polacco non ha mai lo stesso sapore di un saluto marocchino o turco. E non è la distanza geografica a spaventarci, ma quella politica. Salutare ragazzi provenienti da questi paesi, vuol dire salutarli per molto tempo, un tempo indefinito a cui non è possibile dare limiti, distanze che non è possibile prendere per tempo. Una partenza che talvolta ha veramente il sapore dell'addio. Che non dà spazio a sorprese, lunghi week-end, o brevi visite. Salutarli fa comprendere che quello vissuto è stato solo uno spazio libero, una zona franca, e che non tutto libero è il mondo, almeno per ora. Ma noi, ci proviamo lo stesso.



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