di Andrea Bottalico. Fotografie di Alessandro De Filippo*.
Raccontare ad un casertano che sulla Domiziana ci sono le puttane è come indicare ad un mercante di pietre preziose il peso reale di un carato. E’ impossibile che lui non lo sappia. Noi sin da bambini abbiamo imparato involontariamente due cose “fondamentali”. Primo: la totale mancanza di fiducia verso chiunque, qualsiasi essere vivente materiale o immateriale che sia. Secondo: il luogo in cui le puttane vanno a battere. E non certo perché sognavamo di andarci, sulla Domiziana. Nel nostro immaginario erano tutte laggiù, accumulate in quel luogo indefinito e apparentemente lontano dalle nostre strade sicure, perché sin da piccoli, quando si trattava di offendere qualcuno, nei campetti di calcio del Buon Pastore o nei cortili di scuola, usciva sempre, e dico sempre, la solita ingiuria, quella che scaldava gli animi prima delle colluttazioni, il preludio di una qualsiasi rissa, l’apice della provocazione:
«Che hai da guardare!? Uomo di merda! Vieni qua, vieni! Vieni che ti piscio in testa! La sai tua madre?! Tua madre fa la puttana sulla Domiziana!!..»
Alla luce del mattino, sotto il sole o la pioggia, nelle notti tra i mazzoni. La faccia graffiata dal vento che leviga pelle che vende pelle minacciata. Sono ombre vive, le detenute del litorale. Le guardi ma non le vedi. Respirano! Non si tratta delle mignotte cantate dai cantori di un tempo andato. Nessuna “Bocca di rosa” o “Marinella” dagli occhi grandi quaggiù. Non ce ne sta una che lo faccia per noia o per passione. Un sentimento così umano non può avere luogo in questa arteria stradale, e laddove ci sia passione, questa non si trova di certo sotto forma di donna schiavizzata, ridotta a merce, bestia da soma, ingranaggio. Ha perfettamente ragione chi afferma che la Domiziana sia una sorta di laboratorio del futuro. Ed eccole qua, “le zoccole”: eccole qua le cavie di questo laboratorio. Ogni perimetro di quel corpo, ogni grammo di quella carne, ogni miserabile fascino la dice molto più lunga di quanto non possa sussurrarci. Quando è cominciato tutto questo? E’ una forma di schiavitù che non pone assolutamente le sue radici in un passato arcaico. Non stiamo parlando del lavoro più antico del mondo, tanto per intenderci. Le radici sono piantate qui. Inestirpabili. In questo eterno presente che scorre inesorabile lungo la Strada Statale 7 Quater (SS7/QTR), via Domitiana, a neanche trenta chilometri da Napoli. In un mondo arcaico non esistevano ancora certe forme di schiavitù razionalizzata e sistematica, organizzata nei minimi dettagli, oliata nei passaggi, disciplinata e scrupolosa, dettata da una violenza psicofisica, tecnica e gerarchizzata. Esistevano altre forme di schiavitù, beninteso. Ed allora mi ritrovo costretto anche io, lungo questa strada come sopra un filo del rasoio, in questa bella serata, a cercare qualcuno o qualcosa che possa rispondere alle mie inutili domande o forse al mio insano rancore.
A puttane! Dopo aver percorso questa strada durante tutto l’inverno mi ero abituato ad avvertire il freddo che usciva dalla terra, pensando si trattasse di una condizione permanente, una caratteristica climatica del litorale. Invece no, la primavera non ha risparmiato nessuno. In questa serata oltre il tramonto mi accompagna un sapore che tutto avvolge, facendomi sentire meno solo per un istante. Poi mi accorgo di guidare la macchina sulla stessa strada teatro di una strage di immigrati ignari persino del significato della parola camorra. Sembra sia passata un’eternità da quella notte del 18 settembre, ma in verità non è passato neanche un giorno, perché qui il tempo è completamente fermo. Immobile. Qui il tempo è scaduto. E il futuro è già passato davanti a tutti noi e noi non ce ne siamo neppure accorti. Come potevamo, del resto? Non ne abbiamo avuto il tempo. Con gli occhi rincorro gli occhi delle puttane che in certi tratti di marciapiede non si riescono a contare. Anche loro puntano direttamente alle mie pupille dilatate, perché anche loro hanno degli occhi, a differenza di quegli schiavi dell’antichità raccontati da Erodoto, quelli a cui gli Sciiti strappavano gli occhi al fine di assoggettarli meglio alla loro funzione servile. Le puttane del litorale Domitio, almeno in questo, possono ritenersi fortunate. Hai la netta impressione che ti stiano sussurrando qualcosa, con quegli sguardi: qualcosa di incomprensibile, di veramente incomprensibile. Senti il loro alito ammalato, e le labbra carnose schioccano al tuo passaggio: lanciano baci. Hanno quasi tutte il viso brillante, imbrattato dalla cera, mentre il riflesso di questa luce si staglia sui loro volti facendole sembrare beate, iridescenti. Sono gli automobilisti il loro barlume di speranza, ma ciò che per me vuol dire speranza per le puttane vuol dire dittatura. Sarebbe stato meglio non esserci mai venuti, da queste parti. Ci sono moltissime donne che vengono iniziate proprio qui, fanno apprendistato, per così dire, “imparano l’arte”. Molte infatti non conoscono per niente l’italiano, a parte le classiche parole del mestiere che gli aguzzini le hanno insegnato. E poi non c’è bisogno di imparare nessuna lingua per fingere un orgasmo. Capita spesso di incontrarne alcune che non parlano per niente, conoscono soltanto i prezzi delle prestazioni, e per il resto del tempo manifestano il loro dissenso attraverso il lutto del silenzio. Eppure, in questo scenario, la loro presenza rimanda ad una possibile divagazione su ciò che io intendo per bellezza. Una divagazione che fallisce sul nascere, naturalmente. Perché qui la bellezza è una condanna, anzi la peggiore delle condanne. Come un castigo. E la bellezza degli oppressi ferisce, mutila. Al di fuori del loro sguardo, non ha potere la lama di nessun coltello, come disse il poeta. E mentre scruto questa condizione, senza volere mi vengono in mente tutti i paesini desolati dell’alto casertano, quelli che mio fratello mi ha iniettato attraverso le sue entusiaste descrizioni; arrampicati sulle montagne del Matese e del Taburno, imbevuti di vigneti, accanto alle sorgenti. Nascondigli di storie che la memoria non potrà mai tradire, villaggi in cui briganti leggendari trovarono rifugio, laddove gli anarchici Cafiero e Malatesta cominciarono ad appiccare il fuoco di una disperata rivolta. Luoghi ormai abbandonati, di un fascino che ammutolisce. Quei paesi in cui “si sente l’assenza di chi se n’è andato e quella di chi non è mai venuto”. Cosa c’entra con le puttane non saprei dirlo, ma Il nodo che lega il litorale Domitio a questi luoghi opposti è proprio il loro fascino sinistro, la loro tragica e quanto mai repressa bellezza, il loro triste destino, con una differenza: lungo la Domiziana si sente la presenza di chi c’è sempre stato e l’assenza di chi avrebbe dovuto esserci. E mai come in nessun luogo si vede ciò che la mano umana è stata capace di combinare. Il risultato è il peso morto della solitudine. La stessa solitudine che probabilmente intravedo negli occhi impauriti di queste puttane, lungo il litorale. Non esiste bellezza più straziante.
C’è poco da fare. Ogni volta che vengo a sentire l’aria che si respira da queste parti io ricordo l’amore. Non si tratta di quel senso del piacere effimero che provi quando sei spensierato tra le braccia di una donna. E’ qualcosa di più indispensabile. E se una divagazione azzardata sulla bellezza fallisce sul nascere, una riflessione sull’amore in questo tremendo contesto sarebbe un sacrilegio. Eppure è più forte di me. Penso all’amore, e scavo nelle immagini di un passato lontano, quando avevo dei sogni che adesso non sono più. Nulla di sdolcinato, sia chiaro. L’amore di cui sto parlando racchiude in sé qualcosa di estremamente essenziale e misero, uno strumento per sopravvivere senza soccombere a questa umiliazione quotidiana. L’amore di cui sto parlando è l’unico che vale la pena di assecondare!
Sessanta miliardi di euro l’anno: sono queste le cifre approssimative quando si parla dei profitti della tratta di esseri umani. Un affare colossale, impossibile da circoscrivere nella sua totalità. La prostituzione da tratta produce da sola un giro di affari di sette miliardi di euro: un mercato secondo soltanto al traffico internazionale di stupefacenti. Una puttana “rende” al suo sfruttatore diecimila euro al mese, e in Italia le donne sfruttate e vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale sono circa centomila. Ma questi sono soltanto numeri. Sfuggono alla reale condizione delle donne costrette a prostituirsi lungo il litorale e altrove. Sopra la pelle delle ragazze nigeriane c’è il profumo dell’invisibile mondo dei trafficanti di esseri umani e di stupefacenti. Un mondo che non si riesce totalmente ad afferrare, perché troppo vasto. Di queste pratiche economiche sviluppate lungo il litorale si arriva a vedere soltanto il frutto marcio, il triste risultato, lo schiavo reso ormai schiavo da molto tempo. Ogni anno mezzo milione di nuove donne è immesso nei paesi dell’Europa occidentale. Il litorale Domitio è diventato uno snodo fondamentale, e chi ha consentito tutto questo era sin dal principio consapevole dei profitti ricavati senza alzare un dito. Ormai è chiaro che senza il business della prostituzione non esisterebbe alcun traffico internazionale di stupefacenti, e di conseguenza nessun tipo di spaccio al minuto lungo la Domiziana: gli investimenti del primo vanno ad irrorare il mercato del secondo. I particolari dell’operazione “Viola”, portata avanti dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, forse rendono l’idea: il 20 aprile scorso i carabinieri del Ros hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 62 indagati responsabili di associazione finalizzata alla tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione e traffico internazionale di stupefacenti. Nel corso delle indagini sono stati arrestati in flagranza 49 corrieri, con il complessivo sequestro di 60 chili di eroina e 120 chili di cocaina. I provvedimenti hanno interessato Castelvolturno, il Lazio, il Piemonte, l’Emilia Romagna, l’Umbria, La Lombardia, la Nigeria, La Turchia, la Bulgaria, l’Olanda, la Colombia e il Perù. Per la prima volta sono stati accertati i collegamenti tra i network nigeriani ed i narcotrafficanti colombiani. Si tratta di indagini avviate dai carabinieri nel febbraio 2007 in stretta cooperazione con la polizia olandese, nei confronti di un network transnazionale di matrice nigeriana, responsabile della tratta di centinaia e centinaia di donne provenienti dal paese di origine ed introdotte illegalmente negli stati dell’area Schengen per essere sfruttate sessualmente. La base operativa era Castelvolturno. Le indagini hanno anche accertato come il finanziamento della tratta avvenisse attraverso il traffico internazionale di cocaina ed eroina. La distribuzione del narcotico veniva affidata a gruppi di connazionali attivi in particolare a Torino, Brescia, Padova, Verona, Roma e Napoli. Ecco perché non bisogna guardare più soltanto il litorale, ma dentro le sue viscere, al di là della realtà visibile, oltre quei corpi seminudi, in quei dieci chilometri di pineta abbandonata e distrutta, attraverso quella strada tagliata di netto tra le campagne ed il mare, quella feccia di mare. Bisogna guardare altrove. Intanto Il 18 aprile, due giorni prima dell’operazione dei Ros, oltre diecimila persone, tra migranti e rifugiati, studenti e associazioni antirazziste, sindacati e movimenti, hanno manifestato dalla Domiziana a Castelvolturno, nell’anniversario della strage degli immigrati africani del 18 settembre scorso.
Cambia la luce, cambiano le forme, cambia la geometria abusiva di questa strada statale. Il buio s’infittisce e gli spiragli si affievoliscono. E più mi inoltro verso Mondragone, più mi sento sprofondare. Una catabasi infinita: Lago Patria Ischitella Lido Castel Volturno Pescopagano Le Morelle Pineta Nuova Baia Azzurra Baia Domitia. Iniziano ad apparire puttane dalla pelle chiara. Sono dell’est. Se lo sono spartiti bene il marciapiede. Bande di albanesi violenti e “benefattrici” nigeriane dal cuore redento per grazia di pastori pentecostali con un briciolo di carisma, il giorno prima schiave, il giorno dopo carnefici unte da chissà quale mistura; hanno fatto carriera, loro. Le Madame gestiscono il ciclo della prostituzione nigeriana dal principio alla fine. Hanno il permesso di soggiorno, molto denaro per investire, corrompere, comprare e vendere ragazze, pagare estorsioni, e sono organizzate in associazioni di facciata registrate legalmente, dai nomi autorevoli: “Sweet mother”, “Supreme ladies association”, “Great Binis association”. Se una Madame tiene in pugno un’impresa composta da una ventina di donne, non è difficile calcolare i profitti settimanali. In fondo le Madame “non fanno nulla di male”, non hanno problemi con la coscienza, anzi. Questi trafficanti di marionette si sentono innocenti. Ma perché di puttane ce ne sono soltanto in questa lingua di terra e non nelle sue viscere? Le nigeriane, ad esempio, oltre al litorale Domitio sono costrette a battere pure le strade nei dintorni di Capua, Marcianise, Teverola, per poi spostarsi nelle strade periferiche dell’Italia intera. Perché non a Villa Literno, Casapesenna? Perché non a San Cipriano d’Aversa, a Villa di Briano? Frode allo stato, controllo degli apparati pubblici, gestione del ciclo del cemento, appalti, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, traffico di rifiuti tossici: c’è chi sostiene che la camorra nostrana in passato favorì lo sviluppo dello spaccio al dettaglio e della prostituzione gestita da nigeriani ed albanesi lungo il litorale Domitio per “distrarre” le forze dell’ordine, impegnate in tal modo a reprimere queste attività illecite visibili alla luce del giorno piuttosto che indagare sui traffici miliardari delle retrovie. Come se un’attività illecita di facciata riuscisse a nascondere i veri affari dei clan che comandano il territorio. Una sorta di diversivo? Non può essere così semplice. Sta di fatto che né la polizia né i militari della Folgore hanno assolutamente represso queste attività, avallando la tesi del “male necessario”. Come se fosse cosa da poco. In fondo che cosa c’è di male? Cosa vuoi che siano delle mignotte costrette a battere lungo una strada di periferia? “Sai quanti stupri e quante violenze sessuali alle donne in più ci sarebbero se non ci fossero loro a far sfogare il branco?”
Castel Volturno. 23 Aprile 2009
*Questo racconto-reportage è già apparso su Nazione Indiana il 6 maggio 2009.
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