giovedì 25 settembre 2008

Tutto, ma da un'altra parte


Tutto. Tutto deve essere da un'altra parte. I sogni, la vita, il futuro, le idee, le energie, la felicità, le prospettive, i pensieri, le soluzioni. Altrove, da un'altra parte. Qui, rimangono i problemi, le insoddisfazioni, gli ostacoli, le barriere, la polvere mai smossa. Qui niente, o quasi.

Altrove tutto deve essere in un altro modo, tutto deve essere diverso. Altrove posso trovare e provare tutto, o quasi. Posso trovare tutto quello che nuovamente cerco. Una vita resa libera e leggera, da me. Un mondo da straniero, da viaggiatore, di vacanza, un mondo da scoprire, bello e sconosciuto. Un mondo dai sensi più affilati, particolari da cogliere lì dove si vuol cogliere, lì dove occhi stanchi non vedono più. Occhi non coinvolti, cristalli ancora non impressionati, specchi di un'anima ancora non impregnata osservano lo scorrere di esistenze terze, di estranei che dalla distanza di un sipario trasformano le proprie tragedie quotidiane in un' affascinante commedia di vita.

Una distensione permanente allungata dalla distanza mentale minimizza i problemi del quotidiano, e allora quella che è una vita non molto diversa, diventa speciale, più ricca, più appagante. Per un senso di nuovo, continuo entusiasmo, per una gioia infantile, piena irresponsabilità, che porta a prendere solo le cose migliori dimentichi di tutto il resto che sta anche dall'altra parte, o quasi.

Calvino in qualità di esule volontario a Parigi ha scritto "il luogo ideale per me è quello in cui è più naturale vivere da straniero", in parte aveva ragione, ma stranieri, per quanto ancora?

Piccole cose che non hanno più importanza, altre che acquisiscono un'importanza fondamentale, ciò che avevamo sempre trascurato torna prepotentemente agli occhi. Al ritorno vedi per la prima volta lo squallore di una strada, sfondi di montagne divorate, sporcizia, bruttezza, illogicità, fantasmi che ululano con rabbia che fa anch'essa il suo ritorno, sentimenti forti che tornano assieme alla bellezza mai notata prima, alle potenzialità, agli stupri avvenuti, alle occasioni mancate. La povertà di emozioni che accompagnava questi luoghi scompare, il risentimento prende il suo posto accanto alla voglia di futuro, all' aspettative, all' impegno.


Piccole cose ingigantite o annullate dalla ripetitività, lamenti comuni del quotidiano altrove sono dimenticati, ma finiscono in sordina anche al ritorno.
Allora lì dove la vita non pone grosse differenze, siamo noi ad introdurle, ad evitarle, ad ometterle, a rendere la vita più speciale. Tutto ciò a cui siamo indifferenti, da cui siamo irritati, annoiati, infastiditi e delusi, altrove cambia, sensibili a cose che qui non apprezziamo o non avremmo apprezzato, qui ma non altrove. Tutto deve stare da un'altra parte quando si tiene sottochiave la propria anima, la si deruba, la si detiene, la si incarcera nei luoghi da cui proveniamo.

Allora sta a noi cercare le chiavi per liberare le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre insoddisfazioni, le nostre visioni. Per risvegliare dal sonno polveroso la nostra coscienza, il nostro essere, la nostra imprevedibilità, per esprimere quel che di meglio concede la libertà, ovvero quello che ancora non immaginiamo di poter fare.

Tutto, o quasi, può stare da un'altra parte.
Tutto o quasi deve stare proprio lì, da dove proveniamo, tutto o quasi può essere rivisto, tutto o quasi può essere cambiato con la forza di tornare, la voglia di vivere qualcosa che si senta come proprio. La voglia di dormire tranquillamente, la voglia di sentirsi realizzati, completi, soddisfatti, e non esuli, non emigrati, non fuggiti. La voglia di camminare a testa alta, la voglia di parlare, di spiegare e capire, la voglia di trovare. Ritrovare il punto da cui si era partiti, dare un senso al percorso fatto oltre che una direzione, la voglia di segnare la bussola che è stata utilizzata, la voglia di sentirsi ancora bene nel centro che fu del proprio mondo.
Ritrovare le origini, ma non solo, realizzare un impegno anche. Utilizzare le energie adesso, soprattutto. Con intelligenza, con la penna, con pragmatismo, misurando il tempo, rispettando le fasi, assecondando le proprie scelte. Non fuggire più, per tornare a cavallo laddove si andava solo a piedi.

Non tutto deve stare da un'altra parte, c'è qualcosa che non si può trovare altrove. Il senso. Il senso di un percorso lo si può capire, apprezzare, solo tornando, restando, resistendo, cambiando. Provandoci, senza diventare martiri, ma nemmeno finire così come abbiamo cominciato, se non pure peggio. Tutto o quasi, da questa parte.

domenica 21 settembre 2008

Il Buffone triste




"Non è il nome che fa la differenza, è la persona che la fa", Pietro potrebbe essere unico, e lo è a modo suo, ma è anche emblematico. Emblema di un giovane a cui i confini natii, gli amici di sempre iniziano a non bastare più, o meglio, già da un bel po' non sono più sufficienti.

Pietro è l'emblema dell'anima che necessita di muoversi per cogliere la vita, da troppo tempo sta fermo, ha bisogno di scosse, di intensità, come già dissi a proposito di Philip, necessita di divenire per poter essere. Insomma in poche parole necessita di cambiamento, di rimettersi in discussione, di una danza derviscia, di perdere i punti di riferimento, di allargare i pilastri della sua quotidianità trasformartisi in sbarre.

Pietro è emblematico perché rappresenta una generazione pronta a fare del mondo la propria casa, pronta a mescolarsi, confondersi, mascherarsi, annullarsi per poi ricrearsi. Una generazione che vive di grossi centri metropolitani, piccole isole interconnesse, porti e ponti sempre aperti ai migranti globali. Il processo di omologazione, accanto a quello di globalizzazione, da tanti paventato, mostra il suo lato peggiore, quello che tutti vorrebbero fuggire, proprio nei piccoli centri soffocanti, dove il simile, il normale diviene sinonimo di grigio, sciapo, meccanico, ripetitivo, vuoto.

Mentre Pietro è alla ricerca di qualcosa che sia normalmente nuovo, normalmente diverso. Allora quando non si riesce più a trovare energia dentro di noi, quando le routines ci hanno assopito, è giusto svegliarsi con aria frizzante, sgranare gli occhi per imparare il nuovo circondario. E' giusto partire.

Allora muoversi anche per vivere, viaggiare anche per divenire, immergersi nella realtà e filtrarla anche a costo di una visione parziale, relativa, cioè umana. Muoversi e riflettere, perdersi e ritrovarsi, essere in una piena incertezza anziché in una vuota sicurezza.


Il Buffone triste

di Pietro Fusco



"Salve a tutti. Evito le presentazioni, ho lasciato ad Alessandro questo arduo compito, sarà lui ad incastonarmi nelle categorie di questo blog.

Io chi sono? Sono Pietro.
Ma forse non è giusto rispondere "sono Pietro", anche perché non è il nome che fa la differenza, è la persona che la fa.
Mi trovo qui a scrivere per il mio burrascoso stato d'animo di questo ultimo periodo. Eh sì, perché sono un'anima in pena. Sono un'anima "on the road" troppo tempo ferma ai box.

Negli ultimi anni la routine ha fatto da padrone nella mia vita. Anni e anni non proprio con le stesse cose, ma con le stesse preoccupazioni. Svegliarsi la mattina e sentire che rispetto a un giorno prima non è cambiato nulla e che rispetto a quello successivo non saremo diversi. Pensare che tutto sommato le emozioni di oggi non avranno nulla di nuovo e forse non si potranno nemmeno definire emozioni.

Ho 24 anni, non sono un cosiddetto "uomo di mondo", ma ne ho sempre avuto la testa.
Vivere come chiunque non fa per me, io sono fatto per svegliarmi (non per forza la mattina) e sentire che l'oggi non so cosa mi riserva.
Si faccia ben attenzione, però. Non voglio essere uno scansafatiche.
Essere una scansafatiche e fossilizzarmi in questo comporterebbe comunque routine.
La mia vita è stanca di tutto ciò. Il mio pensiero è sempre altrove. Sogno di viaggiare, sogno di essere ogni volta in un posto diverso, accerchiato da persone nuove, da nuovi PERSONAGGI.
Voglio essere accerchiato da EMOZIONI. Sono queste quelle che mancano, le emozioni. Emozioni intese come passioni. Voglio vivere il mondo, voglio vivere i luoghi, voglio vivere la gente.
Ogni giorno qualcosa di nuovo, ogni giorno qualcuno di nuovo; non sapere cosa ti capiterà e soprattutto perché. Non dover dar conto a nessuno delle tue azioni, non doverti giustificare. Avere una propria etica e vivere in base a quella. Considerare l'intero globo come un unico grande paese, dove muoversi e confrontarsi, dove viaggiare e vivere.
Io amo la vita, io sono la vita. Una vita on the road. Come diceva Kerouac "l'importante non è dove si vada, l'importante è viaggiare". Io non voglio avere un punto d'arrivo, sarebbe una sciocchezza. Sarebbe partire solo per avvicinarsi a una diversa routine,
io voglio andare per non sapere dove andare. Decidere secondo dopo secondo... giorno dopo giorno...

Mi piace ridere, scherzare e burlare questa vita. Tuttavia di questa vita poco c'è di cui compiacersi a tirare le somme.... ma si sa, a volte è meglio ridere che piangere. Meglio ridere e far ridere."

venerdì 19 settembre 2008

domenica 7 settembre 2008

La spiritualità


La porta di una moschea è sempre aperta, non chiude mai, la notte come il giorno è buono per pregare, meditare, avvicinare se stessi. Il tempo è soggettivo, dilatato, dieci minuti per le genuflessioni, ore passate all'ombra di una colonna, nessuno impone orari, la mente si rilassa e il silenzio assorbe.

Intervalli di calma scanditi da richiami giornalieri, l'invito alla preghiera, il buon musulmano è tenuto ad andare cinque volte al giorno. Il Venerdì c'è il sermone, e la moschea è sempre piena, è il vero giorno della preghiera, è il giorno della funzione e mi trovo ad ascoltare le parole dell'imam. Se la prende con la società moderna dei consumi e il decadimento morale, parole non molto lontane, non tanto estranee, da quelle di un qualsiasi prete alle prese con il sermone domenicale. La folla aumenta, gruppi di vecchietti si aggregano ai lati e negli spazi anteriori della moschea. La meditazione e il silenzio sono rotti dall'avvicendarsi dei fedeli per la preghiera del Venerdì. Ci si saluta, ci si siede tra gli amici, si aspetta l'inizio della funzione. La moschea è anche questo, soprattutto questo, un luogo di incontro, di sosta, di riferimento.



Penso a quanta incomprensione ci sia in Italia, quanto provincialismo. Penso con stizza al dibattito sull'opportunità di costruire moschee in Italia, alla protesta di un gruppo di immigrati musulmani di un paesino del trevigiano, Villorba, che pregano all'aperto in un parcheggio, allo scetticismo nato dalla paura di fornire un luogo di incontro, alla rabbia e frustrazione dei musulmani in Italia a cui è ostacolata la libertà di culto. Penso a come si sentirebbero se venisse meno un luogo così importante della loro quotidianità.
Un luogo se vissuto continuamente non è solo uno spazio fisico, concorre a formare la propria identità legata ai luoghi in cui possiamo vivere le nostre emozioni, manifestare la nostra cultura, il palo attorno al quale girare, il metro della distanza dei propri cammini di vita, dà il senso della misura, metro e tara al tempo stesso. Penso al senso di alienazione che si possa provare all'estero, da immigrato, alla rabbia di essere catalogati come violenti e malintenzionati per la semplice voglia di incontrarsi in maniera non conforme a quella dei paesanotti padani. Penso alla stupidità del sindaco di Treviso, agli amministratori della Lega Nord che arrivano a vietare la "moschea" nei regolamenti urbanistici dimenticando l'articolo 8 della Costituzione e la libertà di culto.


Penso alle persone che si svegliano a notte fonda per rispettare il Ramadan, agli orari invertiti, all' esigenza che solo tu senti, estranea alla società in cui sei ospite e che non ti rispetta, alienato in un contesto che rifiuta qualsiasi comprensione.
Penso alle stupide analisi fatte dai nostri media e dai nostri politici, interpreti del sentimento popolare, penso alla distanza, al pregiudizio e all'ignoranza verso questo mondo. Un mondo dietro casa, a portata di mano, che bussa alle nostre porte e di cui vengono disattese le speranze di dialogo.

La moschea è piena, uomini scalzi senza distinzioni e gerarchie, tutto ricorda la pace, anche l' accoglienza fattami di sorrisi durante la preghiera del Venerdì infonde calma e benevolenza, non scacciato dalla funzione ne divento parte, accettato da una cultura della fratellanza osservo questi figli d'uomini che non lasciano spazi vuoti tra loro, genuflessioni all'unisono, spalla a spalla affinché nessuno si senta escluso.

I tappeti morbidi ricordano casa, mi guardo i piedi nudi poggiato all'indietro sulle braccia , le dita sprofondano tra le setole, alzo la testa, penso che sotto un lampadario ed una struttura priva di centro, il centro torni ad essere tu, in un luogo orizzontale di pace, in assenza di gradini dai quali erigersi, la semplicità fa il suo capolinea, in una moschea che è anche casa, rifugio e serenità. Penso che un luogo pregno di spiritualità non debba necessariamente indurti ad un'estasi mistica, non devo necessariamente sentirmi più vicino a Dio, ma nell'avvicinarmi alle emozioni degli altri, nella comprensione raggiungo il mio innalzamento spirituale, la mia ascesi, nell'empatia manifesta degli sguardi e del corpo ho la soluzione del cruciverba che tesse i significati d'identità e cultura.