sabato 10 aprile 2010

I mangiatori di montagne*



di Sara Di Bianco**




La coltivazione delle cave è regolata nelle linee generali da normative europee “indicative” (1985; 1997; 2002). In Italia ci si rifà al Regio Decreto 1443 del 1927 aggiornato con poche leggi e saltuari decreti; dal 1977 i poteri spettano ai governi regionali. La Campania ha disciplinato l’escavazione con due leggi (1985, 1995), prima delle quali non era affatto previsto il ripristino ambientale del sito. Queste leggi prevedono invece uno sviluppo di cava nel quale sia presente una valutazione di impatto ambientale (VIA); l’inizio o la prosecuzione della coltivazione di una cava è subordinato all’autorizzazione da parte della Regione; e il recupero deve essere contestuale alla coltivazione: non si può progettare un solo anno di ripristino dopo venti anni di estrazione. Sono previste anche norme per la riqualificazione ambientale di cave abusive e abbandonate, ma finora nessuna cava, di quelle coltivate e dismesse prima dell’85, è stata recuperata. Esiste inoltre un canone in euro al metro cubo da pagare per l’estrazione. Nelle regioni italiane si paga in media il quattro per cento del prezzo di vendita degli inerti, in alcune regioni (Valle D’Aosta, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia, Sardegna) si cava addirittura gratis, in Campania il prezzo è di 0,22 euro/m3: mentre le concessioni vengono svendute o regalate, i cavatori ricavano un miliardo e settecentotrentacinque milioni di euro l’anno, le Regioni cinquantatre milioni di euro. La Repubblica Ceca ha introdotto il concetto di consumo di suolo tassando anche la superficie occupata dalle cave. Nel Regno Unito il canone di concessione è sei volte quello richiesto in Italia. Esistono però anche alternative all’estrazione, una di queste è il recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia, che crea più posti di lavoro e che in molti paesi europei sta sostituendo l’attività di cava. In Danimarca oggi si fa ricorso al novanta per cento di inerti riciclati piuttosto che di cava.

In Campania la gran parte dei materiali estratti è diretta al settore edile. Tra i tanti, le rocce calcaree, prodotto di largo consumo nell’industria delle costruzioni. Oggi la pietra calcarea è estratta soprattutto per produrre calce e cemento, che derivano infatti dal clinker, miscela costituita da calcari e argille cui vengono aggiunti altri materiali con alto dispiego di energia e produzione di fumi inquinanti, per cui le fabbriche devono essere collocate lontano dai centri abitati.

Il nostro paese si distingue in Europa (secondo solo alla Spagna) per la produzione di cemento, di cui il settanta per cento destinato all’edilizia. Uno dei principali produttori è la Cementir Spa, fondata nel 1947 dall’IRI e venduta nel ’92 a Caltagirone Spa per quattrocentottanta miliardi di lire. La società ha sviluppato un’ampia rete di stabilimenti e uffici commerciali. Nel 2001 si quota in borsa e oggi è il quarto produttore di cemento in Italia e in Turchia e il principale produttore di cemento bianco e calcestruzzo in Scandinavia. Attualmente ha più di cento impianti in tutto il mondo.

Nel 1968 viene costruito il cementificio di Maddaloni, entrato in esercizio nel 1975 e ancora oggi contestato da associazioni e comitati cittadini. La Cava Vittoria, ricadente nei comuni di Caserta e Maddaloni, fornisce il calcare necessario per la produzione di clinker del cementificio, che sorge nelle immediate vicinanze del giacimento di calcare del Monte San Michele, a ridosso di numerosi centri abitati. Dal 2007 è in atto un conflitto tra i cittadini che da anni lottano per la salvaguardia del territorio e della salute, nonché della legalità, e il Gruppo Caltagirone proprietario della Cementir, che vuole un’autorizzazione per un progetto di “coltivazione e recupero ambientale di completamento della Cava Vittoria” (già autorizzato) e di “coltivazione e recupero ambientale in ampliamento” (sul versante orientale del Monte San Michele).

In particolare, l’asso nella manica della Cementir è il R.D. 3267 del 1923 in cui si parla di come un’area boscata possa essere trasformata in “altre qualità di colture” in seguito ad autorizzazione dell’Autorità Forestale. Ma nella norma si parla di pascoli e vigneti, non certo di estrazione, tra l’altro in area sottoposta a vincolo idrogeologico. Guardando poi la cartografia del Piano Stralcio dell’Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania risultano evidenti i numerosi altri vincoli cui è sottoposta l’area interessata all’ampliamento, nonché l’area già scavata della Cava Vittoria. Entrambe sono situate in Area di Crisi AC e Zona Critica ZC, nelle immediate adiacenze di una ZAC, Zona Altamente Critica, e in Area di Tutela Paesistica. L’area interessata all’ampliamento è stata inoltre percorsa da incendi e non si potrebbe utilizzarla per quindici anni dalla data dell’incendio (L.353/2000), c’è il vincolo per riforestazione e bonifica montana (L.11/96) e infine si tratta di zone a rischio frana moderato, medio ed elevato (R1, R2, R3).

Va specificato che al vincolo idrogeologico sono sottoposti “i terreni di qualsiasi natura e destinazione che possono con danno pubblico subire denudazione, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque”, e nel nostro caso siamo in condizioni limite delle risorse idriche sotterranee del massiccio dei monti Tifatini, privi di un sistema di monitoraggio dei livelli idrici e della qualità delle acque, condannati a un processo di inaridimento e desertificazione ormai abbondantemente avviato.

La presenza della Cementir e del cementificio Moccia è anche incompatibile con i vicinissimi centri urbanizzati, in cui secondo recenti statistiche sono in forte aumento le patologie tumorali, le malattie asmatiche e della pelle, a causa delle massicce dosi di polveri sottili presenti in atmosfera. Per lo stesso motivo il Policlinico Universitario tanto agognato dalla città di Caserta non verrà mai aperto finché persisteranno le emissioni prodotte dai due opifici. E l’università non si è ancora pronunciata in merito…


Un ruolo importante lo giocano anche i lavoratori che, appoggiati dalla CGIL, difendono il loro posto di lavoro, posizione ovviamente difesa dall’opificio stesso. Un lavoro che ha però causato la morte in passato di alcuni loro colleghi. I comitati sostengono che il problema non sussiste in quanto gli stessi posti di lavoro si avrebbero nel cementificio delocalizzato e in opere di naturalizzazione delle cave dismesse (trecento solo nella provincia di Caserta), nonché nel settore del recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni.

I fatti sembrano chiari a questo punto della partita. Non ci si aspettano più grandi colpi di scena. La conclusione è forse già scritta e non è ottimista chi combatte per una città migliore. E se già siamo arrivati alla quindicesima conferenza dei servizi, tenutasi il 2 marzo (che per legge dovrebbe “essere invalidata per violazione della L. 241/90 che fissa il termine di chiusura della stessa entro novanta giorni laddove non sono stati decisi termini diversi”), c’è poco da essere ottimisti.


* Questo articolo è già uscito sul numero di marzo della rivista di inchiesta monitor.

**Fotografie di Alessandro De Filippo

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