lunedì 26 aprile 2010

Orgosolo


Un paese che era già il centro dell' universo contadino e naturalistico emblema della Sardegna interna, quella più lontana e irraggiungibile, un punto di riferimento in Barbagia.


Orgosolo si è fatta conoscere prima quale centro del banditismo sardo e come protagonista del celebre film di Vittorio De Seta: "Banditi a Orgosolo".

Nel 1969 è stata al centro della cronaca nazionale per la strenua e vittoriosa opposizione all'insediamento di un poligono militare nelle campagne di Pratobello, sintomo di un rapporto sempre conflittuale con le istituzioni.

Un paese tanto piccolo e isolato quanto vivo nell'animo. Un paese che ha poi riscritto la sua storia e la sua identità grazie ad una trovata geniale del professore di educazione artistica della sua scuola media, Francesco Del Casino, senese di nascita, ma orgolese d' adozione.

Dal 1975, grazie al contributo annuale di Del Casino e dei suoi alunni, Orgosolo ha riscritto e impresso la propria storia sulle case, tra le finestre, nei bar, nei cortili non colpiti dal sole. Orgosolo è diventato il paese dei murales. Idee rivoluzionarie guidate da visionaria lucidità che possono essere considerate il vero riscatto pagato ad anni di banditismo e conflitti latenti.


I murales sono di lotta, di denuncia politica, un chiaro stimolo alla presa di parola, alla riflessione, un incentivo a schiudersi: vitale per una comunità sì ermetica. Dando voce alle ingiustizie del pianeta, alle lotte sociali evocano sempre un parallelismo tra le lotte sarde e quelle delle altre popolazioni oppresse. La storia di Sardegna e di Italia è rintracciabile su ogni muro, dalle case ai bar, fuori ad i quali vecchi e giovani vecchi intrattengono il tempo dedicando qualche occhiata distratta ai passanti: la vita di comunità e il diverso sembrano convivere con apparente indifferenza.


Ma le case sono segnate anche da colpi di fucile che mi ricordano le parole di un amico carabiniere che ha prestato servizio in Sardegna: "tutti hanno il fucile in casa, sotto il banco, in alcuni paesi i Carabinieri rinunciano persino a pattugliare", questo avvertimento appare come una premonizione al primo bar, dove una locandina annuncia la festa popolare organizzata dal gruppo locale di cacciatori, e si intitola "gara al cinghiale in movimento", dove i premi sono armi e munizioni e l'unica condizione minima di partecipazione è il fucile di proprietà con regolare porto d'armi.


Ma Orgosolo non è solo un mistero di case adagiate sul Supramonte, è anche un momento di riflessione. Su come siamo cambiati noi che veniamo dall''esterno, su come sono cambiati loro che sono rimasti nell'interno. Lo spunto è dato dall'incipit del film di De Seta, segnato da queste parole:

"il loro tempo è misurato su quelle delle migrazioni stagionali, su quello della ricerca del pascolo, dell'acqua. L'anima di questi uomini è rimasta primitiva. Quello che è giusto per la loro legge, non lo è per quella del mondo moderno. Per loro contano solo i vincoli della famiglia, della comunità. Tutto il resto è incomprensibile, ostile. Anche lo Stato che è presente con i Carabinieri, le carceri.
Della civiltà moderna conoscono soprattutto il fucile. Il fucile serve per cacciare, difendersi, ma anche per assalire. Possono diventare banditi da un giorno all'altro, quasi senza rendersene conto"

Dalle parole e dalla immagini epiche di questi pastori si evince come sia cambiato fortemente l'atteggiamento verso questa e tante altre realtà. Uno stile neo-realista impegnato volto a capire e raccontare la realtà ha lasciato il posto ad uno sguardo "folkloristico", turistico, da zoo della cultura.

Le contraddizioni tuttavia sono numerose. Lo stesso atteggiamento di denuncia, di rammarico e rancore verso la scomparsa di queste culture sembra nascondere una posizione che forse, inconsapevolmente, è oscurantista.


Come è possibile piangere e recriminare la scomparsa delle culture popolari-contadine individuando come principale responsabile il "progresso", senza vedere che esse hanno lasciato il posto all'emancipazione dei giovani e delle donne. Come si fa a non riconoscere la durezza ed il sacrificio imposto da quello stile di vita? Verrebbe mai in mente a qualcuno che ha studiato, viaggiato, saggiato il profumo del mondo e del confronto di passare tutta la sua vita e di mettere su famiglia in un eterno presente immutabile e opprimente? Solo chi è nato e cresciuto nelle piccole comunità conosce quel desiderio di fuggire da isola deserta: hanno mai provato a mettersi al loro posto? O è solo retorica che non è mai stata sviluppata sino in fondo? Il progresso ha sciolto il legame con la terra, nel bene e nel male, ha liberato energie per lo spirito e l'arte, ha liberato le donne da un tasso di natalità di 8-9 figli, ha permesso l'apertura verso l'esterno.

Apertura che non è necessariamente indolore e priva di conflitti, attriti, rimpianti. L'apertura perchè sia vera e profonda implica anche delle rinunce, delle scelte imposte dalla scarsità di risorse, dalle priorità della vita, dalla necessità di comunicare attraverso linguaggi e sistema di valori comuni. Con il rischio di privilegiare una semplificazione della realtà che agevoli il punto di arrivo, il raggiungimento dei propri obiettivi.

Ma del resto quando comunichiamo con qualcuno non cediamo irrimediabilmente al compromesso di rinunciare per un attimo alla nostra visione unica e assoluta del mondo al costo di perdere le proprie sfumature per aggiungere quelle dell'altro? Tutta l'azione comunicativa forse si trasmette in questa tensione contraddittoria di coinvolgere con la minore rinuncia possibile, con il nostro maggiore sforzo per essere compresi, per abbattere il distacco e la solitudine interiore.


Quello che avviene alle minoranze, alle comunità contadine, ai portatori inconsapevoli di cultura, alle società indigene, non è forse un processo di rinuncia, di partenza, mosso dal desiderio di comunicare, di integrarsi e di partecipare? La tragedia evocata per la scomparsa di questi mondi perduti forse sta non tanto nella sofferenza delle popolazione che in realtà è stata alleviata dal cosiddetto progresso, quanto nella scomparsa di una civiltà, di un differente modo di vivere. Ma si era veramente più felici?


Quello che spesso si dimentica è che tale scomparsa di fatti è stata una scelta consapevole degli stessi attori che l'hanno effettuata, sebbene sia stata vissuta comunque in maniera sofferta.
Come definire tragedia la scelta del figlio del pastore che ha scelto di studiare abbandonando la via della montagna?

L'alternativa praticata oggi sembra quella della valorizzazione della cultura locale, un'alternativa preferibile alla sua scomparsa che si trasforma spesso in una svendita, in uno snaturamento turistico, in una maschera che accontenta ignari e malaccorti turisti poco informati.

L'unica possibilità allora è il ritorno volontario a quel tipo di vita o forse un turismo che entri in punta di piedi, che dica buongiorno e buonasera, che sia stimolo di apertura, scambio, un esperimento che è un po' più di una visita, che sia integrazione, ma tenendo bene in mente che la stessa implicherà un cambiamento che trasformerà per sempre la stessa cultura locale. Ma forse non è poi il caso di disperarsi così tanto.


7 commenti:

sal ha detto...

non so se sia il caso di disperarsi, ma di scavare a fondo si. Quando questa rinuncia, che tu individui acutamente, allevia patimenti fisici e psicologici ma conduce dalla disperazione alla dispersione, dal controllo che si aveva su fatti almeno minimi alla perdita di qualsiasi capacità persino di comprendere le proprie reazioni, si può parlare di progresso? La modernità non si può fermare, chi ci prova o è un matto o un poeta. Negare l'apertura di possibilità per alcuni, donne, minoranze, che di possibilità non ne avevano alcuna, è da reazionari incalliti. I sistemi si fanno complessi, gli uomini cambiano più lentamente, la tecnologia pretende essa stessa di essere usata per il fatto che esiste. Ora, capire la modernità è altrettanto importante che capire i centri di potere da cui si dipanano le traiettorie dell'umano trafficare. Non si possono sottovalutare gli effetti sulle persone, e sulla cultura, dei processi di monetizzazione utilitaristica, di sfruttamento delle risorse e di accaparramento dell'immaginario. Troppo spesso, l'apertura di nuove possibilità è coincisa con l'apertura di nuovi mercati. I mercati sono una cosa umana, d'accordo, uno strumento da non demonizzare, ma l'ipertrofia del mercato rende le lingue antiche superflue, la solitudine un malanno, la sobrietà una costrizione, la lentezza un limite... a meno che di non trasformarle nella "vacanza zoo della cultura". Sono gli stessi centri di potere che alimentano il dio del mercato a mantenere in piedi un'ideologia che da molti, nutriti dal mercato stesso, è stata superata. In quanti sono pronti a camminare, a zappare, ad aspettare, a meditare? la domanda è, sono davvero disposti a farlo? e sono disposti a lottare per appropriarsi di questo diritto?

non so se disperarmi, ma quando cerco di pensare al mondo oggi, in questo momento, agli uomini in ogni dove e a quelli che mi sono accanto, provo solo confusione, e pessimismo.

clickclick ha detto...

Le provocazioni hanno sortito un effetto dunque.

La domanda retorica è propria quella finale: quanti sono disposti ancora a zappare o fare la transumanza, a passare mesi e mesi in solitudine con il proprio gregge?

Evidentemente sempre di meno, sempre più abbandonano la vita contadina e pastorale, ma in cambio di che cosa e perchè?

Disperarsi e basta sicuramente non serve a niente se poi non si capisce perchè ciò avviene e soprattutto non si riconosce che anche tu al loro posto probabilmente faresti lo stesso.

Allora meglio guardare avanti, innovarsi ritessendo il filo delle origini e della storia prendendo spunto da quello che abbiamo lasciato, ma senza provare sterilmente a tornare indietro. Il progresso non è lineare, va a zig-zag, avanti e indietro, gira su se stesso...

Ha senso rimpiangere una civiltà passata? Ha senso rimpiangere la civiltà romana, la civiltà medioevale, le carovane del deserto, i canti ed i balli berberi, le processioni del paese, la civiltà pre-industriale e quella industriale che pure è quasi scomparsa? O è meglio provare a migliorare il presente e l'immediato futuro, innovarsi prendendo spunto anche dal ricco passato, rielaborarlo per il più complesso presente? Perchè di fatti sono avvenute delle sostituzioni, non dei genocidi.

Perchè la dimensione del cambiamento è quello di un'intera civiltà con il lusso di poter ancora vedere nitidamente come eravamo solo ieri, uno specchio del tempo assente per tutte le civiltà che ci hanno preceduto. Non a caso questo appena passato è stato nominato il secolo della memoria.

Mi guardo intorno e provo stupore, confusione a volte, di certo non nostalgia per qualcosa che non è mai stata mia, del mio tempo, come la determinazione invece, quella sì che c'è sempre e comunque.

clickclick ha detto...

Riporto il link di un'interessante interevista a De Seta che può integrare la discussione:

http://www.giuseppecandido.it/tag/vittorio-de-seta/

Ne riporto una parte:

D: Nella fase in cui si trovano oggi l’Italia e il mondo nella crisi globale, cosa è diventato oggi il lavoro?

R: Io ho fatto il lavoro manuale, sono stato due anni prigioniero. Una volta il lavoro in un certo senso era creativo .. perché il lavoro manuale è creativo. Uno fa un lavoro. vengono qui gli operai, una siepe, è finita e la vedi. Ma l’alienazione consiste nel fatto che ci sono degli operai in certe fabbriche meccaniche, che fanno dei pezzi che non sanno neanche che cosa sono, dove vanno. Se sono pezzi d’automobile o pezzi di un qualsiasi altro meccanismo. Perché ormai è fatto tutto per appalti. La fiat non è che produce, appalta tutte le parti. la cosa non può funzionare. Non fosse altro che per il fatto che per quattro milioni di anni si sapeva che cosa si faceva. Capito? La vita media poteva essere, che ne so, quarantacinque anni, mortalità infantile, gravidanze, ….figuriamoci, malaria, tubercolosi. Ci siamo liberati da questo, però si è perso un qualche altra cosa che era fondamentale. E che si sarebbe potuto mantenere.

[...]

sal ha detto...

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.

Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta.

Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.

Pier Paolo Pasolini

sal ha detto...

Non condivido queste parole di pasolini, riflettendo in maniera razionale. Le sento come un pugno nello stomaco, questo si. Sento che c'è qualcosa oltre a quello che si legge, un non detto che è evocato e che apre strade ad ulteriore riflessione, come accade nella poesia.

Mi parli di una semplificazione della realtà per raggiungere i propri obiettivi. Ma chi ti assicura che gli obiettivi siano i "propri"? Quale la discriminante tra "accrescere il proprio spirito" e confermare, nutrire, riprodurre un modello costruito da altri?
da dove provengono gli strumenti che rendono attuabile la semplificazione della realtà necessaria per comunicare tra le differenze? Sono essi neutri? emergono dalle interazioni casuali tra individui sullo stesso piano il cui unico scopo è "entrare in contatto"?
non credo.

Mi dici "che questa è stata una scelta consapevole degli attori". Quando l'ambiente cambia, chi non si adatta è destinato a perire, legge della selezione naturale. Come cambia l'ambiente umano? principalmente, con le guerre, in seguito alle quali, nei momenti di relativa stabilità, ciò che incide sullo spazio fisico e sulle categorie interpretative sono quelle "forze" in grado di muovere le masse e di coinvolgerle, o costringerle, in attività su grande scala.

Le attività su grande scala del novecento sono state l'industria, alimentata dalle scoperte scientifiche e dal capitale, e gli sterminii di massa, alimentati da idee grandiose e dalla paura della potenza senza limiti di uno stato.

I genocidi si sono stati, fisici e culturali. Mentre le "possibilità" aumentavano, gli spazi di esistenza della differenza si restringevano. Alcune resistevano, resistono, altre si adattano, cambiano o muoiono. Oggi si parlano meno lingue che in passato e se ne parleranno ancora di meno se continuiamo così, nonostante possiamo registrare tutto su nastri digitali per sempre. Perchè non sono necessarie, come i contadini. Allora cosa sarà necessario? cosa diventare in questo tempo per non soccombere (e sono in tanti a non trovare risposta e a soccombere)? Riesci a sentirti figlio del tuo tempo quando non vedi il futuro? o lo vedi?

clickclick ha detto...

Una semplificazione della realtà perchè si lascia qualcosa che si conosceva bene per qualcos'altro di nuovo che si conosce meno,alchè la vita può apparire più superficiale, ma attenzione sono sicuro che questo è solo il primo tempo del processo: abbiamo già preso coscienza della modernità, e la vita diviene più complessa e profonda. Sono sicuro che quando scompariranno le auto dalle città nascerà una poesia dell'automobile.....

Il dramma è di chi è "in beetwen" non sentendosi nè carne nè pesce: prova a prendere un pastore nato e cresciuto in Barbagia e mandalo in città a 40 anni...

Gli obiettivi, i fini, sono sempre di chi li persegue: non esiste una scienza del bene e del male. Non esiste una scala comparativa quantitativa nè qualitativa dei valori, o meglio esiste una etica, ma essa varia, cambia non è scientifica. La falsa chimera del "modello costruito dagli altri" è una falsa chimera: la cultura viaggia, si assorbe, si trasforma, si fagocita, si perde siamo già talmente e sempre più ibridi e bastardi che ormai non ha senso parlare di modello "altrui".
Già per il fatto che stiamo comunicando e quindi utilizziamo un linguaggio(veicolo di modello o parte del modello in sè) comune.

Uno strumento, un mezzo, è solo uno strumento, il carattere glielo dai tu. Internet puà essere utilizzato per migliorare la cooperazione tra i popoli o organizzare il terrorismo internazionale.

I grandi cambiamenti travolgenti e violenti quelli certo che vengono condannati, ma un cambiamento travolgente può avvenire anche da una scoperta tecnologica nata per intenti pacifici ed umanitari: sono le conseguenze inintenzionali e vanno la pena di essere studiate.

Non è vero che gli spazi dell'esistenza sono diminuiti: un contadino sardo ed un contadino berbero avevano grossomodo uno stile di vita simile. Il figlio del pescatore avrebbe fatto il pescatore, la vita del villaggio, la piccola comunità ti leva anche l'anima, l'idea di fare qualcosa, la libertà e lo stimolo di realizzarla.

Meno lingue che in passato è anche la conseguenza della caduta delle frontiere, ma quante persone parlano più lingue rispetto al passato?

Il futuro io lo vedo da costruire e cambiare: le idee, bastano quelle per non soccombere.

Botnik69 ha detto...

Mi colpisce sempre l'imbarazzo che caratterizza le nostre sortite, da cittadini intendo, nei paesi, quasi come fossero musei dell'umanità, siano essi Orgosolo Gallo Matese o apollonia. Luoghi ai margini, periferie isolate del sistema mondo imperniato sulle città che si ingrassano a dismisura, obbedienti come sono alle ragioni del tempo veloce e del tutto e subito e che in virtù di tali parametri rinnegano le proprie vocazioni urbanistiche e storiche e relegano i centri antichi a feudi turistici in cui, al limite, scattare qualche foto. Non solo, diventano cantieri fumosi di caos, centri commerciali di luci e fabbriche di colori e distrazioni. Altro che Prozac.
La domanda di fondo è ma cos'è la bellezza?
Una voce flebile e dignitosa si leva da questi luoghi isolati, sacri ed eterni, il silenzio è il pasto della resistenza che si consuma con dignità e la voglia di comunicare, di conoscere, di condividere abita questi posti alla stregua degli altissimi palazzoni che abitano le coste di una rinomata località balneare. Anche da questo punto di vista i bambini sardi sono simili ai vecchietti di tocco caudio...
Chiunque di noi scavi a ritroso di un paio di generazioni trova una famiglia contadina alle sue spalle.
Ogni paese è un mondo!
adoro questo testo di pasolini