domenica 4 novembre 2007

La ricerca del viaggiatore


Si guardò attorno come se vedesse per la prima volta il mondo. Bello era il mondo, variopinto, raro e misterioso era il mondo! Qui era azzurro, là giallo, più oltre verde, il cielo pareva fluire lentamente come i fiumi, immobili stavano il bosco e la montagna, tutto bello, tutto enigmatico e magico, e in mezzo v’era lui, Siddharta, il risvegliato, sulla strada che conduce a se stesso (Hesse, 1969, p. 75).


Come disse Goethe, “in ogni distacco c’è un germe latente di follia”. Infatti la domanda è legittima: perché privarsi di tutte le certezze e sicurezze che si hanno per andare incontro ad una situazione che, sicuramente prima o poi, ci troverà impreparati e a disagio? Perché abbandonare il nostro “nido” accogliente, la nostra “oasi di pace”, alla ricerca dell’ignoto, ricerca che dovrà obbligatoriamente passare attraverso ostacoli ed insidie? Perché l’uomo, da sempre, nel momento in cui si sente particolarmente a suo agio in un luogo, inizia a bramare di trovarsi altrove?

La risposta si può forse trovare pensando che l’uomo è innanzi tutto un essere dalla spiccata curiosità, che ha bisogno di cercare, capire, investigare, porsi domande insolubili e magari spendere gran parte della sua vita nella vana ricerca delle risposte:


È così che l’uomo ha sempre fatto, mi dicevo. Ha sperato che lontano da , in un altro luogo e in un altro tempo, ci fosse la chiave per aprire la porta di tutti i segreti. (...) E ogni tanto qualcuno, a rischio di tutto, si è messo in cammino a cercare. Per questo in ogni civiltà c’è il mito del viaggiatore-eroe; il figlio degli dei che si perde e torna, prodigo, dopo un lungo peregrinare (Terzani, 2004, p. 197).


Il viaggio, in quanto metafora dell’esistenza umana, racchiude la quinta essenza dell’uomo insoddisfatto delle certezze acquisite e desideroso di acquisirne di nuove.

[Il viaggiatore] è una persona che come molte altre cerca di capire, tramite le esperienze, il senso della sua e delle altrui esistenze. Nessun livello di comprensione e conoscenza lo appaga completamente, in quanto si rende conto che il sapere è talmente vasto ed infinito da non poterlo cogliere nel tempo di una sola vita. [..] Non accetta dogmi, né conclusioni definitive. Quando si sente ormai tranquillo, vuol dire che è arrivato il momento di riprendere il cammino interno ed esterno.

[..] Questa ricerca incessante tocca livelli diversi di comprensione. Ma ogni tipo di spostamento e di viaggio ne produce certamente una:


Solo molto lentamente cominciamo a prendere in considerazione il fatto che durante il viaggio noi stessi cambiamo a ogni passo, con ogni immagine che ci viene presentata in qualche commento casuale mentre giorno per giorno apprendiamo la lingua, e dei suoni e dei gesti senza senso cominciano a risolversi in elaborate strutture di comportamento (Mead, 1977, p. 24).


[..] Da questo momento in cui il mondo circostante parve disciogliersi intorno a lui, in cui egli rimase abbandonato come in cielo una stella solitaria, da questo momento di gelo e di sgomento Siddharta emerse, più di prima sicuro del proprio Io, vigorosamente raccolto. Lo sentiva: questo era stato l’ultimo brivido del risveglio, l’ultimo spasimo del nascimento. E tosto riprese il suo cammino, mosse il passo rapido e impaziente, non più verso casa, non più verso il padre, non più indietro (Hesse, 1969, . 78).

Il viaggio, sia nel caso che si svolga in compagnia, sia che si svolga da soli, è innanzitutto un modo per relazionarsi con se stessi. Già il coraggio di andare distingue coloro che vogliono osare da coloro che temono di rimettersi in discussione:

Perché in definitiva sentirsi mobili, disancorati, erranti significa tentare d’indagare la “belva attenta e funesta” annidata dentro la temporalità. E dunque dentro ciascuno di noi. È una strategia per affrancarsi dalle anomalie e dalle perversioni del tempo. E ancora: ciò che spinge le soggettività verso l’erranza è il bisogno di sfuggire all’abitudine e alla noia, anche attraverso esperienze liminari ed estreme (... ) alla ricerca di qualcosa di nuovo (Giordano, 2005, p. 81).


[..] il viaggiatore diventa o potenzialmente potrebbe assumere un’entità ambigua, svincolata da tutto e da tutti, enigmatica, ibrida. La sua identità rimane vaga, a meno che essa non diventi un tutt’uno con l’immagine stereotipata del viaggiatore stesso.

[..] Il momento in cui si percepisce di essere materia plastica, pronta per essere plasmata, è un istante di pura adrenalina che fa sentire ebbri ed impulsivi. Ci si lascia trasportare e si compiono azioni che mai prima d’ora si sarebbe pensato di poter compiere. Questo è uno di quegli istanti in cui si prova una gioia incondizionata, spensierata. Felicità allo stato puro, senza vincoli e senza certezze. La felicità che, anno dopo anno, spinge costantemente a reiterare l’esperienza del viaggio.***



*** dalla tesi di Micol Rosso "Il neo-nomadismo nell'era globale: viaggiatori del XXI secolo"


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