mercoledì 11 novembre 2009

Vivere in bianco e nero

Una vita in bianco e nero appare lontana. Lontana nel tempo come una vecchia foto tenuta stretta a due mani. Tratti di persone difficili da immaginare, da realizzare, soprattutto quando si è abituati a vivere in un mondo a colori.

Vivendo le mille sfumature del reale appare irreale un mondo così netto, senza scale di grigi, senza vie di mezzo, tutto bianco o tutto nero. Visioni monocromatiche imposte per sete di controllo mascherata da odio razziale. Una società ed un paese diviso in cui gli spazi assumono tinte uniche. Panchine per bianchi e panchine per neri, autobus per bianchi e autobus per neri, scuole per bianchi e scuole per neri, ospedali per bianchi e ospedali per neri.

Nel Sud Africa dell’Apartheid il colore della pelle era motivo di predominio della razza bianca sulle altre tre razze, quella nera, i "blacks", i "coloured", i figli meticci del paese, e gli "indians" di origine asiatica. Il paese era diviso in quattro gruppi razziali aventi disuguali diritti. Una dittatura della minoranza che non si nascondeva nemmeno dietro il paravento della democrazia, ma dietro la presunzione della superiorità razziale.

Un vero e proprio sistema schiavistico-capitalistico creato ad arte, anno dopo anno, legge dopo legge. Iniziato officialmente nel 1948, era in realtà la prosecuzione della politica di segregazione dei tempi coloniali. Semplicemente ora si procedeva alla sua formalizzazione, alla creazione dei privilegi per legge, nello stesso periodo in cui in Europa si gettavano le prime pietre per costruire uno spazio senza frontiere. Nel 1948, il primo ministro protestante Daniel Francois Malan portò alla vittoria il suo National Party grazie ad una vera e propria campagna politica basata sull’Apartheid. La segregazione. Evidentemente le ceneri europee a quel tempo erano troppo lontane. Il pericolo di chiudersi al mondo esterno.

L'inizio fu segnato dal pragmatico principio del dividi et impera: il Group Area Act. La popolazione fu divisa in quattro razze, vietati i matrimoni misti, le città ed i quartieri vennero assegnati a differenti gruppi razziali, distinte università, distinte scuole, distinte squadre sportive. Il Sud Africa si avviava a realizzare una politica quarantennale di separazione, sempre più dura e sempre più irreale.

Proseguirono negli anni '50 con una discriminazione razziale sul lavoro, levarono la cittadinanza ai neri, perseguirono le opposizioni politiche bollate come "comuniste", i bianchi sudafricani divennero magicamente il gruppo demografico più consistente essendo diventati tutti gli altri "indipendenti" dal Sud Africa. Una parvenza di legalità è sempre necessaria agli ipocriti. Dopo le dieci di sera solo i membri del White Group avevano il diritto di circolare o passeggiare liberamente per strada, il nero doveva stare chiuso in casa, dormire, e lavorare il giorno seguente per il padrone bianco.

Tutto il sistema era finemente finalizzato a far sì che continuasse ad operare solo a favore dei bianchi, assurdamente la sola piccola parte bianca insediata nel grande continente nero è riuscita a mantenere il potere e tutti i privilegi ad esso collegati tramite un sistema para-repubblicano nella sua struttura, ma poliziesco nella sua essenza. Anche le differenze politiche interne ai gruppi bianchi si annullavano in nome della loro sicurezza razziale: si creavano vuote certezze.

Hanno proceduto negli anni poco a poco, cancellando leggi e facendone di nuove, convincendo sempre più ossessivamente sull’inevitabilità di un destino che viene imposto avvantaggiando pochi a sfavore di molti. Un vortice nero a cui se non vengono posti freni e contrappesi si finisce per soccombere, casomai anche inconsciamente.

Un sistema dell’orrore che può essere scardinato solamente con altrettanta violenza, sarebbe logico dire. Un sistema in cui, per tutta la repressione subita dalla maggioranza nera da parte della minoranza bianca, la vendetta poteva sembrare solamente il minimo. Quando l’avversario si è fatto nemico sembra non esserci alternativa alla violenza, ma nonostante tutto l’uscita dall’ Apartheid è stata pacifica, o quasi. Sebbene molti bianchi siano scappati dalle loro colpe, alcuna vendetta di massa è stata mai lanciata, ma al contrario quello che ha preso piede è stato un lungo lavoro di riconciliazione. Di superamento del passato.

Darren e William hanno vissuto solo gli ultimi anni dell’Apartheid quando questa era già avviata verso la dissoluzione, e l’hanno vissuta da bianchi. Sebbene abbiano avuto la possibilità di crescere serenamente in un paese avviato verso il futuro, dovranno pagare ancora un lungo scotto assicuratogli dai loro padri. Padri isolati dal mondo che ben poco hanno visto oltre il loro naso. Due giovani bianchi sudafricani si trovano a pagare le conseguenze di una forte disuguaglianza economica interna al paese, in termini di sicurezza, di pace sociale, di sacrifici e discriminazioni positive a cui ora bisogna sottostare.

William ama il suo paese e desidera spendere lì gran parte della sua vita, a Cape Town, tra le montagne ed il mare. Darren, come tanti altri giovani sudafricani, si concede un lungo periodo all'estero: andrà a vivere tra Londra e la Scozia, dove ha le sue origini, per almeno un paio di anni. Come molti giovani australiani e neozelandesi, i sudafricani hanno quel desiderio inespresso di tornare in Europa. Figli della storia coloniale, di madrelingua inglese, sebbene amanti del loro paese, sentono forse la mancanza di un'area geografica culturalmente affine. Un ritorno alle origini, la necessità di sapere cosa hanno perso. Come Steave e Amanda, due Australiani che ho ospitato e che hanno viaggiato e girato per anni in Europa, Darren sente il bisogno di completarsi tramite il Vecchio Continente, la madre della loro cultura.

Il Sud Africa oggi vive un problema di disattamento dei giovani bianchi e una conseguente fuga di talenti. Si disperdono intelligenze necessarie ad un paese che vuole aprirsi al futuro e superare definitivamente il passato. Le partenze, i viaggi ed i ritorni, completeranno la scala di sfumature di cui tutti hanno bisogno. Partire sì, fuggire mai. Ai giovani il compito di ridare colore a quelle non poco sbiadite fotografie di bianco e di nero.

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