giovedì 28 maggio 2009

Ogni domenica


Le abitudine sono le stesse da una sponda all'altra del Mediterraneo. La stessa voglia di stare assieme, lo stesso appetito.

C'è chi dice che la cultura non esiste, c'è chi dice che tutto è cultura. C'è chi dice che la cultura va protetta, conservata, e chi sostiene che essa è in continua evoluzione, pertanto inutile proteggerla, inutile anche definirla, basta viverla.


La Spagna, sotto questo punto di vista, è un paese pieno di stimoli. E' un paese che abbiamo sempre considerato come a noi vicino, il più vicino del bacino mediterraneo. Più dei Francesi, che sono nostri cugini, ma alla lontana, più dei Greci, dei Turchi, dei Maghrebini. La Spagna è stata spesso considerata come una seconda casa italiana. Come noi, uguali a noi, nel bene e nel male.
Ma al di là delle similitudini, la Spagna ci assomiglia un poco anche nelle differenze, nelle loro strutture. Nella variegata diversità presente in questo paese. Il nazionalismo qui non è molto amato, un po' come reazione alla lunga dittatura di Franco, un poco perchè ci sono forti movimenti indipendentisti, come quello basco e quello catalano. Pertanto, la Spagna come insieme unico ed omogeneo è un artificio politico-culturale, uno stratagemma di marketing, per creare un'immagine di riferimento appetibile all'estero, per il turismo.

Una volta incontrai un palermitano emigrato a Parigi che gestiva un ristorante italiano, parlammo del nostro paese. E lui mi disse "l'Italia, è un paese virtuale". In fondo, non era così lontano dalla verità. Gli stati nazione, unificati per volere, e con la forza, da una sua parte più forte hanno conservato fino ad oggi forti differenze interne, volendo distinguersi a tutti i costi dall' insieme di cui fanno parte. Penso alle forti differenze culturali presenti in Italia, ai dialetti, le tradizioni che negli ultimi anni godono di attenzione maggiore, una ricchezza.

La Spagna è simile, è divisa in 17 regioni autonome e ha ben quattro idiomi ufficiali. Il basco, il catalano, il galiziano, ed il castigliano. Lingue completamente diverse l'una dall'altra. Cosa sarebbe l'Italia oggi se avessimo mantenuto le diversità linguistiche delle nostre regioni, se le avessimo conservate, tutelate, insegnate a scuola?

Mi domando sul diritto-dovere di proteggere e valorizzare una cultura, se così avessimo fatto, la mia cultura stessa oggi sarebbe differente. Maggiormente marcato il carattere contadino-campano-napoletano, una ricchezza o un'impoverimento? Avrei perso molto altro delle altre regioni, degli altri paesi. E' difficile dare giudizi di valore, se si segue la definizione di cultura come insieme di credenze e competenze che si apprendono in quanto membro della società, quindi grazie allo stare con gli altri, la cultura forse andrebbe tutelata quando minacciata da eventi troppo forti, quando si rischia di distruggere e di perdere saperi, anziché di innescare un cambiamento degli stessi, una loro evoluzione naturale, dovuta, auto-determinata, bella o brutta che sia, che ci appaia giusta o sbagliata.

Pensando agli stati-nazione, alle interazioni culturali, all'esistenza di connotati mediterranei, passo una domenica spagnola nel piccolo pueblo di Fonelas in profonda Andalucia, un paesino che ha un bar, una discoteca-pub e intorno tanta campagna . In un paese così piccolo, e per certi versi così chiuso, così lontano dalla storia, dagli altri, dovrebbero stupire le similitudini con noialtri.



Infatti, l'artificio di cui sopra è evidente in Fonelas. Perché trovi una madre con grembiule che segue la cucina con i tempi calcolati dall'esperienza. Non ci si riunisce solo poco prima del pranzo, ma si accompagna con la propria presenza la lavorazione, la celebrazione di qualcosa di sacro.

Fonelas fa pensare a quanto sia importante la cultura legata al territorio. Quanto possa dipendere da esso. Dai suoi elementi più semplici e profondi. La cultura mediterranea caratterizza determinati paesi, non tanto in base alle loro interazioni storiche, ad i loro scambi, ma soprattutto grazie alla loro dialettica storica col territorio. Il luogo comune del sole, del mare, della giornata calda, condizionano fortemente le abitudini e l'agire quotidiano, creando così una cultura. Una cultura però così determinata è legata ad uno specifico spazio fisico, non ad un suo spazio politico, si creano sacche culturali, che si possono riprodurre a distanza, essere completamente diverse da quelle del paese accanto, ma identiche a quelle del corrispondente paese italiano.

Questo giustificherebbe la sensazione di similitudine culturale materiale, perché strettamente dipendente dalla natura e dagli artefatti umani.
Questo insieme di abitudini, saperi, norme di paese, di casa, di mamma, dimostrano esattamente da cosa può dipendere la cultura stessa. In una società più chiusa, in quei luoghi che non sono connettori globali, le variabili che intervengono nella dialettica culturale, sono di meno, acquisiscono maggiore importanza e sono relativamente più semplici. Il lavoro al campo, le stagioni, i prodotti della terra, la famiglia, la casa, la festa alla vita e allo stare insieme che si celebra ogni domenica.

Fonelas conferma che la cultura è qualcosa che viene trasmesso, rappresenta il piccolo paese che si contrappone a quelle reti globalizzate, le città, ma non solo, che diventano luoghi in cui si apprende una cultura altra, internazionale, ma de-territorializzata. Per questo Ulf Hannerz è arrivato ad affermare che "una cultura è una struttura di significato che viaggia su reti di comunicazione non localizzate in singoli territori".

La domenica di Fonelas, invece, è strettamente legata al territorio, al suo vino casero, alla morcilla, al salcichon fatto in casa, e alla paella che sta alla domenica spagnola come la lasagna, o la pasta al forno, stanno alla domenica italiana.


2 commenti:

sasà ha detto...

un'isola in mezzo al mare di campagna? un nucleo resistente e autorinnovantesi di azioni codificate dalla terra, dal lavoro, dallo svago, alle genti? Ogni volta che mi è capitato di ritrovarmi in queste maglie tese del tempo, nella domestica, o agreste, o marina, quotidianità di comunità o famiglie o persone radicate, ho sentito come un sostegno alla fragilità di vivere. Un abbraccio che, in quanto ospite, potevo solo ammirare e godere per il tempo concessomi, ma che mi stupiva per la dignità che dava, per la sicurezza che evocava, per il senso che contro ogni relativismo postmoderno si sceglieva, in barba al turbotempo dei nostri tempi. Qui, ad Acerra, in Campania, solo con mia nonna provo qualcosa di simile. Stando, oggi ad esempio, insieme a lei mentre preparava una crostata. "Doveva" prepararla per onorare una festività schiettamente locale di una religione universalistica: la Pentecoste cristiana. Ammetto che solo grazie al suo aiuto sono riusciuto a tirare fuori il mito fondante, evangelico, di tale ricorrenza. Quando Gesù, prima della definitva ascensione dal Padre, è tornato in forma umana per un giorno allo scopo di convincere gli scettici della sua resurrezione. E la crostata era il dono che lei contemporaneamente faceva a Gesù, alla famiglia e al tempo.

Dietro una sua ingenua domanda si nasconde una saggeza antica che fa tremare alle fondamenta le teorie antropologiche studiate per anni sui libri:
"Ma perchè la gente lascia le sue usanze, perchè non è più cristiana, perchè non onora le feste e la famiglia? Eppure questa è la nostra cultura."

Un essere cristiano talmente lontano dalle definizioni clericali o scientifiche o del senso comune da aver quasi bisogno di un'altra parola per dirlo. Una "propria cultura" che, forse, è la fonte permanente, quando resiste, dell'esser uomini sereni.

Ma quante cose ancora alessà, mi manca parlare e ridere insieme, spero che presto accada di nuovo.

Un abbraccio.

clickclick ha detto...

Fra' accadrà presto...nel giro di qualche settimana.

Cose da dire sempre tante, ed in continua evoluzione, nella cultura poi ci si perde, continuando ad inseguire un segreto di bellezza, come si insegue lo sguardo delle passanti.

Un bacio, ci vediam presto