sabato 6 agosto 2011

A Bari



A Bari ci sono
balconi dai quali
si alza fumo di sigarette
nella notte che
non passa mai.




La strada è stretta e sempre trafficata. I rumori sono continui e ormai familiari. Al mattino, non prima delle 7,30 iniziano i muratori del palazzo in costruzione, giusto al lato, flex, martelli, motori di betoniere che impastano il cemento, generatori elettrici. E' la sveglia mattutina.

Ai rumori si associano le immagini, anch'esse ormai ripetute a tempo di orologio. Il meccanico che apre bottega, la signora con i bigodini che spazza il balcone e spolvera le persiane, le macchine di passaggio, le gambe stese di chi, dai vasci adiacenti il marciapiede, prende nella penombra l'ultimo fresco mattutino.

I negozianti sono la vera anima della strada. Il mini market dai prezzi non giustificati, il tutto per la casa che scarica già le prime scatole, l'edicola, la tintoria di S.Nicola, il barista all'angolo che spera di cedere l'attività.

Un villaggio animato da personaggi più che da persone.

Poi il grande mistero della giornata, segnata dal passaggio di casalinghe, anziani e bambini. La controra allungata qualche volta fino alle 6 del pomeriggio, il caldo pomeridiano che regala quiete alla strada che si rianima alla riapertura dei negozi. Ora i rumori della betoniera e dei martelli pneumatici sono riempiti dalle urla del club.

I Club sono i circoli ricreativi, il vero segno distintivo di Bari, o meglio di una parte di essa. I nomi sono fantasiosi e fuorvianti, "Circolo della libertà", "Partito dei pensionati", "Circolo S.Nicola", "Circolo Bari Nord", fino ad arrivare a quelli politici "Circolo CGIL", "Circolo SEL", dalle scritte diverse, ma dagli interni tutti uguali. Stanze lunghe e rettangolari con la televisione accesa, e da nessuno seguita, su uno scaffale in alto in uno degli angoli. Tavoli piccoli e quadrati per i giochi di carte, sedie di plastica, biliardino e peroni grandi sparse ovunque. Tutti uomini di tutte le fasce dei età. Le facce non creano tratti distintivi tra un club e l'altro.

I rumori del club accompagnano la fine del pomeriggio fino ad ora di cena, per poi terminare in picchi di urla incomprensibili, steccate di biliardino, segnali e rivendicazioni da briscola. La sera, di estate, la gente torna ai balconi con la strada ormai calma. Anche al club danno spalle alla televisione e siedono in circolo tra strada e marciapiede.

Si può andare avanti così fino a notte fonda con frasi soffuse interrotte solo dal motorino con la marmitta sfondata e dalla macchina del tamarro che invade gli spazi altrui con suoni neomelodici.

Tutti aspettano placidamente la fine della giornata, quasi con rassegnazione. Due balconi più in là, sull'altro lato della strada, un fumo di sigaretta si leva dalla ringhiera che scherma i volti.

C'è chi cerca un senso alla giornata, chi spera nel domani, chi si chiede del passato lasciato a casa. Fumando una sigaretta nell'oscurità.

A Bari sembra che ci siano mondi più facili da attraversare per uno straniero che per chi c'è nato.





martedì 24 maggio 2011

Matrimonio alla francese 2/2


Il rito sociale ha lasciato spazio a quello più intimo. L'obiettivo del viaggio e della permanenza di Conques è stato la cerimonia dell'anima durata il tempo sufficiente per condividerla con gli amici più stretti.

La seconda tappa del percorso di unione di Gabriela e Arthur non poteva che viversi, come in una metafora del viaggio, in un luogo di passaggio e pellegrinaggio quale la Via Podiensis sulla direttrice di Santiago di Compostela. Protetti tra le colline verdi e la primavera lussureggiante, si è voluto avere un ricordo lungo e condiviso, segnare un punto fermo e distinto.


Il secondo matrimonio è voluto essere soprattutto un momento di confronto, un dialogo con gli amici per prendere coscienza dell'atto simbolico. Un atto cominciato con il rito religioso celebrato nella parca e spirituale abbazzia di Sainte-Foy, dove le giornate sono segnate dai vespri e dal passare dei pellegrini.

 

L'apertura, filo conduttore di questo matrimonio, richiede di mettersi in condizione di ascoltare anche le cose che avevamo già ascoltato, molto tempo prima. Tornare in chiesa non solo per il matrimonio, ma anche per i riti quotidiani è stato come andare in moschea per la prima volta. Lo stato di stupore che si ha rivedendo i luoghi familiari dopo una lunga assenza crea un sentimento di ritorno. Tornare in chiesa dopo tanti anni ed assistere alla messa, ai vespri e alle preghiere del pellegrino, permette di osservare il rito religioso con lo stesso sguardo dato alla preghiera islamica del venerdì. L'amore per la comunità, il bisogno di senso, è il collante dei partecipanti. La capacità di osservare senza dover innalzare le necessarie difese dai dogmi ecclesiastici, permette una maggiore lucidità priva della paura di caderci dentro, la prova che una nuova maturità è stata acquisita.

Seguiti dall'ordine dei premontani, una piccola congrega di frati con una regola simile a quella benedettina e amica degli agostiniani, Arthur e Gabriela si sono sposati con rito religioso e spirito di apertura: religiosa lei, ma non lui, sono stati ammessi al rito cattolico per la consapevolezza che l'intransigenza ai principi di lui fosse meno importante della fede di lei e soprattutto dell'amore di entrambi.


Un matrimonio ricco di simboli, veri perchè personali, non conformi alla regola comune, nati dalla vita dei due giovani sposi. Un matrimonio che è stato anche un concerto, un incontro di musica come quello che li ha fatti conoscere al conservatorio di Strasburgo. Un matrimonio che è stato un punto di passaggio sul cammino dei pellegrini presenti.


Un matrimonio soprattutto leggero, ma spirituale. Dove la sposa non è vestita di bianco nemmeno in chiesa, dove ci si arriva a piedi perchè non ci sono macchine, dove risulta più comodo andare con le converse fino all'altare, dove alla fine s'improvvisa un concerto, dove si canta in latino, dove gli invitati stanno ad un'unica tavolata, dove allo stesso tempo è anche il compleanno dello sposo, dove la festa dura cinque giorni, dove i preti sono complici e non solo celebranti.



Un'apertura ed un rispetto, quello dei preti premontani, figlio del paese laico in cui viene celebrato, dove la religiosità si sta evolvendo verso un carattere universale nel quale abbandonati i toni totalizzanti, grazie al cosmopolitismo religioso odierno e al senso di apertura imposto dai giovani,  ci si considera ormai una minoranza felice, una delle tante che costituiscono il tutto, felice di far partecipare chi non aveva mai partecipato.


Il rito è apparso spoglio della pesante liturgia cattolica considerata ormai un retaggio del passato, considerata viva e attuale solo nei paesi tradizionali che ancora non hanno adeguato la visione ecclesiastica al terzo millennio. Il clero francese si è reso conto della necessità di semplificare e universalizzare il messaggio cristiano per volersi fare ancora ascoltare dai giovani che sembrano non comprendere e giustificare i vecchi sacramenti del passato.

Un senso rivisitato grazie ai progressi della modernità e della società attuale che è riuscita a respingere numerose posizioni oscurantiste, ma non ha potuto modificare l'approccio di fondo del mondo religioso. Dove il credo è fissato per sempre. Dove non c'è un progresso nè ci sono sviluppi. C'è unicamente l'obbedienza alla legge e al dogma, in completo contrasto con il metodo scientifico che ricerca le verità intellettuali in maniera critica e non dogmatica.

Un matrimonio di apertura, ma per questo anche di contraddizioni normalmente assenti nel perfetto mondo della religione. Mondo che oggi decide di scendere a compromessi per confrontarsi con la realtà odierna: accettare la dottrina oggi, avendo interiorizzato le conquiste della modernità, obbliga sì a spogliarsi delle vecchie usanze e delle non più credibili tradizioni, ma obbliga anche a lasciare spazi non affrontati dal metodo critico e razionale generalmente utilizzato per l'interpretazione del mondo. Spazi dogmatici necessari sui quali erigere i pilastri della dottrina. Perchè se si accetta la religione oggi, si decide di non voler tutto spiegare per non cadere in contraddizione con se stessi. 



domenica 27 febbraio 2011

Io sono il 25 Gennaio





La Rivoluzione dei Giovani in Egitto è la rivoluzione di tutti, se vincono loro, vinciamo tutti.

Siamo tutti rivoluzionari, siamo tutti Egiziani.

http://iamjan25.com/





martedì 15 febbraio 2011

Una partenza al tramonto 1/2


Le partenze sono una lacerazione del proprio circostante, una disconnessione improvvisa, con i rapporti che hai intorno, con la costruzione delle tue azioni nell'immediato futuro. Un lampo nel cielo del presente che preannuncia, in ogni caso, un cambiamento.

Come la partenza di Florent. Sebbene annunciata, il suo anticipo all'ultimo minuto alla fine l'ha resa comunque improvvisa. Non esiste una tecnica migliore per affrontare le partenze e gestire gli addii, ma la sua immediatezza, quasi fuga per paura di perdere l'areo, aveva scombinato tutte le difese dell'animo soprattutto se già incline alla malinconia.


La fine della nostra avventura avevamo deciso di suggellarla con un ultimo viaggio assieme, eravamo un piccolo gruppo di diverse nazionalità in giro per i confini orientali della Turchia. Il classico gruppo erasmus.

L'escursione sulle sommità del Nemrut Dagi, nel profondo entroterra della regione curda, su a duemiladuecento metri a osservare la Mesopotamia, la mezzaluna fertile, il principio della civiltà, avrebbe occupato il nostro penultimo giorno assieme. Concludevamo l'esperienza comune in Turchia con il Kurdistan, ed infatti curdo era l'autista che ci scarrozzava tra tornanti e strapiombi, curda era la musica che ci aveva accompagnato per tutta la giornata, e curdo era l' amico che ci aspettava l'indomani a Dyarbakir.

La serata avrebbe dovuto continuare insieme, saremmo proseguiti per Dyarbakir e da lì, solo da lì ci saremmo separati e salutati mettendo un punto alla nostra avventura turca. Florent sarebbe tornato ad Istanbul da dove avrebbe preso l' aereo per tornare in Francia e  io invece avrei proseguito verso Est. Le emozioni pertanto erano ancora sotto controllo seppure la malinconia, alimentata dal paesaggio, diventava difficile da mascherare. Il lungo tramonto della nostra penultima sera ci accompagnava nella discesa a valle nella città di Adiyaman per raggiungere l'Otogar e il primo bus per Dyarbakir, attraversando anche l'Ataturk Baraji.

E così che con gli sguardi persi tra gli orizzonti anatolici alla ricerca di evasione ci era arrivata la notizia che non c'erano più bus diretti per Dyarbakir, almeno non per la sera, e che l'unica soluzione possibile per Florent era correre immediatamente all'aeroporto e con l'intercessione della guida prendere l'ultimo aereo per Istanbul. Un brusco cambiamento, che sebbene anticipasse la partenza di Florent solo di qualche ora, si  era rivelato così improvviso da evocare quasi immediatamente il pianto di due bambini isterici di fronte alla fine del gioco, al momento di separarsi.

Quando non sei tu a decidere il momento della partenza è impossibile controllare le emozioni perchè non sono tenute dalla consapevolezza delle proprie scelte, ma sei colpito dalla confusione e dall'incertezza buttato in uno stato emotivo semplicemente incontrollabile.

Per questo la partenza di Florent si è stampata così nitidamente nella mia memoria, è stato un breve shock di cui  la vita aperta ti rende oggetto inconsapevole. Presi dallo stesso disorientamento, fummo spinti entrambi verso un pianto stigmatizzante, da primo giorno di scuola, di paura per il cambiamento che ci veniva imposto dopo sei mesi di viaggio fianco a fianco. Quell'abbraccio fraterno, quel mutuo sigillo, era la garanzia che ci sarebbe stato un ritorno, anche se ci ritrovammo soli per un infinito attimo prima del tramonto.



giovedì 13 gennaio 2011

Vivere da Zingari: la forza dell'empatia


L'ultimo è stato  Mihail in Bulgaria, quello che ricordo con maggior affetto è stato Yoshi. Il primo è stato Flavien. Ma nel mezzo ce ne sono stati tanti altri, come Damien a Granada, Tom ad Istanbul. Davide di Porto.


Sono tanti, ma dove vanno, cosa fanno, cosa cercano? Solo stare, solo partire, solo perdersi.

Li guardo con ammirazione e fascino, ma anche con viva curiosità  incamminarsi verso scelte non facili, a volte anche tristi, in direzioni solitarie senza capire se mossi da un reale bisogno o da puro idealismo. Probabilmente in una ricerca di senso.

Dopo l'entusiasmo dei primi viaggi e delle prime scoperte, le emozioni lasciano il campo solo a mancanze, di pace, talvolta di affetti, a sedie e giacigli sempre e volutamente scomodi. In sofferenza continua come drogati vinti dall'assuefazione.

Una ricerca continua di empatia con il mondo per comprenderlo per integrarlo dentro di sè che ci trasforma in pendolari prendendo il treno, in turchi bevendo il çay, in filosofi guardando il mare, in natura camminando nel bosco. Ricerchiamo un contatto con il circostante per una maggiore comprensione che annulli la distanza tra noi e gli altri. Per questo talvolta si sopporta bene la solitudine fisica perchè più che compensata dalla meditazione di sè, dalla compagnia spirituale della natura, del mondo, delle altre e altrui società. 

Ma una volta percepiti i segreti meccanismi, comuni a tutte le società, che fanno la matrice comune degli uomini e delle culture, si ha un altro modo di relazionarsi con l'esterno, è una formula magica di stare al mondo, che ci fa relativizzare i problemi e focalizzare l'attenzione sulle cose precisamente importanti e trasversali, a tutte le culture, i paesi, i popoli.
Quel minimo comune denominatore che si ritrova in tutto il mondo e ci permette di vivere ovunque. Quello che ha portato a definire il mondo come propria casa e ad annullare i confini. Quello verso cui stiamo andando. E che in alcuni momenti di estrema lucidità o di alterazione sensoriale mi sembra una proiezione del futuro. Non siamo che delle avanguardie.

Mihail ci ha ospitato a Plovdiv, seconda città della Bulgaria, per pura fortuna nostra, perchè l'abbiamo trovato in pausa da uno dei suoi lunghi viaggi. A differenza di altri, l'ho incontrato nel suo ambiente domestico, stazionario e non in viaggio, in quella che lui chiama casa, dove ha lo sguardo sempre altrove. Sei mesi in Italia, con l'idea iniziale di passarci solo qualche giorno, sei mesi tra le montagne svizzere, mesi e mesi in Siberia, nell'est Europa, più volte in Francia e in Spagna, in Marocco, nelle aree orientali della Turchia, più volte, fino ad apprendere il Curdo, ogni anno in Russia e nella sua vastità. Perchè Mihail è di padre Russo e madre Bulgara, parla benissimo il Francese, lo Spagnolo, l'Italiano e l'Inglese, ha appreso il Turco nei suoi numerosi viaggi e ha anche delle basi di Greco. Una forza dell'empatia, quando questa significa creare e utilizzare punti di contatto, e la conoscenza di altre lingue anche lontane ne è la prova.

"Più è sviluppato e individualizzato il sè, più è grande la nostra percezione dell'unicità e caducità dell'esistenza, della nostra solitudine esistenziale e dell'infinità di sfide che dobbiamo affrontare per esistere e prosperare. Sono questi nostri sentimenti che ci permettono di provare empatia per sentimenti simili negli altri. Un sentimento empatico più solido permette anche a una popolazione sempre più individualizzata di creare legami di affiliazione anche nell'ambito di organismi sociali sempre più interdipendenti, estesi e integrati. E' questo il processo che caratterizza ciò che chiamiamo "civiltà": il superamento dei legami di sangue tribali e la risocializzazione di individui distinti sulla base di legami associativi. L'estensione empatica è il meccanismo psicologico che rende possibili la conversione e la transizione. Quando diciamo "civilizzare", in realtà è come se dicessimo "empatizzare" . J. Rifkin, La Civiltà dell'Empatia.

La casa in cui ci ha ospitato fa parte di un palazzo ancora in costruzione, non terminato, nuovo negli infissi, nei pavimenti e nei sanitari. Ma priva di lampadari e di letti, di piastrelle e mobili. Di tutto ciò che è superfluo. Una casa che è un appoggio, naturalmente condivisa con altre persone, in vista di una nuova partenza. Uno stile di vita non finalizzato alla ricerca di un salario, nè tantomeno alla mera sussistenza, ma solamente al tentativo di "espandere il sè nel tempo e nello spazio, la necessità di creare per vivere, per respirare, per essere, precede, anzi, necessariamente eccede, il bisogno della riproduzione come funzione personale di sopravvivenza". 

Mihail suona saltuariamente musica per strada e si procura quanto basta per espandersi. Muovendosi in tutti i suoi lunghi viaggi in autostop, facendosi ospitare da genti incontrate sul suo cammino o utilizzando HospitalityClub, in altre parole contando sull'altro. Una prova di fiducia quotidiana. Impara le lingue del paese in cui si ferma a vivere per un po' e poi riparte. Possibilmente vive e si ferma nella natura, nei suoi spazi in cui non ti senti solo, come se si ritrovassero istinti perduti. Ora dice che gli sono rimasti da fare solo due grandi viaggi: la Cina e l'Estremo Oriente da un lato e le Americhe dall'altro, per completare il suo personale giro del mondo, nella speranza forse di appagarsi.


"se l'uomo è evoluzione diventata coscienza, sicuramente questo è dovuto alla sua propria consapevolezza che anela a congiungere le proprie forze con l'universo, nella sua appassionata ricerca della realtà delle relazioni temporali e spaziali".

Quando l'abbiamo lasciato l'ultima volta stava aspettando il momento giusto per ripartire e rimediare un autostop dalle Canarie, prima dell'Inverno. Lì le navi fanno l'ultimo rifornimento prima di reimbarcarsi per le Americhe, la sua prossima destinazione.

Mihail, così come i viaggiatori di lungo corso, cominicia a pensare che ci possa essere un senso all'esistenza terrena dell'uomo, ovvero che l'approfondimento del senso di sè, l'estensione dell'empatia a un dominio più vasto e inclusivo della realtà e l'espansione della coscienza, costituiscano il processo trascendente attraverso il quale esploriamo il mistero dell'esistenza e scopriamo nuovi ambiti di significato.

Il sociologo Chan Know-Bun sintetizza così il processo:

L'autenticità di ciò che ho scoperto su me stesso è rafforzata perchè ho trovato conferma di una parte di me in te, e tu in me.

Mihail rafforza sempre di più il suo sè tramite la capacità di parlare più lingue, nella scoperta di una condizione comune a tante altre persone e tramite uno stato d'animo indifferente agli accidenti della storia che ti hanno portato ad avere una religione piuttosto che un'altra, una lingua anzichè un'altra, un'abitudine anzichè un'altra. Il bello si cela in ognuna di esse. Sono solo abitudini, che quindi come sono cominciate così possono cambiare e terminare. Niente di sacro, eppure si arriva a comprendere che tutte le piccole cose sono sacre. Mihail supera lo scetticismo delle persone che pensano che i miracoli non esistano aderendo ad una seconda categoria,  quella che pensa che tutta la vita sia un miracolo.