Designata nel 2013 come capitale europea della cultura, la seconda città francese è sottoposta da anni a un piano di riqualificazione. Ma la borghesia non si fida e resta lontana dal centro storico, dove poveri e immigrati resistono come possono.
Marsiglia cambia pelle*
di Andrea Bottalico
Agli occhi di molti francesi, Marsiglia appare come un grave errore di fabbricazione. Una città di periferia (seppure sia il primo centro portuale del paese), che non ha nulla da spartire con la Francia continentale. Questo formicaio conficcato nel mediterraneo è il risultato di un groviglio di eventi perduti nei secoli. Blaise Cendrars scriveva che “la storia di Marsiglia è segreta”. C’è stato un tempo in cui questa città non aveva nome. Lungo la Canebiere, all’altezza in cui furono assassinati il re Alessandro I di Jugoslavia e il Ministro degli Esteri Louis Barthou nel 1934, sulla facciata della Camera di Commercio si legge a lettere cubitali una frase emblematica: “Gli attori economici sostengono Marseille Provence 2013”. Altri quattro anni e la città sarà consacrata come capitale europea della cultura. Oltre al grande evento tanto atteso, sono in atto una serie di progetti che mirano alla bonifica di alcuni quartieri e al rinnovamento della città, in definitiva al cambiamento della sua immagine poco raccomandabile. Si tratta del Projet Euromediterranèe, un’operazione avviata intorno alla metà degli anni Novanta che interessa un territorio che ospiterà la maggior parte degli “eventi culturali” di Marseille Provence 2013. Ma quali sarebbero questi attori economici? I poteri pubblici (stato,ministero della cultura, enti locali e unione europea) con un finanziamento di circa ottocento milioni di euro, mentre gli investimenti privati si aggirano intorno ai cinque miliardi. Negli ultimi quindici anni sono stati investiti in tutto circa sette miliardi di euro. La strategia è quella standardizzata e nota a molte altre città europee. La designazione di capitale europea della cultura per molti marsigliesi non è altro che una copertura, un diversivo alimentato dalla propaganda istituzionale, incentrata sulla manipolazione dell’idea di “cultura popolare”, concetto riassunto nell’appagante immagine “della convivenza di popoli, individui ed etnie di differente nazionalità e religione” di cui Marsiglia dovrebbe essere l’esempio. Ma gli stessi soggetti che vogliono farla passare come un modello d’integrazione operano per distruggere la struttura sociale, e in un certo senso il tessuto culturale della città. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre la città era assopita. A Belsunce, il quartiere dei grossisti che si espande a destra della stazione Saint Charles, nessuno aveva voglia di parlare e le donne camminavano con il fiatone. In silenzio si dirigevano le folle solitarie di uomini alla moschea, mentre il venerdì, verso le due del pomeriggio, i fedeli si accalcavano per pregare in una stradina nei pressi dell’ex teatro Alcazar, inginocchiati in direzione della Mecca, con le gambe incrociate, i piedi scalzi e gli occhi che non guardavano da nessuna parte. Tutti erano incantati da una voce austera, ma non si capiva bene da dove provenisse. A due passi da lì, sgommavano le macchine della polizia a sirene spiegate lungo la Canebiere. Era il periodo del Ramadan. Il ristorante di Mohamed, che in realtà è un salone di accaniti giocatori di domino che sbattono i pugni sui tavolini, aveva la saracinesca abbassata. Al mercato di Noailles, gli empori che di solito vendono roba da mangiare avevano allestito delle bancarelle piene di dolciumi al miele ben sorvegliati dalle api che ci ronzavano intorno. I bambini strattonavano la veste delle madri… Un giorno Mohamed mi ha detto: «Ci sono circa due milioni di topi a Marsiglia, un milione in più rispetto alla popolazione. Il comune ha fatto il censimento l’anno scorso».
Uno dei tanti obiettivi del progetto Euromed è quello di offrire a Marsiglia un volto nuovo: cantieri, colate di cemento, palazzi in acciaio e vetro, negozi di alta gamma, centri commerciali, uffici, alberghi di lusso,appartamenti da ristrutturare e banche, ammodernamento di interi edifici e la creazione di un quartiere d’affari (stile la Defense di Parigi) nei pressi del porto commerciale della Joliette, battezzato, per l’appunto, Euro-mediterranèe. Un perimetro di circa cinquecento ettari è compromesso dai lavori in corso. Si tratta di sradicare le erbacce e costruire “una nuova città nella città” (che con la vera città non ha nulla a che fare) in una vasta zona che si estende a nord del Vieux Port fino alla Belle de Mai (sobborgo operaio in passato “italiano”, alle spalle della stazione ferroviaria) passando per la Joliette e la stazione Saint Charles.
Attualmente il progetto Euromed è la più vasta operazione di rinnovamento urbano in Europa. Lo stravolgimento del tessuto sociale e della conformazione urbanistica si fa visibile con la strategia di epurazione messa in atto da più di un decennio dall’amministrazione comunale. L’intenzione è chiara: sbarazzarsi della massa informe di immigrati e poveracci, e rendere il centro appetibile alla borghesia locale, ai capitali stranieri e ai turisti affamati di spettacoli e Cultura. In questa prospettiva va considerato l’incendio nel giugno 2008 del famoso “Mercato del sole” nei pressi della Porta d’Aix, un luogo di forte aggregazione popolare situato nel perimetro coinvolto dal progetto Euromed. Ciononostante, gli obiettivi prefissati dalle istituzioni non sono stati totalmente raggiunti. Bisognerà aspettare il 2013, l’anno fatidico in cui la Marsiglia rinnovata, riabilitata e ristrutturata, diventerà a tutti gli effetti la reginetta d’Europa.
Tempo fa mi ritrovai in un bar nei pressi di rue Saint Pierre. All’esterno, intorno all’unico tavolino, vidi una donna che alzava la maglietta per mostrare il suo seno floscio a un uomo avanti con gli anni che per compassione distoglieva lo sguardo, implorandole di smetterla. Un nano al suo fianco non riusciva a trattenere la risata maligna. Lei si agitava e per un momento sembrava piangesse. All’interno del bar c’erano dei vecchi appoggiati con i gomiti sul bancone rosso mogano. L’aria era pesante, il pavimento appiccicoso e la luce foca. Qualche sorriso sguaiato, qualche litigio spento sul nascere per mancanza di forze. Un sassofonista dagli occhi a mandorla se ne stava in piedi al centro del bar: rantolava, non riusciva a parlare, ma quando apriva bocca l’aria si ritirava. Il tizio al suo fianco gli diceva: «Eh! Arret de petè! Eh!». Smettila di scoreggiare. L’avevo visto la sera prima, il sassofonista, mentre vomitava l’anima in un angolo di rue Trois Mages, e adesso eccolo davanti a me che a stento riusciva a reggersi in piedi. C’era un paraplegico sopra una sedia a rotelle in fondo al bar, che dormiva con la bocca aperta. Emanuel, un armeno, serviva da bere dietro al bancone. Quando il paraplegico si svegliò, Emanuel gli ficcò una sigaretta tra le labbra e gliela accese. A un tratto il sassofonista si voltò dondolando sui fianchi. Il viso bianco, sudato, si asciugò il muso bagnato con il polso della giacca, mi guardò di sfuggita per un attimo. Abbozzò una smorfia, direi un sorriso. Poi si avvicinò e mi confidò solennemente, scandendo bene ogni parola: «Ascoltami bene. Bisogna accarezzare il cane che ti ha morso il giorno prima…».
Il Panier, luogo storico dell’immigrazione corsa, è il quartiere situato sul versante occidentale del Vieux Port. Alcune famiglie residenti da anni sono state cacciate via. Gli artisti hanno aperto atelier di pittura e qualche galleria d’arte. Gli appartamenti ristrutturati dalle società immobiliari non sono stati venduti, non solo per via della crisi, ma perché troppo piccoli per i gusti della borghesia cittadina. Morale della favola, il Panier per il momento è pieno di case sfitte e portoni murati, una buona parte della popolazione è andata via ma in molti ci vivono ancora, e ora per quel dedalo di stradine ci passa un trenino bianco e azzurro carico di turisti entusiasti. Dietro il Forte Saint Jean, nei pressi della cattedrale, è tutto un cantiere per la realizzazione del futuro Centro regionale del Mediterraneo, diecimila metri quadri di bar, negozi, auditorium e sale d’esposizione. Non lontano, lungo le sponde, è previsto entro il 2012 un centro commerciale di quarantamila metri quadri per i turisti che arriveranno con le navi da crociera. Dall’altra parte del Panier, in alto, l’antico ospedale, l’Hotel de Dieu, per il momento abbandonato, diventerà un albergo di lusso. Nessuno avrà più motivo di immaginare la vecchia Marsiglia insolente dei bassifondi, quella di un passato mitizzato non troppo lontano, di quando era la capitale europea del traffico internazionale d’eroina, tanto per fare un esempio.
Il mercato delle pulci ha luogo ogni domenica mattina in una zona verso i quartieri nord, dopo la fermata della metro Bugainville, nei pressi di un cavalcavia. Il posto è un cumulo di mercanti pronti a vendere qualsiasi cosa visibile e invisibile. Ci sono famiglie di zingari che passano le giornate a setacciare i bidoni di spazzatura della città, raccogliendo ogni cosa utile e riciclandola al mercato a poco prezzo: bambole rotte, braccialetti, teste d’aglio cravatte, libri antichi, martelli, pantaloni, mobili, magliette di squadre di calcio bulgaro. Tempo fa mi colpì quest’immagine: una donna intenta a pulire il sederino sporco del figlio che piangeva. Ai loro piedi, sopra un lenzuolo, c’erano cianfrusaglie d’ogni tipo. Tra le pentole e le padelle incrostate, gli occhiali da vista rotti e le macchine giocattolo, i crocifissi e i rosari, gli orecchini spaiati e gli orologi, spiccavano le copertine di una trentina di riviste porno. Su una c’era una biondona e sotto c’era scritto: Mathilde aime bien sucer la bite! In teoria il mercato vero si trova all’interno di due enormi capannoni, ma ovunque nel raggio di chilometri si accalcano venditori ambulanti avvolti nel fumo della carne messa ad arrostire. Qua e là le melodie funamboliche del Rai algerino vengono sparate a tutto volume, ed è pieno di pozzanghere. Nei capannoni non passa aria: da un lato si vende frutta e verdura, pane, spezie e generi alimentari, dall’altro elettrodomestici e computer rubati, scocche di motorini e pezzi di automobili. C’è molta polvere. Nel capannone del mercato ortofrutticolo, nell’angolo in fondo a tutto, tempo fa restai per almeno una decina di minuti a osservare questa scena: un uomo prendeva due galline dalla gabbia che strillavano come due vecchie pazze; il tizio le faceva entrare in una bacinella e le galline ammutolivano all’improvviso; poi le pesava sulla bilancia e subito le passava a un altro uomo nascosto nel retrobottega; le galline, prese per le ascelle, riprendevano a gridare, si sbattevano, ma bastava un gesto semplice, con tutte e due le mani che stringevano il collo, spezzandolo, e le galline smettevano definitivamente di strillare. Scendendo per il Panier si raggiunge rue Casserie. In direzione opposta al mare si arriva in piazza Sadi Carnot (il presidente della repubblica francese assassinato a Lione dall’anarchico Sante Caserio nel 1894). Dalla piazza si riesce a scorgere la facciata della chiesa dei Carmes, lassù in alto, un quartiere abitato in passato da immigrati greci, anch’esso distrutto intorno agli anni Ottanta. Lungo il lato sinistro della piazza, si srotola silenziosa la lunga e decadente rue de la Republique. Arrivati a quell’altezza, si direbbe che ci sia stato un equivoco. Intorno è il deserto. Le luci dei lampioni foche, negozi e portoni sbarrati, una decina di banche nel giro di pochi metri. Immagini pubblicitarie rappresentano l’avvenire ideale di questo quartiere. Attività commerciali, supermercati e catene della grande distribuzione, gioiellerie, donne sorridenti con i passeggini e le borse della spesa, padri di famiglia… Per il momento sembra di ritrovarsi in una zona appena evacuata. Non c’è un’anima. Il tram ogni cinque minuti taglia la strada e smuove l’aria. Molti dei palazzi hanno le facciate ricoperte dalle impalcature. Alzando la testa, si vedono le ante delle finestre chiuse e ricoperte di fuliggine. Altri edifici sono abbandonati oppure hanno i portoni sigillati con i catenacci. Tutto sembra vuoto, o meglio svuotato prima di essere riempito da un altro liquido incolore, perché fino a qualche anno fa questo quartiere era vissuto, animato dai suoi abitanti.
La rue de la Republique collega i due porti, il Vieux Port con la Joliette, fino ai Docks e alla stazione marittima. È qui che nascerà il nuovo quartiere d’affari tutto vetri e acciaio. Da quando il Porto autonomo di Marsiglia (Pam) ha ceduto il suolo della Joliette a Euromediterranèe, da quelle parti non c’è più alcuna attività portuaria. I dirigenti del porto hanno lentamente spostato la maggior parte del traffico mercantile verso la cittadina di Fos, mentre Marsiglia si occupa principalmente delle navi passeggeri provenienti da Corsica e Algeria, e delle navi da crociera. La prossimità con il quartiere della Joliette, futuro “centro direzionale” della città, ha reso rue de la Republique un bersaglio per gli investitori stranieri. Con l’avvio di Euromed, il comune ha visto la possibilità di attirare una popolazione con un buon potere d’acquisto, che avrebbe rivalutato l’immagine del centro storico. A partire dal 2000, una buona metà della strada è passata nelle mani di diverse società immobiliari. La logica è quella di svuotare gli immobili, rinnovarli e rivendere a prezzi elevati. Gli abitanti sono stati costretti a lasciare gli appartamenti, mentre i piccoli commercianti hanno chiuso a causa dei lavori per il tram durati un paio d’anni. Attualmente due società si dividono la rue de la Republique: ANF Eurazéo e Marseille-republique. Su seicento famiglie che abitavano nella zona gestita da quest’ultima società, duecentocinquanta hanno ottenuto l’accesso agli alloggi sociali nel quartiere. Il resto è stato cacciato a pedate, in seguito a minacce e intimidazioni.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Rue de la Republique è una strada disabitata nel ventre di Marsiglia, metafora di un presente proiettato verso un “domani ancora lontano”. Si avverte di nuovo quella sensazione che provava Blaise Cendrars, seppure in termini diversi, mentre camminava solitario e inquieto lungo le sponde del Vieux Port: Il ne rest rien, tout est oublié. Tout est rentré sous terre, tout est enseveli.
*Questo reportage è apparso già sul numero di Monitor di Novembre 2009