I giovani non hanno memoria di paesaggi differenti così come è diventato difficile immaginare futuri differenti. Le memorie fatte di immagini intrasmettibili dei più anziani sono state lentamente scavate, pietra dopo pietra, lasciandoci a venticinque anni soli, senza identità e senza territorio.
Scavo dopo scavo, Caserta e i comuni fiancheggianti i colli tifatini sono diventati l’immagine dello scempio: “Nel 1954 le aree di cava nella catena dei monti tifatini erano di appena ottantasette ettari su un’estensione complessiva di quasi quindicimila. Oggi, nella sola città di Caserta, le aree interessate dalle attività estrattive ammontano a circa mille ettari, trentasei campi di calcio distrutti e sottratti alla collettività, ogni anno”. Le associazioni ambientaliste casertane lo ricordavano già nel
Il gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Antonio Pepe, mandò a casa gli undici imputati del processo nato dall’inchiesta del sostituto procuratore Donato Ceglie che condusse a vari arresti tra i cavaioli e al blocco totale delle cave che circondano l’area tra Caserta e Maddaloni. Distruzione di montagne intere, canoni non versati, bonifiche mancate, falsificazione d’atti, corruzione, danno alla salute, disastro ambientale, ma “il fatto non sussiste”.
Nel mese di novembre 2007
Per prendere coscienza della situazione in cui versa l’ambiente casertano bisogna salire laddove il paesaggio diventa la migliore sintesi visiva del territorio. Dalla cima di S. Michele l’area appare una grande groviera di colline letteralmente sventrate a colpi di dinamite, in profondità, sino a mostrare i nervi tesi di roccia bianca che digrigna i denti. La lenta erosione è divenuta apparente immobilità, lasciando indifferente chi osserva il paesaggio solo da lontano. Bisogna salire, toccare con mano le pareti calcaree, sporcarsi di polvere bianca i pantaloni, arrivare lì in alto dove si possa osservare il tutto per trasformare lo sfondo in cruda realtà. In più di venti anni è avvenuta una guerra illegale condotta contro il territorio comprendente i comuni di S.Prisco, Casagiove, le frazioni di S.Clemente, Tredici, Garzano, Centurano, Parco Cerasola del comune di Caserta e numerosi siti del comune di Maddaloni. L’ impressionante estensione di bianco delle cave ben visibile su Google maps, assume l’estensione del reale quando si osserva da vicino. L’immensa Cava Vittoria, oggetto dell’ampliamento “volto al recupero ambientale”, ti sovrasta senza possibilità di replica.
Decido di salire sulla sommità della Cava lasciandomi alle spalle il cementificio Moccia e
Perché non importa se qui ci sono un vincolo di dissesto idrogeologico, un vincolo paesistico per un bene Unesco e non saranno rispettati; non importa se c’è il vincolo di rimboschimento e gli alberi saranno abbattuti; non importa se l’area è stata percorsa da incendi e non si potrebbe svolgere alcuna attività per quindici anni; non importa se il costruendo Policlinico non entrerà mai in funzione fintantoché cave e cementifici saranno attivi, se ai cavaioli è stato imposto di delocalizzare e non lo fanno, se l’area è stata definita dal Piano Regionale Attività Estrattive zona altamente critica e si continua a scavare, non importa se tutti sono collusi nel distruggere anche le ultime cose rimaste.
Quel che importa oggi è che la Cava Vittoria ha divorato la montagna lasciando immensi gradoni che lambiscono ormai la strada sull’estremità della montagna. Un cartello ripetuto più volte minaccia di non oltrepassare pena la denuncia dei trasgressori. Quel che importa oggi è che osservando il circostante tutto ti chiede di dire basta a chi vuole continuare come prima, come sempre, da quando sono nato.
*Questo articolo è già apparso sulla rivista napoletana Monitor
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