martedì 15 febbraio 2011

Una partenza al tramonto 1/2


Le partenze sono una lacerazione del proprio circostante, una disconnessione improvvisa, con i rapporti che hai intorno, con la costruzione delle tue azioni nell'immediato futuro. Un lampo nel cielo del presente che preannuncia, in ogni caso, un cambiamento.

Come la partenza di Florent. Sebbene annunciata, il suo anticipo all'ultimo minuto alla fine l'ha resa comunque improvvisa. Non esiste una tecnica migliore per affrontare le partenze e gestire gli addii, ma la sua immediatezza, quasi fuga per paura di perdere l'areo, aveva scombinato tutte le difese dell'animo soprattutto se già incline alla malinconia.


La fine della nostra avventura avevamo deciso di suggellarla con un ultimo viaggio assieme, eravamo un piccolo gruppo di diverse nazionalità in giro per i confini orientali della Turchia. Il classico gruppo erasmus.

L'escursione sulle sommità del Nemrut Dagi, nel profondo entroterra della regione curda, su a duemiladuecento metri a osservare la Mesopotamia, la mezzaluna fertile, il principio della civiltà, avrebbe occupato il nostro penultimo giorno assieme. Concludevamo l'esperienza comune in Turchia con il Kurdistan, ed infatti curdo era l'autista che ci scarrozzava tra tornanti e strapiombi, curda era la musica che ci aveva accompagnato per tutta la giornata, e curdo era l' amico che ci aspettava l'indomani a Dyarbakir.

La serata avrebbe dovuto continuare insieme, saremmo proseguiti per Dyarbakir e da lì, solo da lì ci saremmo separati e salutati mettendo un punto alla nostra avventura turca. Florent sarebbe tornato ad Istanbul da dove avrebbe preso l' aereo per tornare in Francia e  io invece avrei proseguito verso Est. Le emozioni pertanto erano ancora sotto controllo seppure la malinconia, alimentata dal paesaggio, diventava difficile da mascherare. Il lungo tramonto della nostra penultima sera ci accompagnava nella discesa a valle nella città di Adiyaman per raggiungere l'Otogar e il primo bus per Dyarbakir, attraversando anche l'Ataturk Baraji.

E così che con gli sguardi persi tra gli orizzonti anatolici alla ricerca di evasione ci era arrivata la notizia che non c'erano più bus diretti per Dyarbakir, almeno non per la sera, e che l'unica soluzione possibile per Florent era correre immediatamente all'aeroporto e con l'intercessione della guida prendere l'ultimo aereo per Istanbul. Un brusco cambiamento, che sebbene anticipasse la partenza di Florent solo di qualche ora, si  era rivelato così improvviso da evocare quasi immediatamente il pianto di due bambini isterici di fronte alla fine del gioco, al momento di separarsi.

Quando non sei tu a decidere il momento della partenza è impossibile controllare le emozioni perchè non sono tenute dalla consapevolezza delle proprie scelte, ma sei colpito dalla confusione e dall'incertezza buttato in uno stato emotivo semplicemente incontrollabile.

Per questo la partenza di Florent si è stampata così nitidamente nella mia memoria, è stato un breve shock di cui  la vita aperta ti rende oggetto inconsapevole. Presi dallo stesso disorientamento, fummo spinti entrambi verso un pianto stigmatizzante, da primo giorno di scuola, di paura per il cambiamento che ci veniva imposto dopo sei mesi di viaggio fianco a fianco. Quell'abbraccio fraterno, quel mutuo sigillo, era la garanzia che ci sarebbe stato un ritorno, anche se ci ritrovammo soli per un infinito attimo prima del tramonto.



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