giovedì 29 novembre 2007

Sull' amore


Sull'amore
Allora Almitra disse: parlaci dell'Amore.
E lui sollevò la stessa e scrutò il popolo e su di esso calò una grande quiete.
E con voce ferma disse:
Quando l'amore vi chiama, seguitelo.
Anche se le sue vie sono dure e scoscese.
E quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a lui.
Anche se la sua lama, nascosta tra le piume vi può ferire.
E quando vi parla, abbiate fede in lui,
Anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni come il vento del nord devasta il giardino.

Poiché l'amore come vi incorona così vi crocefigge. E come vi fa fiorire così vi reciderà.
Come sale alla vostra sommità e accarezza i più teneri rami che fremono al sole,
Così scenderà alle vostre radici e le scuoterà fin dove si avvinghiano alla terra.
Come covoni di grano vi accoglie in sé.
Vi batte finché non sarete spogli.
Vi staccia per liberarvi dai gusci.
Vi macina per farvi neve.
Vi lavora come pasta fin quando non siate cedevoli.
E vi affida alla sua sacra fiamma perché siate il pane sacro della mensa di Dio.

Tutto questo compie in voi l'amore, affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore e
in questa conoscenza farvi frammento del cuore della vita.
Ma se per paura cercherete nell'amore unicamente la pace e il piacere,
Allora meglio sarà per voi coprire la vostra nudità e uscire dall'aia dell'amore,
Nel mondo senza stagioni, dove riderete ma non tutto il vostro riso e piangerete,
ma non tutte le vostre lacrime.

L'amore non dà nulla fuorché sé stesso e non attinge che da se stesso.
L'amore non possiede né vorrebbe essere posseduto;
Poiché l'amore basta all'amore.

Quando amate non dovreste dire" Ho Dio nel cuore ", ma piuttosto, " Io sono nel cuore di Dio". E non crediate di guidare l'amore, perché se vi ritiene degni è lui che vi guida.

L'amore non vuole che compiersi.
Ma se amate e se è inevitabile che abbiate desideri, i vostri desideri hanno da essere questi: Dissolversi e imitare lo scorrere del ruscello che canta la sua melodia nella notte.
Conoscere la pena di troppa tenerezza.
Essere trafitti dalla vostra stessa comprensione d'amore,
E sanguinare condiscendenti e gioiosi.
Destarsi all'alba con cuore alato e rendere grazie per un altro giorno d'amore
Riposare nell'ora del meriggio e meditare sull'estasi d'amore;
Grati, rincasare la sera;
E addormentarsi con una preghiera in cuore per l'amato e un canto di lode sulle labbra.



Kahlil Gibran

Io sono innamorato


giovedì 15 novembre 2007

Io sono Ina


Io sono tempo


Io ho riconquistato il tempo. Non un tempo qualsiasi, ma il mio tempo. Sebbene possa sembrare il contrario, il tempo non è universale, non è unico e non è immutabile. Nelle infinità dello spazio non esistono due tempi uguali e nemmeno un unico tempo.


Tempo. Einsten capì che non bastava dire "io sono qui", ma "io sono qui, adesso". Lo spazio rappresenta la dimensione sulla quale camminiamo all'interno della dimensione tempo. Per lungo tempo spazio e tempo grossomodo sono coincisi, poi è nata la modernità:

"allorché spazio e tempo vengono disgiunti tra loro e dall’esperienza di vita quotidiana, diventando in tal modo teorizzabili come categorie distinte e indipendenti di strategia e azione; allorché cessano di essere, come avvenuto nei lunghi secoli premoderni, gli aspetti interconnessi e dunque a mala pena distinguibili dell’esperienza di vita, racchiusi in uno stabile e apparentemente invulnerabile rapporto diretto (Bauman, 2000, p. XIV)".


Siamo riusciti a scindere lo spazio dal tempo, eludendo quest'ultimo, istantaneizzando le azioni, il mito della velocità è stato già superato dal mito della istantaneità, nell'idea di non poter fermare il tempo, ma solo renderlo più produttivo. La relatività non può esistere senza il tempo, e quest'ultimo non è altro che un aspetto relativo della nostra esistenza.


L’istante in cui il genere umano è riuscito a raggiungere un accordo per creare un tempo unitario accettato a livello mondiale, intendendo con “tempo unitario” quel “qualcosa che accade tra due punti”, ha dimostrato che nonostante tutte le elucubrazioni del passato, il tempo è un artificio umano creato per le nostre esigenze e per semplificarci l’esistenza (McLuhan, 1964, p. 155).



Abbiamo superato l'intangibilità della sfera temporale tramite un artificio, regolandoci con giorni, ore, minuti, secondi, frazioni unitarie di quel che succede in due momenti diversi, un modo per definire quel che succede tra un inizio e una fine, non potendo coglierne l'essenza, o meglio non potendo misurarne l'essenza. Il tempo è un artificio umano per spiegare le nostre evoluzioni, forse Dio è il tempo.


Il mio viaggio allo stesso modo, è stato definito da un inizio e una fine, il viaggio come il minuto, quel che accade tra due momenti diversi. Un processo di cui è difficile cogliere l'essenza, ma nonostante tutto ho preferito soffermarmi sul processo, sul tempo. Ho rigettato la compressione dello spazio durante il viaggio, avrei potuto velocizzare l'attraversamento spaziale tentando di annullare il tempo. Ma io mi sono ripreso il tempo, l'ho dilatato, rivissuto , non solo attraversato. Durante il viaggio le mie azioni sono coincise con il mio tempo, c'è stata coincidenza tra me e il tempo. Io sono diventato tempo. Un processo durante il quale sono diventato libero, ricco, di tempo e quindi di me.



"La velocità che è una virtù genera un vizio che è la fretta"


mercoledì 14 novembre 2007

Il viaggio di Yoshi


Yoshi è una di quelle perle, alla Flavien, che ti capita di incontrare non spesse volte nei tuoi viaggi di vita




Linea nera: 1° viaggio, stroncato una notte a colpi di coltello


Linea rossa: 2° viaggio, il continente euro-asiatico est-ovest

domenica 4 novembre 2007

Io sono Yoshi


L'apertura è l'unica condizione possibile se si vuole vivere mentre si attraversano 24 paesi diversi, è la condizione sine qua non per la sopravvivenza. Un contadino giapponese decide così di mettersi in discussione a tutti i costi. Un primo tentativo tre anni fa, culminato in una rapina, un'aggressione, accoltellate alla schiena e un volo da un pullman in corsa nel pieno della notte in Bangladesh. Un anno per riprendersi in cui la voglia di ripartire monta man mano che le cicatrici si rimarginano.


Un anno e tre mesi fa si riparte: Taiwan, Cina, Nepal, Bangladesh, India, Pakistan, Iran, Turchia, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Germania, Olanda, Francia, Italia; dopo aver già attraversato tre anni prima Russia, Mongolia, Cina, Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia, Malesia, Indonesia, Birmania, Nepal, India, fino all'incidente in Bangladesh. Nonostante l'aggressione si riafferma che l' apertura è l'unica condizione possibile, non sufficiente, ma necessaria.


Una condizione in cui la fiducia è l'elemento per calmierare l'apertura verso il prossimo, per continuare. Un viaggiatore e uno straniero non si possono concedere il lusso della chiusura, al prezzo di diventare un semplice turista, un consumatore indifferente che per questo riceve indifferenza reciproca. Un viaggiatore non può vivere di stereotipi alimentarli. Il suo è un processo di scoperta continuo, in cui i pregiudizi e gli stereotipi non possono che essere superati e sostituiti nella ricerca stessa. Nulla è stabilito, nulla è confermato, c'è solo da riconfermare continuamente la propria persona, la propria identità. In un processo che ci trasforma continuamente si sente il bisogno di vivere il momento, il giorno. Io sono adesso, Io sono oggi.


Io sono una delle persone fortunate che ha incontrato Yoshi durante il suo lungo viaggio.Un anno e tre mesi fa Yoshi partiva dal Giappone, lasciava la sua risaia per percorrere in direzione est-ovest, solo con mezzi di terra, il continente euro-asiatico. Un viaggio lungo in cui ha avuto la possibilità di reinventarsi, riscoprirsi e riconfermarsi ad ogni passo, dall'autostop nel deserto del Gobi agli altopiani del Tibet, dalle vette del mondo al mangiare insetti fritti in Cambogia, dalle fabbriche d'armi in Pakistan al fumare oppio e basare cocaina in Iran, fino all'arrivo in Europa con i suoi eccessi di alcool. Un viaggio di mille colori e mille volti, in cui anche la propria persona diventa mutevole e variopinta, adagiandosi sui mille letti improvvisati e in cui l'io e il luogo lasciano posto ad un lungo presente.

Io sono adesso, Io sono l'ebbrezza di andare; senza direzione, senza guida, senza alcuna pressione o indicazione, l' ebbrezza di definire la strada alla fine del percorso, l'ebbrezza di scoprire cammin facendo, di essere nessuno e centomila, essere nel presente, dilatare il tempo per scoprirsi allora vivi quando ci si è fermati. Io sono libero dal tempo e dallo spazio. Io sono la sensazione di vivere la pienezza di un luogo nell' attraversare le mille vite altrui.

Adesso, Io sono la consapevolezza di volere un luogo in cui vivere avendo costruito un nuovo io che mi dia il tempo. Io ho capito dopo questo lungo viaggio, dopo aver vissuto mille vite, di voler vivere la mia vita adesso. Un viaggio circolare di auto affermazione in cui l'arrivo è stato se stessi. Io sono Shirahata Yoshimasa e sto tornando a casa.



La ricerca del viaggiatore


Si guardò attorno come se vedesse per la prima volta il mondo. Bello era il mondo, variopinto, raro e misterioso era il mondo! Qui era azzurro, là giallo, più oltre verde, il cielo pareva fluire lentamente come i fiumi, immobili stavano il bosco e la montagna, tutto bello, tutto enigmatico e magico, e in mezzo v’era lui, Siddharta, il risvegliato, sulla strada che conduce a se stesso (Hesse, 1969, p. 75).


Come disse Goethe, “in ogni distacco c’è un germe latente di follia”. Infatti la domanda è legittima: perché privarsi di tutte le certezze e sicurezze che si hanno per andare incontro ad una situazione che, sicuramente prima o poi, ci troverà impreparati e a disagio? Perché abbandonare il nostro “nido” accogliente, la nostra “oasi di pace”, alla ricerca dell’ignoto, ricerca che dovrà obbligatoriamente passare attraverso ostacoli ed insidie? Perché l’uomo, da sempre, nel momento in cui si sente particolarmente a suo agio in un luogo, inizia a bramare di trovarsi altrove?

La risposta si può forse trovare pensando che l’uomo è innanzi tutto un essere dalla spiccata curiosità, che ha bisogno di cercare, capire, investigare, porsi domande insolubili e magari spendere gran parte della sua vita nella vana ricerca delle risposte:


È così che l’uomo ha sempre fatto, mi dicevo. Ha sperato che lontano da , in un altro luogo e in un altro tempo, ci fosse la chiave per aprire la porta di tutti i segreti. (...) E ogni tanto qualcuno, a rischio di tutto, si è messo in cammino a cercare. Per questo in ogni civiltà c’è il mito del viaggiatore-eroe; il figlio degli dei che si perde e torna, prodigo, dopo un lungo peregrinare (Terzani, 2004, p. 197).


Il viaggio, in quanto metafora dell’esistenza umana, racchiude la quinta essenza dell’uomo insoddisfatto delle certezze acquisite e desideroso di acquisirne di nuove.

[Il viaggiatore] è una persona che come molte altre cerca di capire, tramite le esperienze, il senso della sua e delle altrui esistenze. Nessun livello di comprensione e conoscenza lo appaga completamente, in quanto si rende conto che il sapere è talmente vasto ed infinito da non poterlo cogliere nel tempo di una sola vita. [..] Non accetta dogmi, né conclusioni definitive. Quando si sente ormai tranquillo, vuol dire che è arrivato il momento di riprendere il cammino interno ed esterno.

[..] Questa ricerca incessante tocca livelli diversi di comprensione. Ma ogni tipo di spostamento e di viaggio ne produce certamente una:


Solo molto lentamente cominciamo a prendere in considerazione il fatto che durante il viaggio noi stessi cambiamo a ogni passo, con ogni immagine che ci viene presentata in qualche commento casuale mentre giorno per giorno apprendiamo la lingua, e dei suoni e dei gesti senza senso cominciano a risolversi in elaborate strutture di comportamento (Mead, 1977, p. 24).


[..] Da questo momento in cui il mondo circostante parve disciogliersi intorno a lui, in cui egli rimase abbandonato come in cielo una stella solitaria, da questo momento di gelo e di sgomento Siddharta emerse, più di prima sicuro del proprio Io, vigorosamente raccolto. Lo sentiva: questo era stato l’ultimo brivido del risveglio, l’ultimo spasimo del nascimento. E tosto riprese il suo cammino, mosse il passo rapido e impaziente, non più verso casa, non più verso il padre, non più indietro (Hesse, 1969, . 78).

Il viaggio, sia nel caso che si svolga in compagnia, sia che si svolga da soli, è innanzitutto un modo per relazionarsi con se stessi. Già il coraggio di andare distingue coloro che vogliono osare da coloro che temono di rimettersi in discussione:

Perché in definitiva sentirsi mobili, disancorati, erranti significa tentare d’indagare la “belva attenta e funesta” annidata dentro la temporalità. E dunque dentro ciascuno di noi. È una strategia per affrancarsi dalle anomalie e dalle perversioni del tempo. E ancora: ciò che spinge le soggettività verso l’erranza è il bisogno di sfuggire all’abitudine e alla noia, anche attraverso esperienze liminari ed estreme (... ) alla ricerca di qualcosa di nuovo (Giordano, 2005, p. 81).


[..] il viaggiatore diventa o potenzialmente potrebbe assumere un’entità ambigua, svincolata da tutto e da tutti, enigmatica, ibrida. La sua identità rimane vaga, a meno che essa non diventi un tutt’uno con l’immagine stereotipata del viaggiatore stesso.

[..] Il momento in cui si percepisce di essere materia plastica, pronta per essere plasmata, è un istante di pura adrenalina che fa sentire ebbri ed impulsivi. Ci si lascia trasportare e si compiono azioni che mai prima d’ora si sarebbe pensato di poter compiere. Questo è uno di quegli istanti in cui si prova una gioia incondizionata, spensierata. Felicità allo stato puro, senza vincoli e senza certezze. La felicità che, anno dopo anno, spinge costantemente a reiterare l’esperienza del viaggio.***



*** dalla tesi di Micol Rosso "Il neo-nomadismo nell'era globale: viaggiatori del XXI secolo"