venerdì 25 giugno 2010

Sulle tracce di casa




Di ritorno a Mayotte dopo tre anni, le conseguenze delle onde lunghe della storia dai movimenti oramai regolari. Questa volta sono passati tre anni, la prossima forse ne passeranno di meno, la lontananza non ha tempi oggettivamente misurabili, ritorni e partenze hanno tempi propri, misurabili solo dagli stati d'animo e dai racconti di chi ha effettuato il viaggio. Tre anni lontani dall'isola, lontani dalla casa, non l'unica, ma tra quelle che più hanno segnato.

In questi anni di spostamenti ed esperienze lontane il destino del non ritorno tuttavia è stato siglato. Lo si capisce quando si torna nei luoghi vissuti con maggiore intensità, fotografie impresse nei ricordi di sempre quelli più dolci e carichi di nostalgia: i ricordi di infanzia.

Immagini di volta in volta modificate dai lievi cambiamenti che possono attraversare una piccola isola nell'Oceano Indiano. Piccoli miglioramenti che però non intaccano la visione complessiva del paesaggio, delle strade, dei villaggi. Ma in un'isola così piccola a cambiare di più, paradossalmente, è la geografia delle persone che la abitano e le amicizie che queste compongono. Proprio perché il ricambio è continuo e veloce, negli arrivi e nelle partenze, nelle nascite e nelle amicizie.

I giovani non mancano grazie ad un continuo ricambio alimentato dai numerosi francesi provenienti dalla metropòle, la Francia continentale, che arrivano per fare business, per tentare il colpo grosso, per la sistemazione della vita in un piccolo paradiso tropicale; poi ci sono tantissimi impiegati statali, su tutti gli insegnanti, anch'essi giovani, che arrivano ai primi anni della loro carriera o per far crescere i loro figli a giusto contatto con la natura. Visto l'altissimo tasso di natalità, anche grazie ai tantissimi comoriani che arrivano clandestinamente, la scuola ed il reparto di maternità possono essere considerate le principali industrie dell'isola.

Infine c'è anche chi non rientra in nessuna di queste macro-categorie, ma da anni, per errante spirito di gioventù poi stabilizzatosi negli anni vive in paesi d'oltremare francesi per passione e amore dei mari tropicali, dalla Reunion alla Martinique, un popolo indefinito di esperti marinai.

E osservando i movimenti di persone a cui è soggetta una piccola isola, simili alle partenze e gli arrivi che caratterizzano un villaggio vacanze, si concretizza l'idea di un altro stile di vita basato sui cicli abitativi: una manifestazione possibile dell'ipotesi di ciclo vitale ipotizzato da Franco Modigliani, ma applicato alle scelte di vita e alla grandezza del centro urbano in cui ci si riversa.
Un modello di vita che non imponga una scelta netta e definitiva tra città e campagna, vita urbana o armonia con la natura, lavoro o arte di arrangiarsi. Si potrebbe teorizzare un modello secondo cui ci si sposti al momento giusto per sfruttare quello che meglio può offrire un contesto in una particolare fase della vita, una maggiore vivibilità nelle città sì, ma anche una maggiore interconnessione con le campagne, e la possibilità di intercambiarle al momento necessario. Una sorta di cursus vitae naturale:

nascere e crescere nella natura, spostarsi nella media città per l'adolescenza, formarsi, lavorare e diventare un uomo nella grande città per poi tornare nella natura con i primi figli facendogli ripercorrere il percorso da capo.


Anche perchè quello che sta avvenendo è proprio questo, ma a senso unico: i giovani dei piccoli centri di qualsiasi parte del mondo crescono sino al momento in cui desiderano partire per realizzarsi in città, laddove le opportunità si creano e tutto è realizzabile. Infatti da poco si è spostato l'ago della bilancia: per la prima volta più della metà della popolazione mondiale vive in città, lasciando morire i piccoli centri non connessi, che non si sono reinventati, che hanno avuto un calo di energie vitali. Un punto di non ritorno che sta provocando una sola cosa: l'espansione delle periferie.

I paesini nel frattempo muoiono, e anche in Italia a prosperare sono le città medie: le grandi città hanno raggiunto un colpo d'arresto dopo le forti crescite di questo secolo, anzi registrano un graduale spopolamento dei suoi centri verso le aree più esterne, ma meglio connesse, di provincia o di periferia, il cosiddetto decentramento urbano che lascia centri sempre più vuoti e a rischio gentrification.

A Mayotte i bisogni dei giovani sono gli stessi dei loro coetanei nel resto del mondo, il bisogno di partire crea un forte divario con le generazioni precedenti, giovani bilingue che si sentono francesi, oltre che maoresi, lasciano dietro di sè vecchie generazioni in cui sono ancora forti i rapporti tradizionali, i vincoli familiari e religiosi.

Forse anche per questo non ho scattato nemmeno una classica foto in B&W raffigurante un africano immerso nei costumi e nelle attività tradizionali come prescriverebbe qualsiasi buon reporter dallo sguardo superficiale e folkloristico alla ricerca di immagini forti: in un'Africa che cerca di cambiare sono altre le immagini più adatte a raccontare lo stato delle cose.



Lo stato attuale è rappresentato da un scuola sempre piena di nuove leve che immaginano partenze più che ritorni. Tramonti osservati dalle finestre della propria classe che fanno sospirare e naufragi di giovani dispersi per il mondo. La casa è un dono che si riceve alla nascita, oggi pochi la conservano, molti la lasciano, ma nessuno la dimentica. La nostalgia è il sentimento di chi non riesce a tornare, il disagio accomuna chi è non è riuscito a partire.



Mayotte infatti non chiede altro che essere sempre di più Francia, essere sempre più connessa al resto del mondo, non essere lasciata a se stessa come le vicine Comore. Per questo qualche mese fa il 95% dei maoresi ha detto sì ad un referendum per diventare nel 2012 Dipartimento d'Oltre Mare, più stato francese e più opportunità, ma anche più doveri.

Pertanto tornando sui luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza ci si ricorda che il tema centrale di questo viaggio resta la casa, dove cercarla e come trovarla. La casa oggi più che in passato va scelta e costruita, anche se tutti scelgono lo stesso posto.


Il concetto di casa si sta trasformando in questi anni e non solo per esigenze di lavoro e prosperità, ma perché si formano tante case di passaggio, di amici che ti cambiano che ti trasformano. La frase di commiato con un amico lontano sempre più spesso diventa "Sappi che dove ci sono io, tu hai una casa".


Non si può mantenerle tutte, tanto meno viverle, ma nemmeno abbandonarle. Talvolta ci si nasce, altre ci si arriva, spesso la si abbandona. Tornare a casa non vuol dire trovare posti geograficamente immutati, o almeno non solo, ma ritrovare le proprie amicizie quelle che delimitano la tua identità. Perché oggi cercarsi una casa vuol dire anche costruirsi un'identità, le due ricerche sono correlate e dipendenti, non c'è l'una senza l'altra.


Per questo bisogna attentamente ponderare o ripensare i discorsi di salvaguardia culturale ed identitaria, i quali utilizzando come scudo la difesa dell'identità, della cultura, della tradizione, impongono logiche fortemente oscurantiste impedendo l'emancipazione e la presa di coscienza delle persone.

Ci sono delle cose che non dovrebbero cambiare eppure cambiano, altre che si spera di superare ma senza successo, come i rapporti tradizionali che influenzano la libertà di fare amicizia tra maoresi e francesi, le discariche a cielo aperto che bruciano costantemente rifiuti prodotti al di fuori dell'isola, la paura di essere continuamente derubati, la cultura di prendere quaranta chili al primo figlio, tassi di natalità di 8-9 figli per donna, i matrimoni combinati, l'invasione di clandestini, gli strascichi delle vecchie politiche coloniali, le donne che vendono controvoglia al mercato, ed altre che fortunatamente non cambiano, i baobab millenari al cui interno ti puoi nascondere, le tartarughe ed i delfini che puoi incrociare nelle acque calde, la barriera corallina, l'essere su un'isola senza saper nuotare.



I cambiamenti si susseguono incalzanti, inutile arroccarsi nella speranza che il proprio rifugio rimanga immutato, inutile chiudersi, meglio seguire la corrente ma iniziando ad immaginare gli attracchi. Dopo tante partenze è ora di immaginare come saranno i ritorni, prendendoci la libertà e il coraggio di costruirli secondo coscienza.



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