giovedì 6 marzo 2008

Camera con vista


“Coloro che durante gli anni di scuola ci avevano insegnato che il Bosforo era la chiave della conquista di tutto il mondo, il cuore geopolitico della terra e per questo motivo tutte le nazioni e tutti gli eserciti, specialmente i russi, volevano conquistare il nostro Bosforo, be’ avevano ragione.

Dopo l’infanzia, ho abitato sempre su una collina che vedeva e controllava da lontano, tra i palazzi, le cupole e le colline, il Bosforo. Proprio per questa esigenza spirituale di vedere, anche se da lontano, lo stretto, nelle case di Istanbul la finestra che si affaccia sul mare è come la mihrap nelle moschee, la nicchia che indica la direzione della Mecca - come l’altare nelle chiese e nelle sinagoghe - , e nei soggiorni le poltrone, i divani, le sedie e il tavolo sono sempre orientati verso il mare. E questa disposizione è alla base di quell’immagine di Istanbul che si può vedere da una nave che sta entrando nel Bosforo dal Mar di Marmara, formata da milioni di avide finestre che si ostruiscono reciprocamente la vista, mettendosi spietata una davanti all’altra, aperte a spiare le imbarcazioni e lo stretto.

Quando iniziai a condividere questa mia ansiosa abitudine con le altre persone, venni a sapere che contare le navi che passavano dal Bosforo non era soltanto una mia stranezza, ma era la consuetudine di molti abitanti di Istanbul simili a me, di diverse età, che davano un’occhiata dalla finestra e dal balcone allo stretto e contavano le navi per capire se i disastri, la morte o i grandi sconvolgimenti erano in arrivo o meno, mentre scorreva la loro vita quotidiana. Ad esempio avevamo un parente lontano che abitava in una casa, con vista sul Bosforo, in collina a Serencebey, vicino a Besciktasc dove avremmo traslocato anni dopo anche noi, il quale si era preso l’impegno di annotare su un quaderno le navi che passavano di lì. E un mio compagno delle superiori affermava che ogni strana imbarcazione che vedeva – vecchia, arrugginita e a pezzi, e di cui non si capiva il paese d’origine – portava segretamente armi ad un certo gruppo di ribelli in Unione Sovietica, o avrebbe sconvolto i mercati internazionali per il petrolio che aveva con sé.

Queste manie possono essere considerate le conseguenze di una cultura pretelevisiva in cui guardare dalla finestra e distrarsi era un passatempo importante. È possibile anche ritenerle il prodotto secondario del piacere illimitato di osservare il panorama del Bosforo. Ma dietro alla passione di contare le navi e alle fissazioni di questo genere di molti altri miei conoscenti, c’è un’altra paura che la gente di Istanbul si porta dentro: la trasformazione della loro città, che un tempo filtrava la ricchezza di tutto il Medio Oriente, in un posto misero e triste, desolato e pieno di rovine a causa delle guerre che l’impero ottomano ha intrapreso con l’ Occidente e la Russia.


Questo mutamento ha reso gli abitanti di Istanbul introversi e nazionalisti, continuamente sospettosi degli stranieri, dei luoghi lontani, degli occidentali e, alla fine, di tutte le novità e di tutto ciò che reca un impronta straniera. Inoltre quelle persone, proprio come me da piccolo, non sono riuscite a levarsi il timore dei disastri che potevano sconvolgere la loro città da un momento all’altro, la paura di sconfitte e rovine nuove, e questo per centocinquant’anni”. *



*Orhan Pamuk, Istanbul


3 commenti:

clickclick ha detto...

ATTENZIONE NON CLICCATE Lì, TRATTASI SICURAMENTE DI VIRUS!!!!

Unknown ha detto...

ma uffa! Che brutto modo di rovinare la bella poesia di queste foto! Anyway, ok, nessuno clicchera' li', pero' le foto restano belle e il profumo di Istambul gia' arriva fino a qui (pare mille anni....)*

Anonimo ha detto...

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