domenica 13 gennaio 2008

Gli apostoli dell'immigrazione


Federico ha compiuto un tragitto inverso a quello dei suoi antenati. Lui, argentino, ha deciso di tornare in Europa. Il suo albero genealogico si divide per metà in sangue spagnolo e per metà in sangue italiano. Una doppia fortuna che raddoppia le sue possibilità di scelta. Così sfruttando la congiuntura favorevole decide di fermarsi a Barcellona anziché in Italia e richiedere lì il doppio passaporto. Si aprono nuovi scenari nella sua vita e sebbene la sua cultura non sia poi tanta diversa dalla quella spagnola e quella italiana, si troverà anche lui nel suo piccolo ad affrontare problemi di integrazione.

Integrazione affrontata con strategie diverse dall'autorità costituita di turno. In un articolo di qualche tempo fa su Repubblica*, era il periodo dell'allarme romeni, così un "sociologo" francese spiegava il problema dell'immigrazione e dell' integrazione:

"Di fronte all'immigrazione di massa ci sono due sole possibilità. L'assimilazione, che attraverso l'adozione dei costumi ed dei valori del paese d'accoglienza, permette ai figli e ai nipoti degli immigrati di fondersi nella popolazione locale. Oppure la segregazione, con la nascita di comunità separate che conservano costumi e valori tradizionali."

Il francese Emmanuel Todd è una forte sostenitore dell' assimilazione, non a caso il modello dello stato francese, e arriva a dire che "occorre il coraggio di dire che la vera generosità consiste nel domandare allo straniero di accettare i nostri costumi".

Ma Todd non è un razzista o un intollerante, semplicemente con un po' di pragmatismo riconosce il fatto che "gli immigrati in fondo resteranno stranieri, anche se possono integrarsi felicemente. Mentre i loro figli invece non lo saranno più, saranno francesi o italiani. Motivo per cui hanno bisogno di aderire ai nostri bisogni e ai nostri costumi. Insomma, nei confronti degli stranieri occorre un discorso generoso, ma chiaro. Un misto di pragmatismo e comprensione. Dobbiamo comprendere i loro costumi, ma aiutandoli a fare sì che i loro figli siano come i nostri."

Al di là dell'orgoglio francese che emerge da tali parole, è implicita un'idea di superiorità del proprio sistema di valori e della propria cultura. Una cultura inclusiva, nel senso di pax romana dove la pace e l'equilibrio vengono raggiunti nel momento in cui si annullano tutte le differenze, nel momento in cui vengono eliminati tutti i diversi. Un'idea che contiene il germe dell'omologazione morale e civile, dove essere integrati vuol dire essere diventati francesi, italiani o spagnoli, dove si pretende di aderire ad un modello nazionale e totalizzante di costumi, essere integrati vuol dire diventare uguali a noi.

Al di là della superbia e dell'etno-centrismo presenti in questo modello, forse in fondo in fondo l'idea di una siffatta soluzione al problema dell'immigrazione è anche una paura del diverso e una paura del mutamento. Sembra di sentire un passo delle Leggi di Platone che afferma che "non v'è nulla di più pericoloso del mutamento".

"Ma una società aperta è mutamento, anzi essa è la istituzionalizzazione del mutamento. Il che avviene tramite la rinunzia al "punto di vista privilegiato sul mondo", al fondamento inconcusso."(Lorenzo Infantino, Ignoranza e libertà).

Come dire che non possiamo aprirci agli altri, professarci apostoli dell'immigrazione e dell'integrazione quando poi è viva in noi l'innata e ingiustificata convinzione della nostra superiorità culturale e dell'altrui inferiorità.
Per cui Federico inconsciamente ha preferito rimanere in una città di mare, calda come la sua Buenos Aires, una città aperta, abituata al mutamento e dove non si chiede al diverso di adeguarsi ai propri costumi, una città dove se tutto manca puoi prendere una nave e tornare a casa.


*da la Repubblica del 13 Novembre 2007

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