Il tempo mi accoglie violentemente. Il primo schiaffo a tutti i luoghi comuni me lo dà il tempo. Capita che nella nostra ignoranza consideriamo
La neve che non avevo mai incontrato in Italia, la trovo qui. Le strade sono ghiacciate, le scuole chiuse e i bambini felici.
La città, ai primi scorci, mi rivela fortissimi contrasti, accanto a quartieri abbastanza decadenti e squallidi, poco meno decadenti delle estreme periferie di Napoli, ci sono avanguardie moderne e tecnologiche. Forti contrasti che convivono abbastanza pacificamente, almeno sembra.
Quartieri come quello di Dolapdere o Kustepe, mi ricordano che questa città ha mille aspetti diversi.
La città è immensa, 15 milioni di abitanti, ci sono quartieri sterminati in cui si può passare tutta la giornata in macchina risucchiati dagli ingorghi e dal traffico. È una babele di persone e di lingue, un’ estesa diversità, considerare tutte le sue parti come addendi di un’unica città ha senso nella misura in cui si guarda al suo comune denominatore. L’ immigrazione. Ciò che accomuna tutte queste vite è che provengono tutte da qualche altra parte. Trovare qualcuno che sia di Istanbul da almeno due generazioni è cosa davvero difficile, la stragrande maggioranza proviene da altre realtà, curdi, macedoni, albanesi, ceceni, greci, iraniani, dall’est della Turchia, europei figli di genitori turchi, il movimento migratorio è il minimo comune denominatore di questa città, proprio come altre capitali, quali Londra e New York che ricevono la loro spinta, la loro dinamicità, dall’energia e dalla forza di volontà da generazioni di immigrati.
La vitalità la percepisci nella frenesia dei corpi lungo le stradi principali, ti fai trasportare da questo fiume umano che da Taksim lungo Istiklal street porta a Tunel; mi sono perso per i vicoli, i bar, i cafè, lucidatori di scarpe, venditori di ogni genere, musicisti di strada, finché in cerca di una direzione, ormai quasi perso, trovo una torre, decido di salire, da lì posso ritrovare la strada, capire dove è il mare, orientarmi. Salgo,