lunedì 7 gennaio 2008

Lotta alla munnezza

Come si fa a parlare di apertura, di scambio, della bellezza e diversità del mondo, quando la tua città brucia, la tua terra puzza, il tuo cibo è avvelenato, la tua aria è piena di diossina?

Come si fa a parlare di nuove generazioni, di fiducia, amore, quando la generazione che verrà è irrimediabilmente compromessa. Quando la tua terra è stata privata del futuro. Quando non si contano gli errori del passato, si spera di superare i problemi del presente, ma che senso ha quando un futuro sai che sarà possibile solo altrove?

Come si fa quando non si può sperare nell’anno nuovo perché invece dei botti bruciano i cassonetti, fumi neri coprono le strade e le bollicine dello spumante sono piene di rabbia. Come si fa a mangiare, festeggiare, regalare, continuare a consumare qualsiasi cosa sapendo che finirà tutto, nei sacchetti bianchi, neri, blu, gialli, trasparenti, sotto casa, come pasto per ratti, piccioni, cani, gatti, o in fumo nei tuoi polmoni, come si fa ad essere consenzienti, come si fa quando si partecipa a questo lento suicidio collettivo?

Come si fa a rimanere coscienti, a stare lontani, a viaggiare, a scrivere di mescolanza, comunità, immigrazione, assimilazione, quando vorresti essere lì nei presidi, urlare anche tu la tua rabbia, sfogarti con gli altri, essere con qualcuno che prova esattamente quello che provi tu. Come si fa ad andare avanti, coltivare i tuoi progetti, quando ti distrai in continuazione, leggi con rabbia i giornali, ti senti impotente, segui con palpitazione i video in diretta, aspetti evoluzioni, quando ti sei rassegnato ad un cambiamento. Come si fa, quando invece vuoi andare avanti per un'altra strada, un’altra vita. Una vita che sia degna di questo nome.

Si fa, perché si ha bisogno di farlo, perché se non si risponde al proprio bisogno di azione, di pensiero, di volontà, si rinuncia al proprio desiderio di vita. Perché “Sentire interiormente ciò che si è capaci di fare, è assumere la prima coscienza di ciò che si ha il dovere di fare”. Potere agire diventa dovere agire. “La vita non può mantenersi che alla condizione di espandersi così afferma Kropotkin. Allora la propria forma di lotta diventa resistenza dell’intelletto, formarsi per il bisogno-dovere di formarsi, crescere, parlare, conoscere e far conoscere, decidere, capire, sviluppare idee, fornire soluzioni, questa è la speranza. Lavorare sull’idea che altre dimensioni sono possibili. Possiamo crearle, averle, dobbiamo rivendicarle. È un diritto viaggiare, conoscere, essere liberi, è un diritto la giustizia. È un diritto vivere. Dove viver vuol dire essere fecondi, sviluppare l’intelligenza, la volontà, i sentimenti, espandersi e creare.

Una lotta che viene mutilata nell’azione, repressa dalla distanza, non può che diventare una lotta di parole, una maledizione, un’ingiuria, una condanna, un urlo, una sofferenza, una bestemmia, un appello, una preghiera.

“Sii forte, invece. E non appena tu avrai scorto un’iniquità e l’avrai compresa - un’iniquità nella vita, una menzogna nella scienza, o una sofferenza imposta da altri - , ribellati contro l’iniquità, la menzogna, l’ingiustizia. Lotta! La lotta è vita, che sarà tanto più intensa quanto più la lotta sarà viva. E allora avrai vissuto, e per alcune ore soltanto di questa vita tu non darai degli anni interi di vegetazione nella putredine della palude.

Lotta per permettere a tutti di vivere questa vita ricca ed esuberante, e sii sicuro che troverai in questa lotta gioie così grandi quali non ne troverai di simili in nessun’ altra attività.

È tutto ciò che può dirti la scienza della morale. A te la scelta”.

6 commenti:

Unknown ha detto...

il difficile e' proprio questo: non scappare. E' da vigliacchi pensare "tanto io domani saro' in un altro posto", tuttavia e' frustrante rimanere e parlare, sprecare tonnellate di fiato e tempo e poi accorgersi che tanto chi ti ascolta non conta e chi conta neppure ti vede, figuriamoci se si interessa a quello ceh stai sbaitando. Ieri raccontavo ad un amico inglese la situaizone della "nostra terra" e lui chiedeva: "ma scusa i vostri politici sono ancora li'?" e io tristemente "si, sono ancora tutti li' belli belli" e lui (saggiamente")" allora forse sono li' perche' sono la faccia della vostra Italia". Brutta scottaruta ma forse e' cosi'. Forse Bassolino e' ancora li' perche' noi abbiamo tollarato per anni, guradato da un'altra parte e piano piano siamo andati via. Da vigliacchi? Non so..lascio qui l'interrogativo per il geniale cervellino che ha inventato questo blog.

Anonimo ha detto...

Concordo con Vera. Va bene "incazzarsi", provare rabbia e frustrazione per quello che sta succedendo, ma alla fine cosa contiamo di risolvere con le parole? Io, purtroppo, sono costretto a vivere a Napoli per motivi di studio, ma non vedo l'ora di scappare. Non ce la faccio più a vedere "esempi migliori" ogni volta che metto la testa fuori dall'Italia, o anche solo fuori dalla Campania. Qui siamo tutti vittima di un malcostume radicato. Bisogna smetterla di nascondersi dietro alla demagogia che rimanda sempre tutto alla disoccupazione, alla povertà, ecc. La questione della "munnezza" è solo la punta di un iceberg, perché a Napoli non funziona NULLA e, oltre ad essere sommersi dai rifiuti, siamo sommersi anche dalla mancanza di rispetto per gli altri e per il pubblico, che raggiunge la sua massima espressione nell'enorme crimininalità e senso di insicurezza che attanaglia la città.
Per fortuna la "munnezza" è facile da descrivere per immagini, mentre è davvero un'impresa riuscire a far capire, a chi non è nella situazione, cosa si prova quando si mettono i piedi fuori dalla propria porta di casa. In tutte le città del mondo esiste la criminalità; ovunque esistono problemi sociali e non che allontanano inesorabilmente le città dell'essere il "giardino dell'eden", ma ho paura che solo a Napoli si faccia di tutto questo un "vanto".
I napoletani "sguazzano" nei loro controsensi; esercitano silenzio assenso e a volte assecondano tutto quello di sbagliato che gli cresce intorno, fin quando non si trovano un putrido "sacchetto" che gli rotola sull'uscio di casa (possibilmente non durante una partita del "Napoli Calcio", perché in tal caso solo un eruzione del Vesuvio potrebbe distoglierli da tale "fondamentale attività"). Solo alla vista del sacchetto si risveglia non il loro senso civico, ma semplicemente il senso della "patata bollente"!
Meglio mettere fine alle mie invettive. Alla fine prendete tutto quello che vi ho detto come una testimonianza.
Saluti e ad maiora.

clickclick ha detto...

Vi segnalo una articolo, una veduta dall'interno

http://www.nazioneindiana.com/2008/01/08/il-rifiuto-permanente/

Anonimo ha detto...

che casino ragazzi! Veramente non so come e se ne usciremo..ma perche'?!!! Perche' deve essere tutto cosi' intricato..

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Chi se ne va è quasi sempre chi se lo può permettere. Chi resta, è così occupato a rendere la propria vita decente che l’idea di lottare non la prende neanche in considerazione. Già deve farlo per arrivare a fine mese, e quasi sicuramente lo fa anche “grazie” all’omertà, ai compromessi, al non opporre resistenza… tutto ciò che rende possibile ai responsabili di questo schifo di continuare a muoversi.
Provate a chiedere ad un operaio o ad un commerciante se è disposto a non lavorare per qualche giorno in modo da poter trasformare le parole in un’azione concreta, in un momento come questo dove a Caserta (oltre all’immondizia) i negozi per poco non erano aperti anche il giorno di Natale con la speranza di vederli un po’ meno vuoti del solito visto che “si fa la fame”!
Ma si, continuiamo ad inveire e a vomitare opinioni su quanto sia anarchica Napoli o su come sia fantastica qualsiasi città al di fuori della soglia di casa nostra o su quanta vergogna possiamo provare di fronte ad un amico di un altro paese... noi ragazzi lo possiamo ancora fare, fino a che avremo alle spalle mamma e papà!
Il sacchetto dell’immondizia è solo una prova tangibile di un collasso generale. Speriamo che, toccare il fondo, serva poi a far andare le cose in un’altra direzione.