lunedì 25 febbraio 2008

I primi scorci



Il tempo mi accoglie violentemente. Il primo schiaffo a tutti i luoghi comuni me lo dà il tempo. Capita che nella nostra ignoranza consideriamo la Turchia come un paese vicino al medio oriente, caldo, pieno di sole e giallo, privo di terre verdi e fertili, un paese pietroso e cespuglioso, spesso lo immaginiamo così. L’inverno ce lo immaginiamo come qualcosa di leggermente più fresco della nostra primavera, niente di più. Allo stesso modo si pensa alla Turchia come paese vicino, se non uguale alla cultura araba. Con tanto di turbante, scrittura da destra a sinistra e danza del ventre.
La Turchia non è niente di tutto ciò. Il clima invernale al mio arrivo è più rigido di Roma, non c’è
alcuna catena montuosa che ripara dai gelidi venti siberiani, arrivo e trovo la neve.
La neve che non avevo mai incontrato in Italia, la trovo qui. Le strade sono ghiacciate, le scuole chiuse e i bambini felici.

La città, ai primi scorci, mi rivela fortissimi contrasti, accanto a quartieri abbastanza decadenti e squallidi, poco meno decadenti delle estreme periferie di Napoli, ci sono avanguardie moderne e tecnologiche. Forti contrasti che convivono abbastanza pacificamente, almeno sembra.
Quartieri come quello di Dolapdere o Kustepe, mi ricordano che questa città ha mille aspetti diversi.
La città è immensa, 15 milioni di abitanti, ci sono quartieri sterminati in cui si può passare tutta la giornata in macchina risucchiati dagli ingorghi e dal traffico. È una babele di persone e di lingue,
un’ estesa diversità, considerare tutte le sue parti come addendi di un’unica città ha senso nella misura in cui si guarda al suo comune denominatore. L’ immigrazione. Ciò che accomuna tutte queste vite è che provengono tutte da qualche altra parte. Trovare qualcuno che sia di Istanbul da almeno due generazioni è cosa davvero difficile, la stragrande maggioranza proviene da altre realtà, curdi, macedoni, albanesi, ceceni, greci, iraniani, dall’est della Turchia, europei figli di genitori turchi, il movimento migratorio è il minimo comune denominatore di questa città, proprio come altre capitali, quali Londra e New York che ricevono la loro spinta, la loro dinamicità, dall’energia e dalla forza di volontà da generazioni di immigrati.


La vitalità la percepisci nella frenesia dei corpi lungo le stradi principali, ti fai trasportare da questo fiume umano che da Taksim lungo Istiklal street porta a Tunel; mi sono perso per i vicoli, i bar, i cafè, lucidatori di scarpe, venditori di ogni genere, musicisti di strada, finché in cerca di una direzione, ormai quasi perso, trovo una torre, decido di salire, da lì posso ritrovare la strada, capire dove è il mare, orientarmi. Salgo, la Torre di Galata fu costruita dai genovesi, all’epoca delle Repubbliche marinare, è un ottimo punto di avvistamento, costruita per controllare il Bosforo da un lato e il Corno d’ Oro dall’altro. È il tramonto, arrivo sino in cima, apro la porta che dalle strette scale a chiocciola mi porta sul camminatoio intorno alla torre. Prima della luce un vento freddo che porta neve mi investe la faccia, e mi fa chiudere gli occhi, come li riapro il canto dei muezzin per la preghiera del tramonto mi ricorda dove sono. L’ Asia davanti a me, il Bosforo che si estende alla mia sinistra e il Corno d’Oro alla mia destra. Scorgo in lontananza mille cupole della città vecchia, vedo Aya Sofia, la moschea blu e Topkapi, l’emozione è più forte di me, una nuova bellezza che mi lascia senza parole, sono i momenti in cui vorrei essere un fumatore, per aspirare a poco a poco l’aria magica di questa città.


martedì 19 febbraio 2008

Lo Straniero



Mi hanno coccolato, guidato, consigliato, tradotto e aiutato. Hanno fatto in modo che i miei primi giorni ad Istanbul siano stati privi di un qualsiasi shock culturale. Hanno posto un cuscino durante il mio arrivo, l’impatto con la città grazie a loro è stato morbido.

Appena visti ci siamo abbracciati, un gesto incondizionato di affetto come benvenuto.


Mi hanno condotto a casa la prima sera, nel quartiere di Besiktas, un quartiere vivo, acceso, popolare, pieno di negozi, fruttivendoli, pescivendoli, sale dove sorseggiare un po’ di cai, ambulanti, venditori di doner kebab, un quartiere affollato, sempre affollato. Il percorso verso casa è stato uno scansare persone, cose e macchine.

Mi hanno offerto il primo pasto, un enorme piatto di mantli, mi han fatto trovare il letto caldo, una doccia calda, condotto per il traffico il cittadino. Come ringraziare due persone che hanno fatto in modo, che dalla prima sera, aperta la porta, si respirasse aria di casa?

Può accadere qualcosa di magico quando si è lo straniero, Alter, può accadere di sentirsi accettati, di sentirsi sacri. “L’ospite è sacro”, non è solo un modo di dire, ma diventa un’ accogliente realtà, si riflette il sorriso diffuso in maniera incondizionata, nei piccoli gesti, nelle piccole azioni, nelle richieste di informazioni. Un persona da sola, in una società nuova e diversa da lui, non può suscitare paura, né odio, né indifferenza; si risveglia un senso di paternità e curiosità da parte degli altri che si prendono cura del nuovo arrivato, che è guardato con un misto di divertimento e affetto, nei suoi primi goffi movimenti, proprio come un neonato.

Una persona quando è sola, in un certo senso unica e originale in un determinato contesto, è rispettata come a voler rispettare la grandezza di madre natura, si è sacri perché si rappresenta la diversità del mondo. Per questo preferisco muovermi da solo per la città, ricevo più attenzione dalla gente e non desto mai paura o sospetto, gli uomini organizzati hanno destato sempre più paura degli uomini solitari.

Lontano dagli altri europei che sono numerosi qui ad Istanbul, sono più libero di muovermi, più protetto, nonostante il senso di appartenenza che solitamente prende in un contesto diverso dal proprio, uso la mia identità non per trovare altri simili, ma per mischiarmi con il diverso, per spingerli ad una curiosità reciproca. Preferisco ricevere un sorriso alla mia diversità che una gelida stretta di mano da un nord europeo che ha poco di meno da dirmi.

domenica 10 febbraio 2008

Arrivo per rinascere

Dopo tutte le storie raccontate, dopo aver attraversato le altrui vite dal mio punto di vista, come ospitante, padrone, sicuro, rilassato e comodo nella sua posizione, ora diventerò io lo straniero, io il senza terra. Lascerò la mia posizione di guida sicura, di gestore di accoglienza e benevolenza, per una posizione di ospite, sacro e meritevole di rispetto, di immigrato, di analfabeta, non sarò più Ego, ma Alter. Dopo aver raccontato dell'immigrazione altrui, dei viaggi altrui, racconterò i miei problemi di integrazione, il mio viaggio in un paese emblematico per il futuro possibile tra Oriente ed Occidente. Turchia, vicina all'Oriente, prossima all'Europa, in una città come Istanbul ponte naturale tra due mondi, una città vocata sempre a capitale, crogiuolo di mille culture diverse, città cosmopolita, enorme, 15 milioni di abitanti, forti contrasti, un' anima complessa ed intricata. Dopo aver aspettato comodamente a casa che qualcuno si presentasse con una storia, adesso andrò io a caccia di vite nuove, nuove storie, affinchè anch' io riesca a crearmi una vita qui.

Gizem e Erdem sono due ragazzi turchi. Sono stati i miei ultimi ospiti e diventeranno i miei primi ospitanti, sono state le ultime persone che ho preso per mano, i miei ultimi figli e saranno il mio primo padre e la mia prima madre, le mie guide, il mio aiuto, i miei primi amici. Hanno quasi ultimato gli studi in ingegneria meccanica, vivono e studiano ad Istanbul, ma entrambi vengono da altre città. Erdem più volte ha cambiato città, è partito dall' estremo est, la città di Sivas, nella regione di Susehri; Gizem viene dalla storica città di Konya, nel centro della Turchia. Si presteranno come primi rappresentanti della città a fare da ponte con il loro mondo, ci siamo incontrati due volte, abbiamo avuto fiducia reciproca, abbiamo avuto mutuo vantaggio, siamo disposti ad aiutarci. Li ho accolti a Roma, loro mi accoglieranno nella nuova Roma, la nuova capitale d'Oriente, Istanbul tramite questi due ragazzi sarà, non più solo metaforicamente, il ponte per entrare in un nuovo mondo, la porta, il mare da attraversare per poter rinascere.


Farò un salto nel vuoto, con la mente libera, da tutti i pregiudizi, da tutti i preconcetti, sono appena arrivato e sono appena rinato. Come un bambino che ha tutto da imparare mi farò cullare e guidare, mi farò prendere per mano, finchè non sarò pronto a camminare da solo. La mia mente come una tabula rasa, cercherò di aspettare, di conoscere, prima di farmi delle opinioni, vivrò nel dubbio e farò dell'incertezza la mia condizione, per poter poi guardare liberamente in faccia chiunque incroci il mio sguardo. Voglio essere libero in questo nuovo paese, arrivo per rinascere.







Io sono Erdem


Io sono Gizem